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giovedì 15 febbraio 2018

Pietro Gori il cavaliere dell’ideale

Nato a Messina nel 1865 da genitori toscani e laureatosi a Pisa in giurisprudenza, ben presto inizia la propria attività di propagandista del pensiero anarchico, spesso affiancata da quella di avvocato negli innumerevoli processi che vedono altri anarchici sul banco degli accusati. Il primo arresto, con condanna a un anno di carcere, è del 1890 e successivamente le numerose sentenze a suo carico (tutte comminate per reati d’opinione) lo porteranno ad affrontare più e più volte l’esilio, ora nel nord dell’Europa, ora nelle Americhe. Nel 1891 è al congresso anarchico di Capolago, dove vengono gettate le basi del partito socialista anarchico rivoluzionario, e nel 1892 partecipa a Genova ai lavori del Congresso che vede riunite le Società Operaie di tutta Italia, dove, con la nascita del partito socialista italiano, si consuma definitivamente la separazione fra le due scuole del socialismo, quella anarchica rivoluzionaria e antiparlamentare e quella socialdemocratica, riformista e parlamentare. Costretto nel 1894 ad abbandonare l’Italia, ripara dapprima in Svizzera (quando il governo elvetico lo espellerà su pressioni dello stato italiano compone la famosissima Addio a Lugano) poi in Belgio e Olanda e infine a Londra, dove entra in contatto con il principe anarchico Kropotkin e la combattiva Louise Michel, eroina della Comune di Parigi. Da Londra passa negli Stati Uniti dove svolge, nella numerosa colonia italo-americana, una intensissima attività di pubblicista e conferenziere. È soprattutto grazie a questa sua presenza, e a quella quasi contemporanea di Malatesta, che si consolida in America fra gli immigrati italiani un forte e duraturo movimento anarchico.
Dopo una breve parentesi in patria, una nuova condanna a 12 anni di galera lo riporta all’estero, questa volta in Argentina (dove fonda l’importante rivista scientifica in spagnolo Criminalogia moderna), poi in Cile, Uruguay e Brasile. Rientrato in Italia grazie ad una amnistia, nel 1903 fonda, assieme a Luigi Fabbri la rivista Il Pensiero, che nei suoi otto anni di esistenza sarà un punto di riferimento costante e imprescindibile dell’anarchismo organizzatore. Gli ultimi anni di vita, ormai minata dalla tubercolosi, ne vedono notevolmente ridotta l’attività, ma nonostante il male che ne fiacca tragicamente le forze, cerca ancora, quando possibile, di dare il suo contributo alla causa. Un ultimo giro di conferenze in Romagna e nelle Marche, la sistemazione dei suoi numerosissimi scritti, sono gli ultimi segni del suo lavoro. Si spegne a Porto Ferraio, nell’amatissima isola d’Elba, nel gennaio del 1811.

La sua vita avventurosa e la tragica e prematura morte ne hanno a lungo accompagnato il ricordo, evidenziandone gli aspetti più romantici, quelli che ne hanno fatto “il cavaliere dell’ideale” o il “poeta dell’anarchia”, ma la sua attività sociale, ben lungi dall’essere improntata a una approssimativa divulgazione dell’idea anarchica, fu determinante per il crescere e il consolidamento fra le classi subalterne di una volontà di rivolta cosciente e di emancipazione solidale. La sintesi fra il solido pensatore, l’agitatore irrequieto e il comunicatore di straordinaria grandezza, contribuì alla nascita di un mito duraturo che appartenne, trasversalmente, non solo agli anarchici della “sua” Toscana, ma a tutti coloro che aspirarono e lottarono, col pensiero e con l’azione, per l’edificazione di una società in cui giustizia e libertà non fossero parole vuote destinate a pochi, ma i principi fondamentali della vita collettiva.

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