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giovedì 18 ottobre 2012

IL RIFIUTO DEL LAVORO di Nietzsche


Nell’esaltazione del lavoro, negli instancabili discorsi sulla benedizioni del lavoro, vedo la stessa riposta intenzione che si nasconde nella lode alle azioni impersonali di comune utilità: la paura, cioè, di ogni realtà individuale. In fondo, alla vista del lavoro e con ciò si intende sempre quella faticosa operosità che dura dal mattino alla sera, si sente oggi che il lavoro come tale costituisce la migliore polizia, che tiene ciascuno a freno e riesce a ostacolare validamente il potenziarsi della ragione, dei desideri, del gusto dell’indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità d’energia nervosa e la sottrae al riflettere, al meditare, al sognare, al preoccuparsi, all’amore e all’odiare. Esso pone costantemente sott’occhio un meschino obiettivo e procura facili e regolari appagamenti. Così una società in cui di continuo si lavora duramente, avrà maggior sicurezza: e si adora oggi la sicurezza come la divinità somma. E ora! Orribile! Proprio il “lavoratore” si è fatto pericoloso! Gli individui pericolosi brulicano! E dietro a essi, il pericolo dei pericoli – l’individuum! -

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