Translate

giovedì 11 febbraio 2021

Un epoca rivoluzionaria, Mikhail Bakunin – parte seconda

Il  trattamento che ricevette qui avrebbe distrutto una fibra meno solida della sua. Gli vennero negati  ogni assistenza legale e il permesso di scrivere e ricevere lettere. Poteva disporre soltanto di mezz'ora di “aria” al giorno, durante la quale passeggiava su e giù per il corridoio guardato a vista da sei uomini armati di fucile. Non poteva neppure raggiungere il cortile per l'aria, perché le autorità temevano che con la sua  oratoria ormai leggendaria egli potesse convincere gli animi e suscitare sommosse. Ma neppure queste inumane persecuzioni tranquillizzano le autorità. Dopo nove mesi di questo trattamento si sparge la voce che gli amici del rivoluzionario hanno un piano per liberarlo. Di conseguenza Bakunin viene trasferito alla fortezza di Olmiitz  e incatenato al muro. Due mesi dopo, un tribunale militare Io condanna per alto tradimento. Ancora una volta il potere cerca di disfarsi di Mikhail Bakunin: la condanna è all'impiccagione. Ma ancora una volta avviene qualcosa che  rimanda l'appuntamento con la morte. Bakunin era un ufficiale russo: e lo zar lo richiese perché voleva ammazzarlo lui. Gli austriaci lo accompagnarono alla frontiera e lo  consegnarono ai russi, che lo caricarono di catene ancora più pesanti. L'eroe giovanile e romantico si avvia a diventare un martire. Lo zar lo fece rinchiudere nella fortezza Pietro e Paolo di Pietrogrado, e la tortura gli estorse una di quelle «confessioni» di cui sono specialiste le polizie segrete e di cui il potere si serve per umiliare gli avversari politici. Verso il 1840, Bakunin aveva scoperto il socialismo e l'anarchismo francesi, all'incirca un paio d'anni prima di Marx; e come Marx, a contatto delle idee francesi aveva ripudiato l'ideologia tedesca. Ora vuole «la Chiesa universale e autenticamente democratica della  libertà», paradigma dell'aspirazione rivoluzionaria del suo secolo. Ma dopo l'isolamento, la catena, la tortura, la galera, tutto ciò, insomma, che gli ha fatto cadere i capelli e i denti, ha un solo problema: riacquistare la libertà personale per continuare la lotta. Non vuole più marcire nell'umida gabbia che non gli consente neppure di stare diritto in piedi. La sua confessione allo zar Nicola I ha dunque un carattere strumentale: ingannare il tiranno, uscire di galera. Ma Bakunin non è un uomo capace di mentire: in lui anche il calcolo, il cinismo politico si colorano di una patetica vena di autenticità, come quando ammette che aveva potuto credere alla rivoluzione finale «solo con uno sforzo sovrannaturale e doloroso, soffocando a forza la  voce intima che mi  sussurrava l'assurdità delle mie speranze». «Ora auspico una  dittatura illuminata ma impietosa, esercitata per il popolo.»
Davanti allo zar  Bakunin evoca il sogno di un impero slavo rivoluzionario. Il tono è ossequiente in modo palese, ostentato. Ma si tratta solo di doppio gioco per ingannare lo zar e riavere quella libertà che serve al rivoluzionario per ordire la caduta dello zarismo? Questa è la molla contingente e forse la fondamentale, ma Bakunin è un russo, e i suoi modelli politici sono quelli panslavi ereditati dalla tradizione, e rafforzati dalla forza di convincimento della galera e della tortura. Quando la sorella più amata andò a trovarlo, Bakunin le fece passare un  biglietto disperato: «Non potrai mai capire che cosa significa sentirsi sepolto vivo, dire a se stesso a  ogni momento del giorno e della notte: sono uno schiavo, sono annientato, ridotto all'impotenza a vita, udire nella propria cella i prodromi della prossima lotta che deciderà gli interessi più vitali del genere umano ed essere forzato a rimanere inattivo e silenzioso, essere ricco di idee, alcune delle quali, almeno, potrebbero essere belle, e non poterne attuare nemmeno una; sentire l'amore in petto, si, l'amore, a dispetto della pietrificazione esteriore, e non poterlo spendere per niente e per nessuno, sentirsi pieno di devozione e di eroismo verso una causa sacra e vedere il proprio entusiasmo che s'infrange contro quattro mura nude, uniche mie confidenti». Il doppio gioco, le suppliche della famiglia Bakunin non servirono. Lo zar aveva deciso: il rivoluzionario doveva morire. 
 



Nessun commento:

Posta un commento