Sarà liberato solo dall’insurrezione del marzo 1917.
Nell’agosto del 1921, ferito alla testa da una pallottola durante l’ultimo combattimento, si rifugia in Romania ove viene subito internato. Dopo qualche mese riesce a fuggire dal campo di concentramento e penetra in Polonia ma viene di nuovo catturato e rinchiuso in un lager ancora più infame. Fugge di nuovo e aiutato dai suoi seguaci che si trovano in Germania, raggiunge Berlino. Riunitosi ai vecchi compagni, riprende la lotta, questa volta con la penna. Da Berlino passa a Parigi, ove conduce un’esistenza più calma ma di grande miseria materiale. Comincia a scrivere le sue memorie, che la morte prematura interrompe al periodo 1917-18, all’inizio del movimento che prese il suo nome.
“La makhnovcina non è anarchismo. L’armata makhnovcina non è un’armata anarchica, non è formata da anarchici. L’ideale anarchico di felicità e uguaglianza generale non può essere raggiunto attraverso lo sforzo di una qualsiasi armata, anche se formata esclusivamente di anarchici. L’armata rivoluzionaria, nel migliore dei casi, potrebbe servire alla distruzione del vecchio e aborrito regime; nel lavoro costruttivo, nell’edificazione e nella creazione, qualunque armata, che logicamente non può che fondarsi sulla forza e il comando, sarebbe completamente impotente e persino nociva.
Perché la società anarchica diventi possibile, è necessario che in ogni luogo, in ogni città, in ogni villaggio, si risvegli tra i lavoratori il pensiero anarchico; è necessario che gli stessi operai nelle fabbriche e gli stessi contadini nei loro paesi e villaggi, si pongano alla costruzione della società anti-autoritaria, senza attendere da alcuna parte i decreti-legge. Né le armate anarchiche, né gli eroi isolati, né i gruppi, né la Confederazione anarchica, creeranno per gli operai e i contadini una vita libera. Soltanto i lavoratori stessi, con sforzi coscienti, potranno costruire il loro benessere senza Stato né padrone".
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