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giovedì 16 aprile 2015

Quale autonomia operaia?

Gli incidenti di sabato con lo scontro a fuoco con la polizia ripropongono con urgenza la necessità di aprire un dibattito all’interno dell’area dell’autonomia. 
La nostra posizione è, e lo è stata anche in passato, notevolmente critica sul modo di operare di una serie di forze organizzate all’interno dell’area, non certo sull’obbiettivo di tali proposte, cioè passare dall’area a un movimento organizzato dell’autonomia, ma sul metodo seguito. Si sta riproponendo infatti lo stile tipico del gruppo dalla critica del quale numerosi collettivi autonomi avevano preso origine: le assemblee formali convocate in statale in cui tutto era già da prima deciso, il corteo in occasione dello sciopero generale, quello del 1 maggio, sono esempi di come più che a un reale confronto con le varie situazioni, le scadenze vengono usate a fini esclusivamente di organizzazione. Il porsi appunto come gruppo dirigente, arrogandosi il diritto di definirsi “autonomia operaia” è secondo noi politicamente perdente in quanto fonte di atrofizzazione per la crescita del movimento per il quale il leaderismo e l’espropriazione della elaborazione politica sono ferri vecchi. 
Oltre tutto diventa politicamente suicida quando la stessa logica di prevaricazione abbinata a una concezione insurrezionale dello scontro di classe nella fase attuale viene applicata nelle scadenze di piazza in cui tutto il movimento è coinvolto. 
Lo Stato ha scelto, con la piena collaborazione dei revisionisti, il terreno dell’ordine pubblico, della criminalizzazione, per isolare l’opposizione che nelle fabbriche e nel territorio si sta organizzando contro il tentativo di ricostruzione dei margini di profitto e produttività del sistema. Lo Stato ha scelto: il terreno, la piazza, il momento, la grossa confusione esistente all’interno del movimento, gli strumenti, la polizia e i C.C. che sparano. 
Accettare questo terreno di scontro che coinvolge l’intero movimento quando ancora chiarezza non esiste sull’uso degli strumenti e più in generale sul problema dell’autodifesa e secondo noi puro avventurismo in quanto porta all’isolamento, in primo luogo del progetto dell’autonomia, e favorisce lo stato nel processo di normalizzazione. 
Nostro compito è la rottura del ghetto, attraverso l’intervento politico nelle situazioni con una pratica della forza legata alla situazione stessa che abbia ben presente i livelli di avanguardia e di massa per rompere la falsa immagine di quelli della P38 che l’autonomia rischia di assumere. 
A nessuno è più concesso decidere per il movimento né praticare la politica del tanto peggio tanto meglio soprattutto quando questo porta a bruciare e a travisare un patrimonio storico di esperienze, analisi, organizzazione, di situazioni politiche che nessuno può negare alle forze dell’area dell’autonomia, neanche chi, ormai ischeletrito dalla incomprensione dei nuovi fenomeni sociali emergenti in questa fase storica, pensa di esorcizzare o risolvere tutte le contraddizioni a colpi di chiave inglese e di denunce delatorie. 
Isoliamo chiunque seguendo una logica di prevaricazione attraverso scelte avventuriste, oggettivamente si inserisce nel progetto di normalizzazione portato avanti dal governo con la piena collaborazione dei revisionisti.

Collettivi Comunisti Autonomi 
C.S. Argelati 
C.S. Panettone 
Centro di Lotta Contro il Lavoro Nero “Carlo Sponta” 
Compagni autonomi del Romano-Vigentina 

(Volantino, Milano, maggio 1976)

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