Il rapporto di domesticazione che legava le antiche culture pastorali agli animali, prima di essere una questione economica, era una relazione parentale. Osserva Ròheim (antropologo e psicanalista ungherese): "Gli animali domestici erano al centro di tutta la vita psichica e sociale. Erano la fibra stessa dell'ordine sociale e l'oggetto di un culto mistico". Del resto, ancora oggi in Africa, l'associazione della regalità e del bestiame è un tratto costante delle società tribali, oltre che un trasfert edipico, per mezzo del quale si comprende come i rituali abbiano gestito per millenni, attraverso le forme paranoidi di rappresentazione quella complessità oscura, che oggi chiamiamo paura e che costituisce il senso del mondo. In altri termini, la "domesticazione sociale" degli animali ha avuto un importante funzione nello sviluppo dell'Io, sia che si esprimesse in un rapporto figliale con i cani, che nell'identificazione del padre e della madre nei ruminanti.
I processi di domesticazione sociale degli animali formano una sorte di nucleo rudimentale di formazione dei gruppi nel quale si riflette più o meno deformata la situazione infantile, la stessa che sublima l'uomo moderno attraverso i percorsi dell'alienazione, che da tempo controllano questo tratto tra i più caratteristici dell'evoluzione temporale. La controllano come un attitudine specifica della "loro" normalità, che consente ogni refoulement.
Il più solido effetto della globalizzazione delle forme sociali è la solitudine di ciascuno.
La globalizzazione è una forma degradata dell'antica idea di "cosmos". Degradata, perché ne realizza l'aspetto più esteriore, quello dell'ordine. (B.Rosenthal)
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