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giovedì 7 marzo 2019

DESERTO ROSSO di Michelangelo Antonioni

Un bambino chiede alla mamma: ” Perché quel fumo è giallo?” “Perché è veleno” risponde la donna. “Allora se passa un uccellino li in mezzo muore!”, prosegue incuriosito il bambino. “Si, ma gli uccellini ora lo sanno e non ci passano più..”, conclude la mamma.

Un incidente d'auto provoca in Giuliana uno choc che, aggravato dall'ambiente particolare in cui la professione del marito, ingegnere elettronico, la costringe a vivere, si tramuta in uno stato di nevrosi depressiva. Questa forma di malessere spinge la donna a vagare senza meta, con appresso il bimbo, nelle aree industriali che circondano l’apparato industriale; sullo sfondo, oltre ai fumi velenosi che incorniciano cieli plumbei e si stagliano sopra arbusti e vegetazione stremata, alcune nascenti sommosse operaie si insinuano a contrastare la perfetta coincidenza tra domanda ed offerta di occupazione, nell’ambito di un boom economico che, fino a quel momento, aveva proteso chiunque all’ottimismo, dopo le disgrazie e le rovine della guerra. 
Corrado, un amico del marito, si sente attratto verso la donna e tenta di aiutarla ad uscire dalla sua solitudine piena di incubi, intrecciando con lei una fuggevole ed amara relazione. Tale esperienza non fa che aggravare lo stato depressivo della donna che si vede inconsapevolmente ingannata anche dal suo figlioletto, il quale finge d'essere colpito da una grave malattia. Fallito il tentativo di porre fine violentemente alla propria esistenza senza scopo, Giuliana continuerà la sua vita in precario equilibrio tra rassegnazione e pazzia.
Le scene si svolgono a Ravenna nella sua parte più industriale. Siamo agli inizi degli anni '60 in pieno miracolo economico. Il tipo di industrializzazione è selvaggio: basato su numerosi impianti petrolchimici quasi tutti privi di depuratori e una centrale termoelettrica che espelle tonnellate di polveri. Un'industrializzazione che appare subito allo spettatore come portatrice di traumi profondi. Alcune anguille al ristorante conservano nel sapore tracce di petrolio. Il degrado territoriale è molto avanzato e ne risente anche la vita dei cittadini. Questi ultimi diventano oggetto di disagi nevrotici e depressivi. Disagi fortemente accentuati dalla scomparsa di ogni bellezza naturale. Il funesto complesso petrolchimico ha sostituito sia le pulite e ordinate baracche dei vecchi pescatori che gli impianti artigianali.
Insomma tutto il film sembra evidenziare un senso di smarrimento, di angoscia, che non è solo la “pessimistica riflessione sull’incapacità della borghesia di uscire dalla propria gabbia”, ma piuttosto, come un po’ in tutto Antonioni, quell’innata capacità di raccontarci il mondo reale “che verrà” attraverso il presente, anticipando problematiche e inquietudini degli anni a venire. 
È il male del secolo, tutti ne siamo affetti. Matti incurabili, l’unico conforto ci viene dal tenere per mano un bambino e dall’avere coscienza della nostra condizione. La colpa di tutto? Innanzi tutto, della civiltà industriale. Gli uccellini, che hanno un cervello da uccellino, l’hanno capito che dalle ciminiere esce un veleno mortifero, e non ci passano più. Gli uomini, invece, testoni, ci vanno a vivere in mezzo, peggio per loro.
Antonioni non aggiunge nessun zuccherino alla sua pessimistica analisi del mondo contemporaneo, disumanizzato dal progresso scientifico; ma la sua condanna della civiltà delle macchine sembra ormai coinvolgere l’eterna condizione dell’uomo. Giuliana, per far star quieto il bambino, favoleggia di un mondo primitivo, di una ragazzina libera e felice nell’acqua di un’isola. 

Ci sono luoghi che rappresentano un deserto senza sorta di fine, dove delle piccole formiche si agitano continuamente, lavorano, portano provviste, si incuneano, si scontrano e ostinate proseguono senza chiedersi il perché. Piccole formiche che non comunicano, hanno paura, si costruiscono un personaggio, ti sfuggono, al limite ti rincorrono sempre. Il presente è terra bruciata, semplicemente perché lontani da un gesto spontaneo si cerca la strada più semplice: la fuga giustificata.

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