L’intervento nelle lotte si esprimerà sempre come una tensione su diversi livelli. Prima di tutto, la maggior parte di noi fa parte degli sfruttati e degli spossessati dall’attuale ordine sociale e non parte delle classi dominanti e dirigenti. Per questo noi affrontiamo le stesse immediate realtà di quelli che ci stanno intorno, con lo stesso desiderio di trovare un sollievo immediato. Però noi abbiamo anche il desiderio di un nuovo mondo e vogliamo portare questo desiderio in tutte le nostre lotte, non solo a parole, ma nel modo in cui mettiamo mano alla nostra pratica. Per questo c’è una tensione a muoversi ostinatamente verso l’autonomia e la libertà a partire da condizioni oppressive. Inoltre abbiamo dei modi specifici con cui desideriamo affrontare le nostre lotte e vivere le nostre vite. Questi metodi si basano sulle relazioni orizzontali e sul rifiuto della gerarchia e dell’avanguardismo. Perciò c’è una tensione che porta ad impegnarsi a trovare i modi per mostrare le nostre concezioni su come affrontare una lotta affinché siano di incoraggiamento per le tendenze già esistenti a dirigersi verso l’autorganizzazione e l’azione diretta, senza però cadere nei metodi dell’evangelismo politico. Dopo tutto, ci rapportiamo come compagni e complici, non come capi. E allora c’è la tensione di voler agire immediatamente contro le imposizioni che questa società pone sulle nostre vite, e farlo senza riguardo per il livello di lotta, ma sempre evitando qualunque tendenza all’avanguardismo. In un certo senso, l’intervento anarchico è la corda funambolica tesa fra il vivere la nostra propria lotta quotidiana e il trovare il modo di collegare questa lotta con le lotte di tutti gli sfruttati, la maggior parte dei quali non condivide le nostre consapevoli prospettive: un collegamento che necessario se vogliamo muoverci verso l’insurrezione sociale e
la rivoluzione.
(Venomous Butterfly, Portland, OR, USA.)
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