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giovedì 16 aprile 2015

Non siamo depressi, siamo in sciopero

L'Occidente, patria degli ansiolitici, paradiso degli antidepressivi, Mecca della nevrosi, è al tempo stesso campione di produttività oraria.  La malattia, la stanchezza e la depressione possono essere considerati i sintomi individuali di ciò da cui bisogna guarire. Esse agiscono in  funzione del mantenimento dell’esistente, del docile adeguamento a  norme demenziali, della modernizzazione delle nostre stampelle. Compiono in noi la selezione tra le inclinazioni opportune, conformi e produttive, e quelle di cui occorre diligentemente elaborare il lutto. Bisogna saper cambiare. Ma, in quanto fatti, i nostri fallimenti possono anche condurre allo smantellamento dell’ipotesi dell’Io. In tal modo, divengono
atti di resistenza nella guerra in corso, ribellioni e centri di energia contro ciò che cospira per normalizzarci e amputarci. L’Io non è ciò che in noi è in crisi, ma la forma che cercano di imprimerci. Si vuole fare di noi degli Io ben delimitati, ben separati, classificabili e censibili per qualità, in breve: controllabili; in realtà siamo creature tra le creature, singolarità fra i nostri simili, carne viva che tesse la carne del mondo. Contrariamente a quanto ci ripetono fin da bambini, l’intelligenza non  consiste nel sapersi adattare; tale è, al massimo, l’intelligenza degli schiavi. Il nostro essere disadattati, la nostra stanchezza, costituiscono  un problema solo dal punto di vista di chi ci vuole sottomettere. Essi indicano piuttosto un punto di partenza, un punto di congiunzione per  inedite complicità. Mostrano paesaggi molto più instabili, ma  infinitamente più condivisibili di tutte le fantasmagorie conservate da questa società.
Non siamo depressi, siamo in sciopero. Per chi rifiuta di  gestirsi, la depressione non è uno stato, ma un passaggio, un arrivederci, un  passo a lato verso una disaffezione politica rispetto alla quale l’unica conciliazione possibile è quella medicale e poliziesca. Perciò questa società non esita a imporre il Ritalin ai bambini troppo vivaci, a moltiplicare le forme di dipendenza farmacologica e a diagnosticare
disturbi comportamentali sin dai tre anni.

È l’ipotesi dell’Io ad incrinarsi in ogni dove.

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