L’iniziativa, se da un lato si colloca all’interno del movimento antiautoritario degli studenti, dall’altro ne prende le distanze spesso in polemica con quegli orientamenti segnati da un rivoluzionarismo generico, incarnato in particolare nella figura dello studente a tempo pieno. I protagonisti dell’occupazione sono in maggioranza studenti immigrati e pendolari. D’estrazione proletaria, molti si mantengono agli studi con lavori e lavoretti. Nei loro documenti, cercano di dare un senso strategico alla loro specifica battaglia; di fondare sui due pilastri portanti - lo studio e il lavoro - la lotta generale contro il sistema capitalistico e l’autoritarismo delle istituzioni; di costruire ponti di collegamento tra i due mondi tenuti separati e isolati. Se studiare significa esercitarsi a risolvere problemi, finora lo studente lo ha fatto per “risolvere i problemi di chi ha comando, proprietà, ricchezza”. Occorre invece ribaltare la situazione: imparare a esercitarsi a risolvere i problemi delle classi subalterne. I mondi del lavoro e dello studio, la società e la cultura devono essere messi in
collegamento. E tra le figure sociali che meglio di altre può contribuire a questo, emerge quella dello studente lavoratore e del lavoratore studente: “E’ questa la figura nuova che di fatto sta eliminando le distanze e l’estraneità tra il mondo del lavoro e il mondo dello studio”. Occorre individuare le modalità concrete di messa in discussione dell’apparato organizzativo degli studi - rigido gerarchico autoritario - e dei meccanismi politici che ostacolano e limitano l’esercizio del diritto allo studio. L’isolamento dello studente dalla realtà sociale e la selezione classista sono, tra i tanti, i due strumenti principali della politica scolastica ed universitaria. E per quanto riguarda il settore dell’edilizia universitaria si denunciano la “gravissima carenza di alloggi per gli studenti provenienti da fuori Milano e di disagiate condizioni economiche”, e la “situazione di ghetto culturale di questi alloggi, che sorgono ai margini della città”. E “contro questo stato di cose” nasce la Nuova Casa dello studente di piazza Fontana, che presto supera il ristretto ambito studentesco e si trasforma in Casa dello studente e del lavoratore (C.S.L.).
Nella prima fase dell’occupazione, si lavora a rendere abitabile l’intero stabile e a porre all’attenzione dell’opinione pubblica la questione sociale degli studenti immigrati e disagiati. Si crea attorno alla Casa un clima favorevole e solidale. Arrivano da singoli cittadini aiuti di ogni genere (suppellettili, coperte, viveri, sottoscrizioni ecc.). Una mano materiale e politica la danno cooperative di lavoratori, organizzazioni sindacali di base come alcune commissioni interne dei tranvieri, l’UDI (la storica Unione Donne Italiane). Anche il sindaco Aniasi riconosce il problema e, mentre si dichiara pronto al dialogo, “promette di venire incontro alle più impellenti necessità”. E - annotano ironicamente gli studenti nei loro dazebao - fa arrivare mediante l’Ufficio d’igiene “materiale disinfettante con la raccomandazione di non berlo perché velenoso!”
La C.S.L. fa breccia sulla macchina politico-amministrativa della città: sul Consiglio di zona 1 e sul governo cittadino di centro-sinistra. Nel febbraio del 1969 il Consiglio comunale approva un ordine del giorno che riconosce legittimità all’occupazione.
Un tale livello di lotta sociale sindacale politica e culturale entra in crisi nella primavera del ’69, quando i rappresentanti del potere decidono di passare al contrattacco, mentre si intensificano campagne di stampa di attacco denigratorio contro la C.S.L., ormai stigmatizzata “covo” di anarchici ed estremisti, drogati e fannulloni.
Il 19 agosto 1969, con inaudita violenza nel colmo dell’estate e delle vacanze feriali, la Casa dello studente e del lavoratore quasi del tutto vuota, viene sgomberata da plotoni di carabinieri e poliziotti in assetto di guerra, e l’edificio subito demolito. Si inaugura così la stagione degli sgomberi.
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