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giovedì 7 marzo 2019

L'ultimo discorso del sub-comandante Marcos - parte terza

In questi 20 anni c'è stato un cambio molteplice e complesso nell'EZLN.  Alcuni hanno notato solo il più evidente, quello generazionale. Ora stanno portando avanti la lotta e dirigendo la resistenza, quelli che erano piccoli o ancora non erano nati all'inizio dell'insurrezione. Però alcuni studiosi non si sono resi conto di altri cambiamenti. Quello di classe: da quello di classe "media istruita” a quello dell'indigeno contadino. Quello di etnia: dalla direzione meticcia alla direzione nettamente indigena.
E il più importante: il cambiamento di pensiero. Dall'avanguardismo rivoluzionario al comandare obbedendo; dalla presa del Potere in Alto a la creazione del potere dal basso; dalla politica professionale alla politica quotidiana; dai dirigenti ai villaggi; dall'emarginazione di genere, alla partecipazione diretta delle donne; dalla discriminazione dell'altro, alla celebrazione della differenza.
Non mi estenderò ulteriormente su questo, perché è stato proprio il corso “La Libertà secondo gli/le zapatisti/e” l'opportunità di constatare se nel territorio organizzato conta più il personaggio della comunità. Personalmente, non capisco perché della gente pensante che afferma che la storia la fanno i popoli, si spaventi così tanto di fronte all'esistenza di un governo del popolo dove non appaiono gli “specialisti” nel governo. Perché gli dà così tanto timore che siano i villaggi quelli che comandano, quelli che dirigono i loro propri passi? Perché muovono la testa con disapprovazione di fronte al comandare obbedendo?
Il culto dell'individualismo incontra nel culto dell'avanguardismo il suo estremo più fanatico.
Ed è stato questo precisamente, che gli indigeni e che adesso un indigeno sia il portavoce e il capo, quello che li terrorizza, li allontana, ed alla fine se ne vanno per continuare a cercare qualcuno che parli di avanguardie e leader. Perché c'è razzismo anche nella sinistra, soprattutto in quella che si pretende rivoluzionaria. 
L'"ezetaellenne" non è di questi. Per questo non chiunque può essere zapatista.
Prima dell'alba del 1994, ho passato 10 anni in queste montagne. Conobbi e mi relazionai personalmente con alcuni,nella cui morte morimmo in molti. Conosco e mi relaziono con tanti altri che oggi sono qui con noi. Molte albe ho trovato me stesso cercando di digerire le storie che raccontavano, i mondi che disegnavano con silenzi, mano e sguardi, la loro insistenza nel segnalare qualcosa al di là. 
Era un sogno quel mondo, così altro, così lontano, così altrui? A volte pensai che erano andati troppo avanti, che le parole che ci guidarono e ci guidano venivano da tempi per i quali non c'erano ancora calendari, persi come stavano in geografie imprecise: sempre il dignitoso sud onnipresente in tutti i punti cardinali. Poi ho saputo che non mi parlavano di un mondo inesatto e, per tanto, improbabile. Questo mondo già andava nel loro passo. Voi non lo vedeste? Non lo vedete? Non abbiamo ingannato nessuno in basso. Non nascondiamo che siamo un esercito, con la sua struttura piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall'alto verso il basso. Non per ingraziarsi con i libertari né per moda neghiamo quello che siamo. Però chiunque può vedere adesso se il nostro è un esercito che soppianta e impone.
E devo dire questo, per il quale ho già chiesto l'autorizzazione al compagno Subcomandante Moisés per farlo: "Niente di ciò che abbiamo fatto, nel bene e nel male, sarebbe stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione nazionale, non si fosse alzato contro il cattivo governo esercitando il diritto alla violenza legittima. La violenza di colui che sta in basso di fronte alla violenza di colui che sta in alto. Siamo guerrieri e come tali sappiamo quale è il nostro ruolo ed il nostro momento."
Nell'alba del primo gennaio del 1994, un esercito di giganti, cioè di indigeni ribelli, scese sulle città per far tremare il mondo con il suo passo. Appena pochi giorni dopo, con il sangue dei nostri caduti ancora fresco nelle strade cittadine, ci rendemmo conto che quelli da fuori non ci vedevano.
Abituati a guardare gli indigeni dall'alto, non alzavano lo sguardo per guardarci. Abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna rivolta. Il loro sguardo si era fermato nell'unico meticcio che videro con il passamontagna, cioè non guardarono. I nostri capi e le nostre cape dissero: “Vedono solamente quanti piccoli che sono, facciamo che qualcuno diventi piccolo quanto loro, così che a lui lo possano vedere ed attraverso di lui ci vedano”
Cominciò così una complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meravigliosa, una maliziosa mossa da parte del cuore indigeno.
Cominciò allora la costruzione del personaggio  chiamato "Marcos"

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