Jeliza Rose è una graziosa bambina che passa la propria giornata a tentare di leggere alcuni passi di Alice in Wonderland di Lewis Carroll, tra una dose di eroina da preparare a papà Noah, e un massaggio alle gambe, durante i fumi del metadone, a mamma Regina Gunhilda. Tra un atteggiamento bipolare e una scorpacciata di barrette di cioccolato, la mamma muore. Papà Noah, dopo essere tornato da uno dei suoi viaggi senza mai lasciare la sedia di casa con nuove avventure ambientate in un leggendario quanto improbabile Nord celtico, decide allora di realizzare davvero una di queste visioni, lasciando Vancouver ma passando per la vecchia casa della nonna. Jeliza Rose ammucchia le sue poche cose, portando con sé le carissime amiche: 4 teste di bambola, più vari arti ed accessori, che l'accompagneranno durante tutto il tragitto. Giunti alla fattoria, tanta è la sorpresa della bambina quando al lussureggiante ed onirico campo di grano esterno, dominato dall'immensa casa di legno, fa da contraltare un interno squallido, sporco e decisamente desolante. Dopo averla messa a parte dei rischi che ogni scoiattolo procura, Noah chiede alla figlia di preparargli e concedergli la sua solita vacanza. La bambina, sempre premurosa ed attenta, esegue subito gli ordini paterni, e si sincera, come sempre, che il padre sia sì partito, ma ancora ben presente nella sua vita, alzandogli gli occhiali da sole che sempre inforca. Il padre non si sveglierà più.
Assistiamo al tragico mondo di una bimba che perde fatalmente i due genitori eroinomani e si ritrova sola in mezzo ad una campagna deserta, in una villa abbandonata, senza cibo né nessun altro. Unici vicini un fratello e una sorella folli e ritardati, che mummificano persone ed animali credendo di impedire la morte. Attraverso gli occhi di Jeliza Rose, i traumi della vita adulta divengono divertenti e non più disturbanti giochi per dimenticare fame e solitudine. Dall’eroina che prepara dolcemente a papà nella siringa al sesso che osserva fare dalla vicina con l’uomo delle consegne, dalla morte del padre per overdose, che confonde con un sonno da fattone, fino alla follia del vicino Dickens, che viene vista dolcemente, e alla fine scambiata per amore, il mondo capovolto dei bambini racconta questa trasfigurazione del reale, questa sotto-interpretazione dell’esistente, che può renderlo più sopportabile ma anche più atroce. L'immaginazione va di pari passo con la solitudine, più precisamente, più si è soli e più una realtà immaginata diventa potente, tanto da confondersi e assurgere a realtà.
Quello che emerge fin dalle prime sequenze del film, è la volontà del regista di entrare direttamente dentro il cervello di Rose in modo da filtrare tutte le atrocità attraverso la sua innocenza. L’obbiettivo riesce alla perfezione, dando l’impressione che le fantasie da lei prodotte costituiscano una sorta di “scudo” che la protegge dai pericoli di una realtà squallida. Tali fantasie però tendono a stravolgere completamente i criteri dei canoni comuni sconvolgendo il più chiaro schema di valori imposto dalla società e trasformando l’innocuo in pericolo e viceversa (il treno infatti viene visto come uno squalo gigante mentre la tossicodipendenza come una semplice vacanza) incarnando perfettamente la capacità di autodifesa tipica dei bambini.
Altro concetto fondamentale del film è l'equazione secondo la quale morte porta a vita. Tutta la vicenda di Rose è scandita da morti (i genitori, la nonna, la sua bambola preferita) che in qualche modo portano un cambiamento radicale delle sue condizioni di vita (la morte dei genitori la allontana dalla droga, e la morte della nonna la porta a conoscere Dickens) per poi sfociare nel finale che la libera definitivamente da quel mondo pieno di orrori.
Anarchico e onirico ma anche doloroso Tideland è uno dei film più sciagurati e personali di Terry Gilliam, uno sguardo sia infantile che sull'infanzia, età cara al regista perché sede principale e irripetibile di quei deragliamenti dell'immaginazione di cui si compone il suo cinema.
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