Una delle caratteristiche delle nuove politiche urbane è che lo spazio costruito deve essere riconfigurato a fini più o meno espliciti di difesa sociale: i luoghi pubblici, messi in sicurezza quanto se non più di quelli privati, accolgono oltre a polizia e sistemi tecnologici di vigilanza anche un numero crescente di dispositivi ornamentali a vocazione disciplinare: è la architettura di prevenzione situazionale o spazio difendibile. Questi concetti risalgono alla fine degli anni ‘70 e riflettono l’avanzata del modello neoliberista di accumulazione del capitale fondato su flessibilità del mercato del lavoro e smantellamento del welfare, che ha aggravato la guerra civile condotta contro le classi dominate e lanciato la sfida contro la mancanza di sicurezza. L’obiettivo dichiarato è costruire una forma di urbanità disciplinata, dove al controllo del territorio si aggiunge quello del comportamento dei suoi abitanti, e i governi mondiali e locali adopereranno tutte le armi a loro disposizione. Non solo quelle repressive, d’altronde sempre più sofisticate: uno degli ambiti più importanti è proprio quello della gestione dello spazio e dei flussi di persone che lo attraversano, motivo per cui ad architetti e urbanisti spetterà il compito di progettare o ristrutturare gli ambienti di modo che contribuiscano anch’essi a prevenire l’illegalità. Salvo rimettere in discussione la struttura della società globale, difficilmente la città può tornare a essere comunità. Anzi, continuerà ad accentuarsi la divisione tra ricchi e poveri.
Il Grande Fratello veglia sui primi e sorveglia i secondi.
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