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giovedì 14 marzo 2019

L'ultimo discorso del sub comandante Marcos - parte quarta

Cominciò allora la costruzione del personaggio chiamato “Marcos”.
Il caso è che il Sup Marcos passò da essere il portavoce ad essere un distrattore. Se per intraprendere il cammino della guerra, cioè della morte, ci avevamo messo 10 anni; per intraprendere quello della vita ci occupò più tempo e necessitò di maggiori sforzi, per non parlare di sangue. Perché, anche non lo crediate, è più facile morire che vivere. Avevamo bisogno di tempo per essere e per incontrare chi sapesse guardarci per quello che siamo. Avevamo bisogno di tempo per incontrare chi non ci guardasse dall'alto, né dal basso, ma di fronte, che ci guardasse con lo sguardo di compagno. Vi dicevo che cominciò allora la costruzione del personaggio. Marcos un giorno aveva gli occhi azzurri, un altro li aveva verdi, o marroni, o miele, o neri, dipendendo da chi facesse l'intervista e facesse la foto. Così fu una riserva di una squadra di calcio professionista, impiegato in un negozio, autista, filosofo, cineasta, e i differenti eccetera che potete incontrare nei mezzi di comunicazione commerciali di quei tempi e nelle diverse geografie. C'era un Marcos per ogni occasione, cioè per ogni intervista. E non fu facile, credetemi, non c'era allora wikipedia. Se mi permettete definire Marcos il personaggio, allora direi senza dubbio che fu un pupazzo. Diciamo che, perché mi intendiate, Marcos era un Mezzo di comunicazione Non Libero. 
Nella costruzione e nella gestione del personaggio commettemmo alcuni errori. Durante il primo anno finimmo il repertorio dei “Marcos” possibili. Così che all'inizio del 1995 eravamo in difficoltà ed il processo dei villaggi stava dando i suoi primi passi. Così che nel 1995 non sapevamo come fare. Però allora è quando Zedillo, con il PAN alla mano, “scopre” Marcos con lo stesso metodo scientifico con cui incontra ossa, cioè per delazione esoterica. La storia del tampiqueño ci dette fiato, anche se la frode successiva della Paca de Lozano ci fece temere che la stampa commerciale mettesse in discussione pure la “scoperta” di Marcos e scoprisse che era una ulteriore frode. Fortunatamente non fu così. Così come questa, i mezzi di comunicazione continuarono a  credere ad altre cose simili. Più tardi il
tampiqueño arrivò a queste terre. Insieme con el Subcomandante Insurgente Moisés, parlammo con lui. Gli offrimmo allora una conferenza stampa congiunta, così avrebbe potuto liberarsi dalla persecuzione visto che sarebbe stato evidente che non erano Marcos e lui la stessa persona. Non volle. Venne a vivere qua. Uscì alcune volte, e la sua faccia si può incontrare nelle fotografie di ricordo dei suoi genitori. Se volete potete intervistarlo. Adesso vive in una comunità, Non diremo nient'altro così che lui, se così lo desiderasse, possa un giorno raccontare la sua storia che visse dal 9 febbraio del 1995. Da parte nostra ci interessa solamente ringraziarlo per averci passato dei dati che ogni tanto usiamo per alimentare la “certezza” che il Sup Marcos non è chi è in realtà, cioè un pupazza o un ologramma, ma un professore universitario, originario del attualmente doloroso Tamaulipas. Nel frattempo continuavamo a cercare, cercandovi a voi, a coloro che adesso sono qui e a quelli che non sono qui però ci sono. Lanciammo una iniziativa dietro l'altra per incontrare l'altro, l'altra, l'altro compagno. Differenti iniziative, cercando di incontrare lo sguardo e l'udito di cui avevamo bisogno, che meritavamo. Nel frattempo continuava il miglioramento dei villaggi ed il cambio di cui si è parlato molto o poco, però che si può constatare direttamente, senza intermediari. Nella ricerca dell'altro, una volta dietro l'altra abbiamo fracassato. Chi incontravamo o voleva dirigere o voleva che lo dirigessimo. C'era chi si avvicinava e lo faceva con il tentativo di usarci, o per guardare indietro, sia con la nostalgia antropologica che con quella militante. Così per alcuni eravamo comunisti, per altri trotskisti, per altri anarchici, per altri maoisti, per altri millenaristi, e così avanti, vi lascio i vari “isti” perché poniate quello che vi pare.
Fu così fino alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, la più audace e la più zapatista delle iniziative che abbiamo lanciato fino ad ora. Con la Sexta alla fine abbiamo incontrato chi ci guarda di fronte e ci saluta e abbraccia, e così si saluta ed abbraccia.
Con la Sexta alla fine abbiamo incontrato voi.
Alla fine, qualcuno che capiva che non stavamo cercando né pastori che ci guidassero, né greggi da condurre alla terra promessa. Né padroni né schiavi. Né capi, né masse senza testa. Però mancava di vedere se era possibile che riuscivate a guardare e a sentire ciò che essendo siamo. Internamente, i passi avanti dei villaggi erano stati impressionanti. Così arrivò il corso “La Libertà secondo gli/le zapatisti/e”. In 3 volte, ci rendemmo conto che c'era già una generazione che poteva guardarci di fronte, che poteva ascoltarci e parlarci senza aspettare una guida, né pretendere sottomissione né che la si seguisse.

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