8-9 aprile: SAN VITTORE. I detenuti del terzo, quarto, quinto raggio e del braccio femminile protestano contro le centinaia di trasferimenti di sfollamento predisposti dal ministero degli interni per far posto ai “politici” arrestati durante la campagna elettorale. Il 9 aprile decine di bandiere rosse sventolano dai raggi in lotta. Duecento detenuti vengono trasferiti all’Asinara, a Mamone, a Favignana, a Noto.
9 aprile: IMPERIA. Un gruppo di detenuti si rifiuta di rientrare in cella per protestare contro la censura dei giornali.
14 aprile: MESSINA. Rivolta nel carcere per migliori condizioni di vita. P. L. R. per punizione è legato al letto di contenzione, e poi trasferito con altri.
17 aprile: FORLÌ. Scoppia una rivolta per avere più libertà nel carcere-scuola. L’anno prima i detenuti si erano già ribellati contro il regolamento e le dure condizioni di lavoro nel carcere.
24 maggio: ROMA-REBIBBIA. Il reparto giovani del carcere “modello” è in rivolta. Cinquanta detenuti sui tetti, strade bloccate dalle pantere e camionette della polizia. La protesta è contro i sistemi fascisti del direttore e del personale di custodia.
01 giugno: NAPOLI, POGGIOREALE. Dopo aver chiesto inutilmente di parlare col direttore di Poggioreale e col procuratore capo, i detenuti riescono ad uscire dalle celle, dopo aver scardinato i cancelli, si radunano nei cortili e salgono sui tetti. Gli agenti di custodia, a cui giungono in aiuto trecento poliziotti armati, sparano colpi di pistola contro i detenuti: A. N. è ferito alla gola da una pallottola ed è ricoverato in fin di vita all’ospedale. Altri due detenuti sono colpiti al viso e alle gambe. Il direttore dichiara: “Questo era un piano preordinato, la rivolta covava da tempo, vogliono l’amnistia”. E difatti già da tempo tra i detenuti c’erano state discussioni e scioperi della fame per l’amnistia. Il giorno dopo i detenuti si rifiutano ancora di arrendersi, malgrado l’intervento massiccio della polizia, che spara lacrimogeni e raffiche di mitra contro i dimostranti, e il tentativo di prenderli per fame e per sete impedendo l’accesso al magazzino dei viveri. Intorno al carcere ci sono centinaia di proletari che gridano “Amnistia e libertà” insieme ai detenuti. Il 3 giugno incomincia la deportazione in massa (più di cinquecento trasferimenti). I detenuti si oppongono in modo duro e organizzato fino all’ultimo. I colpi di mitra, moschetto o pistola sparati all’interno del carcere sono stati centinaia. I detenuti di Santa Maria Capua Vetere organizzano una protesta per solidarietà con la lotta di Poggioreale.
5 giugno: TORTONA. Nel pomeriggio una quarantina di detenuti dopo l’aria si rifiutano di entrare in cella, per protesta contro il sovraffollamento dei bracci e per la riforma carceraria.
7 giugno: BERGAMO. Dopo due giorni di sciopero della fame, i detenuti del carcere di Sant’Agata si rifiutano di rientrare nelle celle dopo la televisione: il carcere è posto subito in stato d’assedio. La polizia spara a raffica, lo stesso direttore del carcere si fa avanti contro i detenuti con la pistola in pugno. La protesta è nata per solidarietà con la lotta di Poggioreale.
7 giugno: ALESSANDRIA. I detenuti del carcere giudiziario, tutti giovanissimi, sono in lotta già da due giorni. Sul tetto sventola uno striscione: “Vogliamo la riforma carceraria”. Sui tetti delle case vicine ci sono centinaia di carabinieri coi mitra spianati.
9 giugno: NICOSIA (Enna). I detenuti scendono in lotta: chiedono tra l’altro il rientro nelle carceri di Napoli di venti detenuti minorenni trasferiti dopo la rivolta di Poggioreale.
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