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giovedì 28 novembre 2013

MUJERES LIBRES (Donne libere)

Nel 1936 un gruppo di donne di Madrid e di Barcellona fondarono Mujeres Libres, organizzazione dedicata a liberare le donne dalla «schiavitù dell’ignoranza, schiavitù in quanto donne e schiavitù come lavoratrici». Anche se durò meno di tre anni (le loro attività vennero bruscamente interrotte dalla vittoria delle forze franchiste nel febbraio del 1939), Mujeres Libres mobilitò più di 20.000 donne e sviluppò un vasto programma di attività, finalizzate a sviluppare la capacità di azione individuale ed allo stesso tempo a costruire un senso di appartenenza comunitaria. Mujeres Libres riteneva che il pieno sviluppo dell’individualità delle donne dipendesse dalla crescita di un forte sentimento di unione con gli altri. 
Azucena Fernández era nata a Cuba nel 1916, figlia di genitori spagnoli esiliati che rientrando in Spagna dall’esilio nel 1920 la portarono con loro. Azucena ed i suoi sei fratelli e sorelle si erano «nutriti di anarchia…, con il latte di nostra madre». Enriqueta Fernández nata a Cuba, nel 1915. Nella loro casa era usuale vedere militanti anarchici entrare ed uscire quotidianamente e «l’ideale» era una componente normale della conversazione. 
Enriqueta, Azucena ed i loro fratelli e sorelle impararono in fretta che essere parte di una comunità significava essere disposte a prendersi cura degli altri e a dedicare anima e corpo ad una causa comune. La partecipazione dei bambini ai gruppi ed alle attività organizzate dal movimento libertario approfondì l’impegno e lo convertì in un punto importante delle loro vite. La comunità dava loro la forza per affrontare sia le derisioni dei loro vicini che lo scetticismo dei loro stessi genitori sull’opportunità di far andare le ragazze in giro con i ragazzi.
A quei tempi eravamo le puttane, le pazze, perché guardavamo avanti. Ricordo la morte di mio padre, che per me fu molto dolorosa…. Mia madre mi disse: «Piccola, papà non voleva fiori, ma sono io che voglio per lui un mazzo di rose. Portane anche solo una dozzina, per tuo padre.» Andai dalla fioraia e questa mi disse: «Tuo padre è morto e tu vieni qua?» «Che cosa c’entra il mio dolore con il fatto che sono venuta qui? – le dissi – Credi che non provo del dolore per la morte di mio padre?» «Ma non dovresti esserci tu qui, piccola. Avrebbe dovuto venire Juan a cercare i fiori. E poi non porti il lutto.» «No – le risposi – il dolore lo porto dentro, non lo indosso». 
Pepita Carpena,  era nata a Barcellona verso la fine del 1919. Venne per la prima volta a contatto con «l’idea» nel 1933 grazie ad alcuni sindacalisti anarchici che assistevano alle riunioni dei giovani nella speranza di mettersi in contatto con possibili nuovi membri. 
I compagni della CNT, per fare propaganda, dato che la gente non andava ai sindacati perché era un’epoca di clandestinità, andavano ai balli e dicevano agli uomini, mai alle ragazze: «Dove lavorate? Sapete che c’è un sindacato?» Questi compagni, membri della CNT, dicevano anche: «Il tal giorno c’è un’assemblea». E siccome mi sono sempre trovata meglio con gli uomini che con le donne, andai con loro. E fu lì dove iniziai a capire che cosa era la CNT.
 L’organizzazione anarchica Mujeres Libres e le comuniste dissidenti riconoscevano la specificità dell’oppressione femminile e la necessità di una lotta autonoma per superarla. Le organizzazioni femminili tracciarono il cammino verso l’emancipazione delle donne, attraverso l’educazione, la partecipazione politica, il diritto al lavoro, e il riconoscimento del loro valore sociale. Una delle priorità delle organizzazioni femminili fu quello di risolvere il dilemma della prostituzione e dei rapporti personali, e di conseguenza elaborarono una riforma sessuale che prevedeva l’aborto, il divorzio, e l’assistenza medica sanitaria gratuita. Nella rivoluzione spagnola venne affrontato un nodo centrale della modernità: l’emancipazione o/e la liberazione delle donne è un mezzo per raggiungere l’emancipazione generale dell’essere umano

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