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giovedì 5 marzo 2020

L’Anarchismo come soluzione

Il pensiero anarchico – in senso proprio, non metaforico – cioè il pensiero di quei «folli dell’anarchia», di quei «fanatici della libertà» che hanno turbato sonni ortodossi e ispirato sogni ribelli, quel pensiero anarchico che oggi viene riscoperto come «libertarismo debole» (nobilitazione di un banale liberalismo o riciclaggio di un sinistrese post-comunista) è pensiero ben più complesso e multiforme di quanto una critica quasi sempre superficiale e una semplicistica divulgazione farebbero credere. Una complessità che certo nasce dalla natura irriducibilmente non dogmatica di quel pensiero, ma anche dalla complessa varietà storica, geografica e sociale del movimento anarchico che è nato da quel pensiero e che quel pensiero ha, a sua volta, prodotto. L’anarchismo, infatti, è stato un grande movimento a valenza internazionale e ad ampio spettro sociale; un fenomeno storico di rilevanti proporzioni che necessita ancora di una riflessione storiografica adeguata. Dalla Russia agli Stati Uniti, dall’Italia al Giappone, dalla Spagna alla Svezia, dalla Francia alla Cina, dalla Corea all’Argentina, dalla Germania al Brasile il movimento anarchico si è espresso in organizzazioni culturali, sindacali, politiche, educative, economiche che hanno coinvolto o influenzato milioni di persone. È stato attivamente presente in alcuni momenti decisivi della storia europea e mondiale: nella Prima Internazionale, nella Comune di Parigi, nella Rivoluzione russa, nel movimento consiliare degli anni Venti, nel sindacalismo latino-americano, nella Rivoluzione spagnola…
L’anarchismo è il risultato del plurimo incrocio tra l’onda lunga della secolarizzazione illuministica, con il suo inesorabile e progressivo «disincanto del mondo», e i due effetti storici che ne hanno avallato e scandito la progressione: la Rivoluzione industriale e la Rivoluzione francese. Culmine culturale ineludibile di questo formidabile intreccio, tutto segnato da una dimensione continuativamente rivoluzionaria, nel significato più esteso del termine, l’anarchismo è dunque – e non potrebbe essere diversamente – l’estremo punto di tale processo. La negazione trasversale di ogni autorità divina e umana, la critica del principio di autorità a ogni livello delle sue determinazioni storiche date e a ogni livello delle sue determinazioni storiche possibili, la critica cioè dell’esistente e di ogni futuro informato dagli stessi principi, pongono l’anarchismo sulla labile frontiera che divide i lembi estremi dell’esercizio rivoluzionario della critica in tutte le sue forme dalla più problematica e ineffabile terra di nessuno del nichilismo.
L’anarchismo è invece la soluzione diversa dalla democrazia perché va molto più in là del socialismo, in quanto ritiene che la rivoluzione non sia tanto nelle cose (e se lo è, questo è un aspetto secondario) quanto nell’ordine della libertà come inizio di una nuova storia, come fondazione irreversibile del farsi della libertà come libertà assoluta. La rivoluzione è l’estrinsecazione di questo futuro e di questa nuova storia, la manifestazione visibile e reale della capacità umana di far coincidere, in un medesimo incrocio spazio-temporale, il senso e la potenzialità dell’azione emancipativa dell’uomo. La rivoluzione anarchica non conosce la distinzione tra tempo storico e tempo rivoluzionario: essa intende inverare il primo nel secondo, interrompendo chiliasticamente la logica del potere con l’eliminazione immediata e totale di ogni possibilità riproduttiva dell’autorità sotto qualsiasi forma.

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