Il concetto di società autogestita porta Proudhon a formulare la dottrina del federalismo pluralista, considerata a suo parere l’unica realistica perché le contraddizioni, costituendo la linfa vitale della società, sono insopprimibili.
Il federalismo proudhoniano,ovvero un federalismo libertario, sa risolvere in una continua tensione di libertà i termini, dati prima come teoricamente insopprimibili, della libertà e dell’autorità.
Così il federalismo pluralista si definisce da una parte come critica di tutte le dottrine stataliste, uniciste, assolutistiche, in quanto utopistiche e reazionarie, e dall’altra come metodo regolativo, più che costitutivo, dei rapporti socio-economici. Esso infatti deve garantire, con la sua dimensione aperta, l’eguale possibilità di espressione di ogni individuo o gruppo, in armonia con le proprio esigenze geografiche e le proprie tradizioni storiche. Il sistema federativo deve essere insomma il risultato degli equilibri da ricercarsi nel rapporto fra gruppi e individui, fra unità e molteplicità, fra società globale e raggruppamenti particolari, fra coesione e libertà. Tuttavia ciò che costituisce l’essenza è il carattere del contratto federativo, è che in un tale sistema i contraenti si riservino più diritto, autorità e proprietà di quanto non ne abbandonino. Il federalismo libertario riassume per intero la rivoluzione politica ed economica perché il principio federativo è l’applicazione sulla più alta scala dei principi di mutualità, di divisione del lavoro, di solidarietà economica. Per sorreggere questo disegno fondamentalmente libertario ed egualitario, Proudhon ha concepito il mutualismo economico, il solo in grado di rendere operante tale impianto strutturale. Il mutualismo in senso economico è un socialismo pluralista decentralizzato, fondato sull’autogestione dei produttori della proprietà federalizzata degli strumenti di produzione.
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