Il processo di Pescara, celebrato dal 18 settembre al 31 ottobre 1973 contro 50 detenuti colpevoli, secondo l’accusa, di aver dato luogo a una violenta protesta contro lo stato dell’attuale sistema penitenziario, si è trasformato ben presto in una denuncia delle responsabilità avute dalle autorità governative per il mancato accoglimento delle richieste dei detenuti. L’avvocato difensore discute la linea politica adottata dalla difesa, la quale è riuscita a far ridurre i 110 anni complessivi richiesti dal pubblico ministero a 9 anni per il solo reato di danneggiamento e a conseguire l’assoluzione per il reato di resistenza aggravata.
Non è facile spiegare in poche parole la qualità politica del comportamento dei detenuti di Pescara. C'è tutta una letteratura che ''spiega" il livello di coscienza degli operai di una fabbrica. del proletariato in un quartiere, del popolo intero in una città. Specie quando si tratta di letteratura agiografica i comportamenti vengono caricati di molti significati che ne deformano la vera natura, e il livello di coscienza viene descritto come aderente ad un disegno politico che è in realtà estraneo ed esterno ma che viene presentato come prodotlo spontaneo di questi stessi comportamenti e di questa stessa coscienza. Per i detenuti in rivolta, per le "canaglie" che osano lottare per diritti inalienabili e per difendere interessi materiali di natura elementare quanto essenziale, la letteratura agiografica cerca di “spiegare" ancora una volta tutto, ma fa un buco nell’acqua e dimostra così i suoi limiti generali che emergono sia quando I'analisi riguarda la società dentro le carceri. sia quando riguarda la società fuori dalle carceri.
Il proletariato fuori dalle carceri, in fabbrica, in quartiere, in campagna è composto di uomini in libertà provvisoria, e se in carcere ì'aliquota che vi entra è bensì alta ma non altissima ciò dipende solo dal fatto che c'è troppo bisogno di questa classe di "delinquenti" per alimentare la produzione capitalistica. Per le classi popolari, il carcere ha la stessa natura dell’infortunio sul lavoro, della malattia, della disoccupazione, ha la natura insomma dei fenomeni sociali dipendenti in maniera specifica dal modo di produzione di una società governata dalla borghesia. Ci si ribella più facilmente quando si ha lavoro, casa e salute: ma ci si ribella anche quando la propria integrità sociale e gravemente lesa o quando è del tutto annullata. Ciò che non muta mai è la natura di classe di chi si ribella. anche se mutano le condizioni della lotta e lo stimolo iniziale.
"Solitamente noi detenuti veniamo considerati dall'attuale società come delle rarità, degli spauracchi, sotto gli appellativi di ladri, rapinatori, delinquenti e tutto ciò ci è stato confermato dall'articolo comparso sul quotidiano «Il Tempo». Ebbene signori, le nostre dimostrazioni pacifiche e non pacifiche all'interno delle carceri, vogliono far capire che noi siamo uomini uguali a tutti gli altri, con gli stessi diritti e doveri. Anche noi come tutti voi, abbiamo le nostre aspirazioni, i nostri ideali, una nostra coscienza e un nostro orgoglio. (…) Prima o poi, siamo sicuri che il proletariato giungerà a processare tutti i padroni, anche se sono duri a morire e capaci di commettere le azioni più nefaste per raggiungere e conservare il potere ed esercitare la propria dittatura. Siamo sicuri che così ci sarà una giustizia veramente popolare e non di classe, come quella che finora ci è stata data dagli attuali ma sorpassati codici, alla cui autorità noi non crediamo. (…) Ma abbiamo scoperto che la nostra unità ci dà la forza di combattere contro la giustizia borghese, e chiediamo e chiederemo sempre ciò che ci è stato sempre negato e, nel nostro caso specifico, l'abolizione della recidiva, l'abolizione della carcerazione preventiva, l'abolizione della chiamata di correo e l'abolizione dei reati d'opinione. Chiediamo inoltre la riforma carceraria e la riforma del codice, il diritto ai rapporti eterosessuali,
amnistia e indulto per tutti, facoltà di organizzazione e diritto di lavoro giustamente retribuito, nonché il diritto allo studio”.
(Dichiarazione letta nell'aula del tribunale di Pescara, il 21 settembre 1973, dal compagno Flavia Zoin, a nome dei carcerati processati per la rivolta.)
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