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giovedì 14 novembre 2013

La Critica Anti-Industriale

Affinché la critica anti-industriale possa riempire di contenuti le lotte sociali, deve nascere una cultura politica radicalmente diversa da quella che predomina oggi. E' una cultura del No. No a qualunque imperativo economico, no a qualsiasi decisione dello Stato. Non si tratta quindi di partecipare all'attuale gioco politico per contribuire in un modo o nell'altro ad amministrare lo stato presente delle cose. Si tratta piuttosto di ricostruire tra gli oppressi, al di fuori della politica ma all'interno del conflitto stesso, una comunità di interessi opposti a questo stato di cose. Per questo motivo, la molteplicità degli interessi locali deve condensarsi e rafforzarsi in un interesse generale, al fine di concretizzarsi in obiettivi precisi ed in alternative reali attraverso un dibattito pubblico. Una comunità siffatta deve essere egualitaria e guidata dalla volontà di vivere in un altro modo.
La politica anti-industriale si fonda sul principio dell'azione diretta e della rappresentanza collettiva, motivo per cui non deve riprodurre la separazione tra dirigenti e diretti che configura la società esistente. In questo ritorno al pubblico, l'economia deve ritornare alla domus, rivendicare quel che è stata, un'attività domestica.
Da un lato la comunità deve garantirsi contro qualsiasi potere separato, organizzandosi in maniera orrizontale attraveso strutture assembleari e controllando nel modo più diretto possibile i suoi delegati e rappresentanti, in modo che non si ricostituiscano gerarchie formali o informali. Dall'altro, deve interrompere la sottomissione alla razionalità mercantile e tecnologica. Non potrà mai controllare le condizioni della propria riproduzione inalterata se agisce altrimenti, ovvero se crede al mercato e alla tecnologia, se riconosce la seppur minima legittimità alle istituzioni del potere dominante o se adotta i suoi modi di funzionamento.

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