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giovedì 4 febbraio 2021

RUE BARBARE - Gilles Béhat

Una sera, la Rue. L'indifferenza, la paura. Un  uomo, Daniel Chetman, torna dal lavoro. Aveva giurato di non  occuparsi più degli affari degli altri, ma le circostanze fanno sì che porti aiuto a una piccola cinese, soprannominata "la ragazza dei denti di perla". Una ragazza che è stata colpita da chi comanda il quartiere: Hagen. Un gesto di solidarietà che lo condanna poiché trasgredisce la legge non scritta del luogo dove egli vive. Chet ha così spezzato le regole. Ha rotto con la paura.
Ed in fondo quel che Hagen il tiranno vuole. Egli è intervenuto negli affari di colui che impone il suo ordine "nero" a una banda che gli è devota: i Barbari. Tre giorni, tre notti. Ombre e luci dove la tensione non diminuisce. Tre giorni, tre notti che conducono ineluttabilmente Chet a riprendere il ciclo della violenza per affrontare i bruti di Hagen e per difendere Hagen stesso. Tre notti, tre lunghe notti nel corso delle quali conoscerà il dubbio e la disfatta. L'amore nelle  braccia di "Manu la Rouge" e la malinconia della solitudine che si perde con i suoi migliori anni. Tutto è a  posto. Almeno apparentemente. Il clan stesso di Chet non prevede il ciclone. Eddie, la fragile  Eddie, la sua  donna, altre volte vittima della strada. Carla, la sua bella sorella, vittima e orgogliosa del suo corpo. Paul,  suo fratello, vecchio rocker ormai avviato alla deriva. Georges, suo padre, ostaggio di fantasmi e di frustrazioni. E Temporini, infine, simbolo di amicizia. Al nascere della notte, la follia si manifesta in tutte le  sue forme. Eddie e Hagen hanno perduto la vita. La  purezza della prima era il prezzo da pagare. I resti del secondo sono stati  dispersi dalla folla. La folla che, domani, riprenderà il suo aspetto normale e che aprirà senza  dubbio alla via un nuovo capo... 
Il regista Gilles Béhat: “Il libro di David Goodis “Epaves” mi ha toccato profondamente: vi ho ritrovato l'universo della mia adolescenza. Io ho vissuto in un centro alla periferia di Lilla. Vi assicuro che nel 1965 il clima era di paura e  di delinquenza. Nel mio quartiere c'era uno che dirigeva una banda di balordi che avevano tra i 25 e i 30 anni. Questi ragazzi esprimevano la violenza allo stato più brutale, e San, il loro capo, era un "padrino". L’ho ritrovato in "Epaves"  qualcosa che avevo già  conosciuto e da cui poi ho sentito bisogno di allontanarmi  per entrare nella musica (sono stato chitarrista di un'orchestra per rock per  quattro cinque anni)  e successivamente nel  teatro. Il fatto che la gente del quartiere passa ai  fatti non è forse la condanna della  neutralità? La violenza alla dittatura  è  infatti uno dei temi posti da Goodis. Quando uno regna con il  terrore, la forza, il potere della violenza  si riverbera sul quartiere della gente co stretta a subire. Che fare?  È la "Rue  barbare". Il racconto riguarda  una regione, un paese. Chet fa la sua rivoluzione. Egli capovolge il  potere, e se ne va. È nella periferia di Chet che si  "afferma" il quartiere. La periferia è una frontiera. È in questo mondo che la gente vive le sue angosce, la sua solitudine, le sue speranze, la sua miseria. Questo mondo che si defila è una specie di treno che passa su cui le persone non possono salire. È un mondo che passa... Di fronte alla dissoluzione, Goodis oppone la derisoria espressione della sua poetica in cui si annida chi tenta di lottare contro un male misterioso che gira  attorno e  distrugge  la vita nel suo medesimo senso. Conoscevo Goodis soprattutto attraverso il cinema. Io sono rimasto colpito da  "Epaves",—mi ha affascinato la straordinaria parabola sulla violenza, il potere e la presa di coscienza di gente che a un dato momento decide non di non vivere più sotto la dittatura di un "padrino" di quartiere".






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