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giovedì 21 novembre 2013

Dall’organizzazione della spontaneità alla spontaneità dell’organizzazione

“Quando mia moglie è triste rimango a casa” ha detto un operaio della Mirafiori a chi lo intervistava. Non ha detto quando i sindacati, le mie guide, i miei maestri decidono la mia vita, io rimango a casa.
Ed è da qui che noi vogliamo partire, poiché sappiamo che noi come proletari vogliamo vivere, vogliamo sbarazzarci del vecchio mondo e non distruggere per ritrovarci a vivere in un mondo ipotizzato dietro le scrivanie dei burocrati. Noi non abbiamo paura delle rovine, perché erediteremo il mondo. Questo non vuol dire che domani alzandoci distruggeremo o bruceremo il mondo borghese, anche se prima o poi lo faremo, per ora vuol dire che fra noi e la nostra vita non accetteremo quegli intermediari burocrati che a colpi di olivetti e riunioni vogliono insegnarci la rivoluzione.
Vuol dire che da queste pagine non diremo più che per cambiare la vita, il proletario deve vivere in lager colorati di rosso, o che per essere alternativi bisogna andare in giro con le preghiere di Mao in una tasca e l’acido della Sandoz nell’altra. Queste coglionerie le ha già rifiutate la storia: quando in Ungheria per essere comunisti bisognava essere stalinisti, in Polonia gomulkisti, il proletariato non ha fatto politica; ha distrutto la sede del partito e le fabbriche-carcere, ha preso in mano la propria esistenza e come tale l’ha gettata nelle piazze e nelle barricate.
Quello che vogliamo adesso non l’ho vogliamo solo noi; la nostra azione, le nostre idee, la voglia di distruggere il mondo di merda che ci sta attorno è sempre esistita, è un sogno nella mente di tutti i proletari, tentare di ammaestrarla è da carogne, trasformare l’altrui miseria in salvacondotto per l’impegno politico è la caratteristica degli sciacalli che vogliono farne la didattica della loro frustrazione.
Basta istituzionalizzare la rabbia, basta con l’identificare la gente del movimento con le cazzate dei suoi gestori individuali piccolo borghesi che confondono, come i bottegai dello spirito, la storia del proletariato con le idee dei loro ideologhi, la storia di chi ha sfruttato ha lavorato per 40 anni in fabbrica, non è la storia della diatriba fra maoisti e leninisti, fra vecchi e nuovi sciovinisti, la realizzazione del nostro futuro sta in noi stessi e non nelle parole dei burocrati della miseria.
Il nostro obiettivo non è quello di creare una società della festa ma quello di fare la festa alla società perché la rivoluzione proletaria o sarà una festa o non sarà nulla.
Vivere senza tempi morti gioire senza ostacoli.
Il collettivo di Re Nudo
(Re Nudo – dall’underground all’outground – n°18 marzo 73, n°1 nuova serie) 

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