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giovedì 18 febbraio 2021

Le Grandi Montagne di Zucchero Candito

Una sera al calar del sole 

E quando il fuoco della giungla ardeva, 

Lungo i binari giunse un vagabondo 

E disse: «Gente, io non ritorno indietro, 

Sono diretto in un Paese lontano 

Vicino alle fontane di cristallo, 

Quindi vieni con me, andremo a visitare 

Le Grandi Montagne di Zucchero Candito. 


Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito, 

C'è un posto bello e felice, 

Dove cose buone da mangiare crescono sui cespugli 

E si dorme fuori ogni notte. 

Dove i vagoni merci sono vuoti 

E il sole splende ogni giorno 

Sugli uccelli e sulle api e sugli alberi di sigarette 

E la limonata sgorga dove canta la cutrettola, 

Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito. 


Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito 

Tutti gli sbirri hanno le gambe di legno, 

Tutti i bulldogs hanno zanne di gomma 

E le galline fanno uova alla coque. 

Gli alberi degli agricoltori son pieni di frutta 

E i granai sono colmi di paglia. 

Oh, io andrò dove non c'è neve, 

Dove la pioggia non cade, il vento non soffia, 

Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito. 


Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito, 

Non ti cambi mai le calze 

E piccoli rivoli di alcool 

Scendono colando dalle rocce. 

Là, i frenatori devono togliersi il berretto 

E i ferrovieri sono ciechi. 

C'è un lago di stufato e anche di whisky, 

Ci puoi remare tutto attorno su una grande canoa, 

Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito. 


Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito, 

Tutte le prigioni sono di latta 

E puoi uscirne 

Appena ti sbattono dentro. 

Là, non ci sono pale col manico corto 

Né accette, seghe o zappe. 

Io me ne andrò a stare dove si dorme tutto il giorno, 

Dove impiccano il turco che ha inventato il lavoro, 

Sulle Grandi Montagne di Zucchero Candito.

(La letteratura anonima degli emarginati in tutte le epoche ha sempre incluso canzoni e leggende di una società senza fame né oppressione. Gli schiavi del mondo antico rimpiangevano una mitica Età Aurea di uguaglianza ed i neri americani del XIX secolo riponevano in una Vita Futura il loro sogno di una pausa dall'incessante fatica che non potevano sperare in questa. Molto del folclore utopistico è di grande bellezza ed amarezza, ma non c'è nulla di ultraterreno in questa divertente canzone degli «hobos» americani, o lavoratori migratori, di questo secolo. L'hobo non vuol saperne di governi o di sistemi giuridici: egli conosce ciò che lui vuole nella sua sfacciatamente materialistica «repubblica ideale».) 


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