È stata la madre di tutte le stragi, quella che ha iniziato in Italia la stagione del terrorismo e soprattutto del terrorismo di Stato.
C‘è una frattura nella società italiana che non si è ancora ricomposta. E pensare che sono passati quasi sessant’anni. La cosiddetta frattura data infatti dal 1969. Quell’anno, segnato da una sequenza impressionante di attentati piccoli e grandi, ha il suo drammatico epilogo il 12 dicembre 1969. Bombe a Milano: alla Banca nazionale dell’agricoltura (17 morti e quasi cento feriti) e una bomba inesplosa alla Banca commerciale italiana di piazza Cordusio. Bombe a Roma: alla Banca nazionale del lavoro in via Veneto (14 feriti) e all’Altare della patria, in piazza Venezia (quattro feriti).
Da quella strage inizia una storia infinita che si concluderà nei tribunali ben 36 anni dopo: il 3 maggio 2005. Con un epilogo incredibile: quelle bombe non le ha messe nessuno. Tragitto più breve, invece, ha la ricerca di responsabilità della morte nella questura di Milano di un fermato subito dopo gli attentati. Si tratta del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli che, stando alla sentenza del 1975 dell’allora magistrato e oggi senatore del Pd, Gerardo D’Ambrosio, sarebbe precipitato da una finestra del quarto piano per colpa di un «malore attivo», un malore così improvviso da non permettere ai poliziotti presenti nella stanza di riuscire a fermare la caduta.
Perché frattura? Perché quelle bombe e quei morti ci raccontano il «lato oscuro» del potere, di una classe politica, degli apparati dello stato italiano. Ci raccontano la volontà di «normalizzare» con il terrore i fermenti di una parte consistente della società italiana che voleva un profondo cambiamento. Ci raccontano come la paura di perdere il potere politico abbia «consigliato» la politica delle bombe.
E nonostante il passare degli anni abbia depositato tanta polvere su quegli avvenimenti, abbia reso incerta la memoria, abbia appannato l’orrore, la frattura permane. Incredibile, vero? Eppure…
Quel 12 dicembre 1969, infatti, ha scritto un percorso della storia italiana. Ha modificato il discorso sociale e politico, tanto che si può con certezza affermare che c’è un prima e un dopo le bombe. Insomma, un tragico salto qualitativo.
Allora focalizzare l’attenzione su un fatto di quasi sessant’anni, richiamare il senso della memoria non è operazione solo storica, ma è qualcosa di ancor più rilevante. Non è un caso che classe politica e mass media stiano lavorando per modificare (ancora una volta) il senso e il significato di quegli avvenimenti. Se la frattura fosse stata ricomposta non ci sarebbe bisogno di voler rileggere la storia secondo «una memoria condivisa». Questo ritornello ripetuto ogni volta che si sente echeggiare «12 dicembre 1969» significa che l’operazione di rimozione non ha avuto quel successo ricercato da chi deteneva e detiene il potere.


Nessun commento:
Posta un commento