Il dominio, il potere, nella politica e nella strada, in pace come in guerra, appartiene a chi è meglio equipaggiato tecnicamente. La borghesia è stata sostituita da una classe tecnocratica che non è nata da una rivoluzione antiborghese ma dalla crescente complessità sociale provocata dalla lotta di classe e dall’intervento statale. Sul cammino verso una nuova società basata sull’alta produttività procurata dall’automazione e sull’economia dei servizi, la borghesia si è trasformata in una nuova classe dominante. Questa non si basa sulla proprietà privata o sul denaro, ma sulla competenza e la capacità di gestione; la proprietà e il denaro sono necessari ma non determinanti. La forza della classe dominante non proviene esclusivamente dall’economia, né dalla politica e nemmeno dalla tecnica, ma dalla fusione delle tre in un complesso tecnologico di potere che Mumford chiamò “megamacchina”. Se la tecnica, diventata l’unica forza produttiva, ha permesso il trionfo dell’economia, ora l’economia, creando il mercato mondiale, ha spianato il cammino alla tecnica, e questa impone la dinamica espansiva della produzione di massa al mondo intero. A modo suo ha ridicolizzato la figura dello Stato, degradando la sua storia e il suo ruolo dopo che l’economia lo ha convertito nel padrone più grande e la tecnica lo ha trasformato in un macchinario di governo e di controllo delle masse. Dalla fine del XIX secolo la stabilità del sistema capitalista è stata ottenuta grazie all’intervento dello Stato, che ha messo in atto una politica economica e sociale correttrice. Lo Stato ha smesso di essere una sovrastruttura autonoma per fondersi con l’economia e presentarsi come un terreno neutrale in cui il confronto tra le classi poteva trovare soluzioni. Lo Stato diventava il garante dei miglioramenti sociali, della sicurezza e delle opportunità. Lo Stato “del benessere” fu un’invenzione che assicurava al tempo stesso la rivalorizzazione del capitale e l’acquiescenza delle masse. Al suo interno la politica si trasformava progressivamente in amministrazione, si professionalizzava, si orientava verso la soluzione di questioni tecniche. Quand’anche il regime politico fosse una democrazia, la politica non poteva essere oggetto di discussione pubblica: in quanto esposizione e risoluzione di problemi tecnici richiedeva da un lato un sapere specializzato – era una tecno politica – nelle mani di una burocrazia professionista, e dall’altro un allontanamento – una spoliticizzazione – delle masse. Il progresso tecnico ha ottenuto questa spoliticizzazione. Ha avuto la capacità di isolare l’individuo nella società, circondandolo di marchingegni domestici e immergendolo nella vita privata. D’altra parte, ciascuna tappa del cosiddetto progresso annulla la precedente, sviluppando un dinamismo compulsivo in cui la novità è accettata semplicemente per il fatto di essere una novità e il passato viene relegato all’archeologia. In questo modo crea un continuo presente in cui non succede niente dato che niente ha importanza e in cui gli uomini sono indifferenti.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 30 dicembre 2021
Eroi o disertori nella prima guerra mondiale
Al Festival di Spoleto del 1964 la presentazione della canzone “disfattista” Gorizia suscita scandalo e le proteste ufficiali di varie associazioni d’arma, nonché alcune interrogazioni parlamentari e l’incriminazione dei responsabili per vilipendio delle Forze Armate (la strofa incriminata recitava: “Traditori signori ufficiali/ questa guerra l’avete voluta/ scannatori di carne venduta (e rovina della gioventù)”.
Il gruppo dei grufoli
Il giorno 25 giugno del 1915, mentre il Caporal Maggiore passeggiava in via Cavour in Verona fu avvicinato da un soldato di Cavalleria che gli introdusse nella bottoniera della giubba un foglio di carta piegato. Apertolo e accortosi che si trattava di uno stampato “sovversivo” inseguì il distributore il quale, in compagnia di altri due soldati, proseguiva la via continuando a distribuire altri foglietti identici ai militari che incontrava. Insieme a M. L. era il sergente L. e vi si unì anche l’ufficiale di picchetto di Castelvecchio. I tre soldati, accortisi dell’inseguimento, si diedero alla fuga. Due furono raggiunti e identificati nelle persone dei soldati di Cavalleria F. P. e S. F., il terzo si dileguò né fu rintracciato. Iniziatesi le indagini e dopo una perquisizione furono identificati altri nuovi soldati del reggimento, i quali avevano “relazioni fra di loro ed erano collegati in opera criminosa tendente a scalzare la disciplina dell’esercito”. Come elementi a carico degli imputati, furono rinvenute delle lettere contenenti numerose espressioni di indole sovversiva e inneggianti a ideali rivoluzionari; tra le frasi più salienti furono notate: “Carissimo Grufolo saluta tutto il gruppo dei Grufoli” e l’indirizzo al soldato Grufolo Grufoletti, quinto Grufolini, all’interno frasi auguranti il trionfo dell’internazionale anarchica; in un’altra lettera, diretta ai “Carissimi Grufolini”, fu rinvenuto un articolo scritto per un giornale “sovversivo”; due fogli supplemento al “Libertario” intitolati Mentre la tragedia precipita; una foto di gruppo dove S. F. appariva con una fascia a bandoliera su cui si leggeva la parola “ANARCHIA”. Tutti i soldati incriminati furono giudicati colpevoli di propaganda sovversiva e condannati a pene variabili dai dieci ai venti anni di carcere.
L’utilizzo del consenso come abdicazione della libertà
La società dei consumi interiorizza semplicemente la costrizione sociale, trasformando la paura della repressione in vergogna della emarginazione. Il paradosso è che la libertà circolante nella democrazia dei consumi “libera” tutte le forme di licenza corruttrice ed oltretutto miope e contraddittoria in funzione di un unico scopo, quello dell’interesse esclusivamente individuale che, per corrispondenza all’abrasione sociale dell’individualità, elimina semplicemente la relazionalità come condizione e partecipazione all’umanità. Contestare le istituzioni significa, contestare questo monopolio espropriante che mantiene in uno stato di inferiorità e di dipendenza permanente anzi progressiva, gli individui che compongono la società e che invece di maturare attraverso e grazie ad essa sono costretti sempre più e in ogni campo ad obbedire a chi comanda con una giustificazione che riduce di molto la differenza tra metodi violenti e metodi democratici, quando questi si avvalgono di mezzi di persuasione che fanno del consenso una vera e propria abdicazione alla libertà di giudizio e cioè all’esercizio effettivo della coscienza.
giovedì 23 dicembre 2021
La sociologia urbana di Murray Bookchin
Bookchin si forma da un punto di vista culturale e politico in coincidenza con la crisi economica del ’29, con la guerra di Spagna del ’36 e nel crogiuolo delle lotte operaie che si sviluppano durante il New Deal statunitense prima della seconda guerra mondiale. La sua formazione intellettuale, politica e sindacale è in questo periodo profondamente influenzata dal marxismo militante di quegli anni. Solo dopo la guerra, in corrispondenza con l’avvio della più grande fase di espansione economica capitalistica della storia, Bookchin assume decisamente dei punti di vista libertari, anarchici ed ecologici. Di fronte all’incapacità della sinistra marxista, dei socialisti e dei comunisti - che durante gli anni Trenta avevano conosciuto una vasta popolarità ed influenza sui settori di classe più colpiti dalla crisi, influenza testimoniata dai quasi due milioni di voti che complessivamente raccolgono alle elezioni del ’32 - di organizzarsi in opposizione politica e sociale radicale in un periodo segnato, tra l’altro, dalla famosa caccia alle streghe di McCarthy. Due sono i terreni di riflessione che Bookchin individua a dimostrazione delle evidenti potenzialità distruttive dello sviluppo capitalistico: la crisi della città e la degradazione dell’ambiente naturale. La potente trasformazione della città avviatasi agli inzi del ‘900, dalla quale hanno origine, come sostiene anche Mumford, le prime metropoli - ambienti urbani che si strutturano attorno ai ghetti e che si riproducono sulla base di separatezze, antagonismi e campanilismi - è il primo evidente processo di dissoluzione di un’antica solidarietà che era profondamente radicata tra le classi popolari, tra gli operai ed i proletari dei quartieri storici cittadini, solidarietà basata essenzialmente su un agire e su rapporti essenzialmente comunitari. L’utilitarismo ottocentesco, al quale si rifanno in sostanza le dottrine neo-classiche dell’economia di mercato, sosteneva che la società si fondava sulla messa in comune di scopi di utilità economica, come il guadagno ed il profitto, che a loro volta fondavano un sistema di rapporti contrattuali nei quali il principio del vantaggio reciproco diveniva implicito. Bookchin, invece, sostiene con forza che la coesione dei rapporti sociali si è fondata per lungo tempo sulla solidarietà, sul minimo irriducibile e sull’ usufrutto, concetti che potrebbero sostituire ancor oggi il nostro sacro concetto di possesso e di utilità. La fenomenologia della città ben rappresenta la regressione della comunità umana da consociazione liberamente scelta e fondata sul senso della socializzazione dell’agire politico, ad associazione sociale basata sull’interesse, sull’utilità e sulla delega allo stato della definizione della normatività sociale. Parallelamente all’analisi della città, Bookchin avvia la sua prima riflessione sulla questione ecologica. Per primo egli intuisce che la crisi ecologica è generata dai rapporti di produzione capitalistici; in definitiva è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo che giustifica ed organizza lo sfruttamento della natura Una società gerarchica, sostiene Bookchin, ha una visione gerarchica anche della natura; ma allo stesso tempo l’idea di una natura organizzata in modo autoritario, gerarchico e competitivo rafforza gli istituti dominanti della stessa società. Per questo, a suo avviso, occorre che si ritorni ad una visione diversa della natura, ad una filosofia della natura oggettiva che ne riporti i preponderanti caratteri di solidarietà, ricchezza, mutualismo ed abbondanza. Per Bookchin diventa assolutamente necessario, per superare le secche in cui si dibatte il movimento, mutare il luogo stesso del conflitto sociale, trasferendolo dalla fabbrica alla società, cioè dal luogo della produzione, spazio che in realtà non è mai stato momento di liberazione, al luogo della socializzazione politica per eccellenza, la comunità cittadina.
SOUR TIMES - Portishead
Fingere che nessuno possa trovare
I difetti della rosa mattutina
Frutto proibito, occhi nascosti,
Cortesie che disprezzo in me
Ingannati, provaci adesso
Perché nessuno mi ama
E' vero
Non come te
Coperto dalla fede cieca
Che le fantasie di schermi peccaminosi
Sostengono i fatti, ne assumono il colore
Mettono fine alle promesse, non serve mentire, godi
Ingannati, provaci adesso
Perché nessuno mi ama
E' vero
Non come te
Chi sono io, cosa e perché?
Perché tutto ciò che mi è rimasto sono ricordi di ieri
Oh, questi tempi amari
Perché nessuno mi ama
E' vero
Non come te
Dopo un po' che il sapore amaro
Dell'innocenza, discreto o forte
Abbia sparso i semi, sotterrato vite
I misteri del nostro inganno ritornano
La circostanza deciderà...
Perché nessuno mi ama
E' vero
Non come te
Perché nessuno mi ama
E' vero
Non come te
Nessuno mi ama
E' vero
Non come te
Elisée Reclus pensatore vivente
Rinomata personalità della storia della geografia e del pensiero politico, Elisée Reclus dovrebbe essere studiato come un pensatore vivente, in quanto promotore di idee estremamente attuali. In primo luogo il geografo può essere definito come il primo grande “teorico dell’ecologia sociale”, avendo trasformato la geografia sociale in una complessiva visione del mondo, che individua gli stretti legami esistenti fra società e ambiente naturale. La sua opera precorre i tempi nell’analisi di diverse questioni ecologiche, come la deforestazione, la distruzione del paesaggio, gli abusi dell’agricoltura industrializzata e il bisogno di una ricostituzione ecologica dell’ambiente. Altrettanto pionieristica è la sua politica ecologica, che lega la soluzione di problemi sociali ed ecologici alla necessità di una radicale trasformazione politica ed economica della società. Reclus ci offre inoltre una delle più complete analisi del problema del dominio nella storia del pensiero politico, anticipando i risultati di studi successivi. Le sue convinzioni scaturiscono da una filosofia della storia sottile e dialettica, che cerca di svelare sia gli elementi di progresso sia quelli regressivi di ogni processo storico. Secondo Reclus ci si muove verso una società libera e solidale, basata sull’amore per l’umanità, per gli altri esseri viventi e per l’intero mondo naturale. Questa visione anarchica esprime una prospettiva morale che prefigura sotto molti aspetti l’etica della cura ed enfatizza l’importanza della trasformazione individuale per un più profondo cambiamento della società.
giovedì 16 dicembre 2021
Azione diretta
LETTERA Al MIEI AMICI... - Jean-Luc Godard
(Lettera ai miei amici per imparare a fare il cinema insieme)
Io gioco
Tu giochi
Noi giochiamo
Al cinema
Tu credi che ci sia
Una regola del gioco
Perché sei un bambino
Che ancora non sa
Che si tratta di un gioco e che
Riservato ai grandi
Dei quali tu fai già parte
Perché hai dimenticato
Che si tratta di un gioco per bambini
In che cosa consiste
Ci sono diverse definizioni
Eccone due o tre
Guardarsi
Nello specchio degli altri
Dimenticare e sapere
Presto e lentamente
Il mondo
In se stessi
Pensare e parlare
Che strano gioco
E' la vita
Gli anarchici e l’emigrazione italiana in Brasile
L’esodo delle masse lavoratrici europee che nella seconda metà dell’800 emigrarono nelle Americhe portò con sé tutti quegli elementi culturali che contraddistinguevano le popolazioni che ne furono protagoniste, compresa quella serie di apparati filosofici e ideologici sorti dopo la Rivoluzione francese, fra cui spiccavano per importanza e diffusione il socialismo e l’anarchismo. Chi professava in patria queste dottrine era spesso soggetto alla persecuzione delle oligarchie dominanti e “l’esilio” nelle Americhe poteva rappresentare una valida alternativa al carcere. Questo esilio, più o meno volontario, degli attivisti anarchici europei era spesso visto di buon occhio dagli stessi governanti, che potevano considerare l’emigrazione come un’ottima valvola di sfogo per alleggerire la pressione sociale in Europa. Per quanto riguarda gli italiani, l’emigrazione di massa nei primi anni si diresse maggiormente verso l’America Latina, e in modo particolare verso il Brasile. Accadde così che numerosi piccoli intellettuali della penisola, militanti di ideologie ritenute sovversive o in qualche modo foriere di rinnovamento sociale, si ritrovassero nel Paese sudamericano a svolgere la propria propaganda in un contesto completamente nuovo, in cui le oligarchie dominanti erano costituite essenzialmente dalla nobiltà di origine coloniale (ma non solo), mentre gli strati socialmente più bassi della popolazione erano formati dai nativi, spesso ex schiavi neri, a cui si aggiungevano gli emigrati di origine europea. Nella città di São Paulo la propaganda anarchica veniva svolta tramite conferenze, dibattiti, rappresentazioni teatrali di carattere didattico (i testi più frequentemente rappresentati erano i drammi di Pietro Gori, benché anche i militanti locali producessero una discreta quantità di letteratura didascalica), ma soprattutto tramite la redazione di giornali e foglietti di propaganda. Nel periodo che va dal 1892 al 1920 si contano più di venti differenti testate italiane dichiaratamente anarchiche, alcune delle quali ebbero durata pluriennale, come a “La Birichina”, “La Battaglia” o “La Lotta Proletaria”. Il tentativo di coinvolgere il proletariato in forme di lotta collettiva si scontrava fondamentalmente con due difficoltà, una endogena e l’altra esogena rispetto alla società brasiliana. La prima era costituita dalle caratteristiche pre-moderne dei rapporti di lavoro nelle fazendas brasiliane (le piantagioni di caffè): la proprietà della terra era fortemente concentrata e i latifondisti, ancora in possesso di una mentalità schiavista (l’economia caffeicola brasiliana si era fondata sul lavoro servile fino alla sua definitiva abolizione, avvenuta solo nel 1888), esercitavano un potere assoluto di stampo feudale nei propri possedimenti. La visione classista della società propugnata dagli anarchici veniva da questi additata come priva di fondamento, una “pianta esotica” portata da pochi agitatori europei in una realtà che non rispondeva a questa lettura. La seconda difficoltà era data dalle aspettative di arricchimento ed emancipazione individuale che gli immigrati in generale avevano, e la scarsa ricettività che un messaggio di rinnovamento sociale da attuare attraverso una lotta collettiva poteva avere presso di loro, per lo meno nei primi anni di emigrazione di massa. Per questo l’opera degli attivisti anarchici fu efficace quando riuscì a inserirsi nelle dinamiche più quotidiane del proletariato, sostituendo con la pratica collettiva dell’azione diretta (scioperi, boicottaggi, danneggiamento dei mezzi di produzione) le pratiche convenzionali con le quali il contadino (divenuto operaio nelle fabbriche di São Paulo) era solito affrontare le avversità dell’esistenza, in particolare le pratiche religiose, la ricerca di sicurezza nel clan familiare e le prospettive individuali di ascesa sociale.
giovedì 9 dicembre 2021
LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA
La strage di p.za Fontana non ci è giunta del tutto inattesa. Da molto tempo prevedevamo e temevamo un attentato sanguinario. Era nella logica dei fatti. Era nella logica dell’escalation provocatoria iniziata il 25 aprile. Per giustificare la repressione, per seminare la giusta dose di panico, per motivare la diffamazione giornalistica e scatenare l'esecrazione pubblica ci voleva del sangue. E il sangue c'è stato. Purtroppo, come avevamo previsto, la repressione mascherata da “democratica” tutela dell'ordine contro gli opposti estremisti ha continuato la sua marcia. Solo noi anarchici sembravamo accorgercene. Per mesi abbino gridato nelle piazze, scritto sui muri, sui manifesti, nei volantini, ripetuto nei nostri giornali che era solo l'inizio. E sulle pane ci ritrovavamo soli, manganellati, fermati, denunciati e per di più ignorati dai marx-leninisti, dal M.S. e dagli altri “neo-rivoluzionari”, i quali ritenevano di avere cose più importanti di cui occuparsi, ben lieti in fondo che polizia magistratura stampa se la prendessero con gli anarchici. Poi, come avevamo previsto, la repressione si è estesa, con igliaia di denunce a operai, centinaia di fermi, perquisizioni ecc. Per la prima volta a Milano è stato violentemente impedito un corteo del Movimento Studentesco (quelli anarchici erano stati sempre dispersi brutalmente)... Anche un cieco avrebbe potuto capire cosa stava succedendo e sembrava che anche i giovani dilettanti della rivoluzione marx-leninista cominciassero finalmente a capire. E invece no. Eccoli a gridare — facendo coro con la sinistra parlamentare, ben altrimenti interessata — che la repressione non passerà. Come se la repressione non fosse già passata, come se fosse normale routine democratica tutto quello che da qualche mese sta' succedendo, come se fosse normale routine democratica che i fermati dalla polizia “cadano” dal 4° piano della questura e diecimila operai vengano denunciati e decine di militanti di gruppi extraparlamentari vengano incriminati e condannati rispolverando i famigerati articoli 270-71-72 del codice fascista... Come se fosse normale routine democratica che per gli attentati scopertamente reazionari vengano immediatamente accusati gli anarchici (cfr. dichiarazione del poliziotto dr. Calabrese) e fermati, interrogati, perquisiti 588 (cinquecentoottantotto) militanti della sinistra extraparlantentare e 12 fascisti (rilasciati per primi dopo essere stati trattati con ogni riguardo)... A quanto pare i nostri scientificissimi “cugini” marxisti riconoscono la repressione ed il fascismo solo quando porta il fez (e solo, naturalmente, quando li colpisce direttamente). In questo bollettino non abbiamo potuto raccogliere per mancanza di tempo e spazio tutta la documentazione sull'estendersi della repressione (già del resto ampiamente documentata dalla stampa). Ci siamo limitati al campo anarchico, trovando in esso non solo la nostra specifica funzione di Crocenera, ma anche purtroppo sufficiente materiale. Perché la repressione si è estesa, ma continua a colpire sempre e pesantemente gli anarchici. Anarchico era Pinelli, la prima vittima prescelta della repressione (dopo i morti di Avola e Battipaglia, vittime “casuali”); anarchico è Valpreda, capro espiatorio della montatura provocatoria; anarchici in larga parte i fermati ed i perquisiti (oltre settanta solo a Milano); anarchico il movimento politico scelto come primo più facile bersaglio della calunnia dei pennivendoli... (da Crocanera n. 5, febbraio 1970)
UN FATTO DI CRONACA
Nel 1973 quando era in prima media, Claudia Pinelli, la minore delle due figlie di Licia e Pino, raccontò la sua versione dei fatti in un compito in classe.
Tema: Un fatto di cronaca
Svolgimento
Erano verso le h. 4 del pomeriggio, a un tratto echeggiò una esplosione, molta gente accorse dove si era sentito il boato; davanti a loro stavano le macerie di una banca distrutta e qua e là corpi straziati. Così avvenne quella che noi ora definiamo: La strage di Piazza Fontana. La polizia non sapeva dove mettere le mani, così decise di addossare la colpa agli anarchici. Li vennero a prendere per portarli in questura. In quelle tragiche notti perse la vita il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli fermato dalla polizia come tanti altri suoi compagni. La moglie (Licia Pinelli) ora si sta battendo per scoprire la verità sulla morte del marito, perché lei è convinta con le sue figlie, che Giuseppe Pinelli non si è suicidato, ma sia stato ucciso. La polizia, vedendo la reazione della moglie, si affrettò subito a dire che Pinelli era un bravuomo e che il giorno seguente lo dovevano liberare. Ma alla vedova Pinelli non bastavano le loro assicurazioni; ora era sola e doveva provvedere al mantenimento delle sue due bambine, Silvia di 9 anni e Claudia di 8. Intanto per la strage di Piazza Fontana era stato accusato Valpreda. Sono passati tre anni dalla strage di Piazza Fontana e Valpreda è stato rilasciato in libertà provvisoria senza un vero processo (ben due processi sono stati rinviati). Speriamo che il terzo processo sia quello che faccia trionfare la giustizia liberando gli innocenti e imprigionando i veri colpevoli.
La Strategia eversiva e i suoi responsabili
Apparentemente, la strategia eversiva sarà condotta sul terreno da un coacervo di forze di destra civili, settori dell'economia, strutture militari e paramilitari e vere centrali terroristiche come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale — che ne saranno gli effettivi bracci armati — ma non mancheranno addentellati con la mafia, sempre vicina ai servizi americani. Vere coordinatrici e promotrici della strategia si riveleranno però alcune organizzazioni politico-militari, formalmente clandestine ma con altissimi livelli di copertura politica e cospicui mezzi economici. Si tratta di strutture eversive ufficialmente non istituzionali, ma di fatto para-istituzionali, parastatali si potrebbe dire, avendo al loro interno funzionari ed esponenti di spicco delle realtà economiche, politiche, istituzionali e militari. Questi organismi controllano ingenti depositi di armi e centri di addestramento attrezzati per operazioni clandestine e di sabotaggio e fanno capo direttamente o indirettamente a una più vasta rete "coperta" e ramificata, creata negli anni '50 in ambito Nato-Cia, nota come Stay Behind Net, "la rete che sta dietro", una rete in origine pensata per essere attivata in caso di invasione sovietica, ma che avrebbe potuto tornare utile anche in caso di vittoria o possibile vittoria elettorale di partiti comunisti, e/o qualora ci fosse la necessità di ristabilire un ordine sociale. Fa parte formale della rete, fin dal lontano 1956, la Gladio, struttura paramilitare "coperta" coordinata dal Ministero della Difesa, mentre vi si riferiscono in modo non formale altre strutture più recenti, dai nomi ormai noti. composte sia da civili che da militari, fra le quali l' "Aginter Presse", la loggia massonica "P2", l'organizzazione "Rosa dei venti", il "Movimento azione rivoluzionaria" (Mar), l'"Anello" noto anche come "Sid parallelo" o 'Noto servizio", i "Nuclei di difesa dello Stato" ed altri gruppi minori. Dietro e/o dentro queste organizzazioni si muovono oltre ai servizi "di capi di governo, Ministri (di Interno e Difesa in particolare), politici di primo piano (della Dc, del Psdi e del Msi in primis), pezzi di magistratura e molti alti funzionari dell'esercito, della finanza, della polizia e dei carabinieri — specifico di questi ultimi è nel 1964 il famoso "Piano solo" — oltre a giornalisti, spie, giornalisti-spia, cani sciolti, ex repubblichini e nuovi fascisti, in un reticolo di connessioni, complicità e ricatti i cui intrecci, nonostante le numerose inchieste giudiziarie, rimangono in gran parte avvolti da una spessa nebbia. Consultando i documenti dell'UAAR si rimane sconcertati dalla quantità di gruppi e organizzazioni, dichiaratamente fasciste e più o meno colluse con strutture istituzionali, sulle quali i burattinai dell'eversione e il "partito americano" potevano contare e che potevano agevolmente manipolare. Certamente i servizi di sicurezza e i loro settori segreti e supersegreti, nazionali e non, vi giocarono un ruolo primario, ma ricordiamo sempre che nessuno di loro giocava in modo autonomo come si è poi cercato di far credere. I fantomatici servizi deviati avevano tutti, direttamente o no, un referente istituzionale, che in molti casi era lo stesso Presidente del Consiglio in carica. "Io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l'Anello", ha detto in una intervista nel 2011 il capo della P2 Licio Gelli. È ormai risaputo che le supposte deviazioni rispondevano in realtà a vertici politico-istituzionali ed a esigenze di ordine sovrannazionale (leggi Nato, Cia...) legate alla logica dei blocchi, alle quali questa Repubblica era sottomessa. Dopo il fallimento della strategia della tensione e delle stragi, tanto i "fascisti" quanto i "servizi deviati" saranno il comodo alibi dello Stato e dei suoi apparati. (Tratto da “La finestra è ancora aperta” Gabriele Fuga - Enrico Maltini)
giovedì 2 dicembre 2021
Kropotkin - Le ragioni e il metodo di una scienza della morale
Kropotkin iniziò ad occuparsi di scienze naturali durante la giovinezza, mentre prestava servizio con i Cosacchi nell’estremo oriente siberiano. Iscrittosi poi alla facoltà di scienze, intraprese alcune importanti spedizioni naturalistiche come geografo nella penisola scandinava. Attraverso le osservazioni e i dati raccolti in questi viaggi egli riuscì in seguito a fornire delle spiegazioni esatte dell’orografia euroasiatica e delle fasi dell’era glaciale in Europa, che gli valsero la nomina a segretario della sezione geofisica della Società russa di geografia – incarico che rifiutò poiché “Tutte le belle parole sono inutili, quando gli apostoli del progresso si tengono lontani da quelli che pretendono spingere in avanti”3. Proprio nel corso di questi viaggi in luoghi remoti, selvaggi e solitari l’interesse naturalistico si lega a quello etico-politico, fino a portare Kropotkin ad elaborare un metodo filosofico transdisciplinare ed una filosofia di vita rivoluzionaria e ribelle. Gli uomini primitivi appresero dunque dall’osservazione degli animali immersi nel proprio habitat delle vere e proprie lezioni di socialità e di etica. Essi impararono che gli individui e i gruppi, tranne rare eccezioni, sono inseparabili l’uno dall’altro, che essi non si uccidono quasi mai l’uno con l’altro, e che le specie più deboli possono, grazie all’unione e alla fiducia l’uno nell’altro, affrontare avversari ben più forti di loro. I nostri antenati poterono senz’altro osservare che in molti gruppi animali sono presenti sentinelle che si alternano a fare la guardia nei momenti in cui il gruppo è esposto ad un possibile pericolo; si può ragionevolmente ipotizzare che l’uomo, ancora nomade, abbia capito proprio dall’osservazione di animali riuniti in colonie tutti i vantaggi di una vita stabile, oppure aver compreso da alcune specie animali l’utilità di una riserva di cibo, o ancora l’importanza del gioco per rinsaldare la fiducia reciproca. Secondo Kropotkin, esiste una doppia tendenza “caratteristica della vita in generale”: “da un lato la tendenza alla socialità; dall’altro, come risultato di questa, l’aspirazione a una più grande intensità di vita, da cui il bisogno di una più grande felicità per l’individuo”. Tale duplice aspirazione costituisce “una delle proprietà fondamentali e uno degli attributi necessari a qualsiasi aspetto della vita sul nostro pianeta”. Nell’uomo questa doppia tendenza risponde a due bisogni e a due sentimenti contrapposti: da un lato il bisogno di unione e il sentimento di reciproca simpatia – che porta gli uomini ad unirsi in gruppo “per attendere con uno sforzo comune all’attuazione di ciò che non è possibile realizzare da soli” – e dall’altro il bisogno di lotta e di autoaffermazione, che spinge gli uomini a “dominare i loro simili per scopi personali”. Tuttavia, poiché nella natura animale “gli istinti più durevoli prevalgono sugli istinti meno persistenti”, la nostra coscienza morale “è il risultato di una lotta durante la quale un istinto personale meno forte cede all’istinto sociale più costantemente presente”; il risultato di una comparazione tra il proprio desiderio personale e gli istinti sociali – che sono prevalenti perché ereditari, riconosciuti da tutti i membri del gruppo e riconoscibili nelle altre specie. Si cerca allora di rendersi conto di quel sentimento morale che s’incontra ad ogni passo, senza averlo ancora spiegato, e che non si spiegherà mai finché lo si crederà un privilegio della natura umana, finché non si discenderà sino agli animali, alle piante, alle rocce per comprenderlo. (P. KROPOTKIN, La morale anarchica)
L’ULTIMA ONDA – Peter Weir
David Burton è un tranquillo avvocato di Sidney, tutto lavoro e casa ove è atteso dalla moglie Annie e dalle figliolette Susan e Grace. Quando la polizia accusa alcuni aborigeni di avere ucciso uno di loro, certo Billy Corman, il reverendo Burton, un pastore, padre di David, lo induce ad assumerne la difesa nonostante non sia solito accettare cause penali. Per meglio difendere i suoi clienti, David chiede informazioni a Chris, uno di loro che lo mette in contatto con l'anziano e misterioso Charlie. Nel frattempo accadono fatti inspiegabili nella natura australiana quali piogge a ciel sereno, grandinate con chicchi colossali, discesa dal cielo di petrolio e ranocchi; e il giovane avvocato compie dei sogni che gli danno l'impressione di esser già vissuto in altra epoca. Chris, infatti, gli chiede se non sia un "mulkurul", cioè uno di quegli esseri che compaiono ciclicamente sulla terra per annunciare la fine di un'era e l'inizio di un'altra dopo una immane catastrofe. David, dopo avere cercato di mettere in salvo la famiglia, perde la causa, penetra nei sotterranei ove gli aborigeni metropolitani hanno conservato i segreti della loro ancestrale cultura e scopre quanto sta per accadere. Uscito dalle fogne, assiste al sorgere di una enorme ondata che porrà fine alla vita attuale. L'ultima onda delinea una strategia esorcistica nei confronti di un evento la cui irruzione spaventosa è continuamente profetizzata e rinviata nel corso del film. L'evento è nettamente definito e precisato: si tratta di un diluvio di cui la cultura aborigena strutturata attorno a una concezione circolare del tempo prevede l'inevitabile ritorno, mentre la cultura bianca-occidentale a tempo lineare-progressivo assiste con crescente inquietudine e con impotenza al graduale manifestarsi dei segni che ne preannunciano l'arrivo. L'ultima onda è, a tutti gli effetti, un film d'acqua. L'acqua irrompe quasi in ogni inquadratura, dolce, aggressiva, dilagante, insinuante. Muta la visione del mondo quotidiano. Immerge il mondo e le sue immagini nello stato della liquidità provocando il venir meno di ogni solida certezza. Si pensi alla sequenza - davvero splendida - in cui l'avvocato protagonista si trova in macchina e d'improvviso uno scroscio di pioggia sul vetro del parabrezza muta la sua visione soggettiva delle cose: ancora una volta il cinema di Weir è un lavoro sullo sguardo e sulla possibilità di guardare le cose in modo diverso. In particolare, ne L'ultima onda, Weir ci invita a non pretendere di svelare a tutti i costi i misteri che stanno dentro le cose, quanto piuttosto ad accarezzarli, ad accoglierli, ad entrare in affettuosa intimità con essi. Il protagonista de L'ultima onda critica più volte il padre-prete perché ha passato la vita nel tentativo di spiegare i misteri. I misteri non vanno spiegati. Basta dare loro un nome o un segno per non temerli, per non sentirsi più dominati da loro. Proprio come fa l'aborigeno all'inizio del film, quando dipinge l'onda terrificante sulla roccia, trasformandola in segno e dominandola attraverso una pratica tipica di tutte le culture animiste. Anche Weir fa un'operazione analoga col cinema: (ri)produce l'immagine di ciò che fa paura per esorcizzarlo. L'onda elettronica e fantascientifica, coloratissima, palesemente finta, che chiude il film è anche il segno linguistico dell'evento che il film, non ci mostrerà. Il monstrum resta fuori dal film, arroccato ai suoi margini, come un'ombra sinistra che, dall'esterno, attira verso di sé lo svolgersi degli eventi. Ma gli eventi messi in scena dal film terminano, per l'appunto, prima di precipitare nel monstrum che li ha sollecitati e determinati. Weir si ferma prima, non si limita ad evocare un'assenza, ma esorcizza un evento preciso e ne disinnesca la potenzialità paurosa attraverso un'operazione di significazione. Dare un segno o un nome a ciò che fa paura significa non avere più paura di lui. Gli aborigeni lo fanno attraverso i loro graffiti preistorici.
Walker C. Smith sul sabotaggio
Nel suo opuscolo Smith dedica una prima parte alla ricostruzione della storia del sabotaggio sia come pratica, nata contemporaneamente allo sfruttamento umano, sia come termine, scelto per indicare un metodo di lotta sociale solo a partire da Congresso confederale di Toulouse del 1897 (prima in Inghilterra e Scozia tale pratica era indicata con il nome “Ca’ Canny”, cioè “andare piano”). Indica anche tre possibili versioni sulla sua origine lessicale, tutte riconducibili alla parola sabot: nella prima ipotesi il riferimento è riconducibile all’episodio in cui un operaio francese utilizzò il suo zoccolo per danneggiare un macchinario, oppure potrebbe derivare dal fatto che i sabot si presentano come calzature pesanti e ciò causerebbe rallentamenti nel lavoro, infine l’ultima possibilità è che la parola sabotaggio derivi da un termine dello slang che indica lo sciopero fatto senza lasciare il proprio posto di lavoro. Alla base dell’idea di sabotaggio sta innanzi tutto una critica al mercato del lavoro, alla disparità di potere tra padroni e operai che, restando tagliati fuori dalla legge della domanda-offerta, si trovano stretti in un sistema senza stabilità salariale: “Sabotaggio significa, quindi, che i lavoratori combattono direttamente le condizioni imposte dai padroni secondo la formula ‘salari bassi-cattivo lavoro' ” (Walker C. Smith). Danneggiare la merce, scioperare o rallentare il lavoro e le consegne delle merci prodotte attraverso lo sfruttamento sono tutti metodi di sabotaggio. Non sempre però tale mezzo è messo in pratica a beneficio dei lavoratori, anzi spesso sono gli stessi imprenditori che ne impongono l’uso per aumentare il valore della merce. Smith porta come esempio, tra gli altri, i carichi di patate distrutti in Illinois, o le mele lasciate marcire sugli alberi dei frutteti di Washington, o ancora le mistificazioni dei documenti ai danni dei concorrenti della Standard Oil Company. Tali azioni altro non sono che “sabotaggio capitalista”, come già le aveva chiamate tre anni prima William Trautmann. Se divenisse una pratica diffusa tra gli operai, secondo Smith il sabotaggio potrebbe fermare le guerre e bloccare gli arresti di chi sciopera; per riuscirci però dovrebbe diffondersi la coscienza del potere che porterebbe, per conseguenza, alla solidarietà tra lavoratori. Come pratica di massa, se utilizzata da ogni operaio di ogni comparto produttivo, permetterebbe addirittura di giungere alla fine delle classi, dello Stato e della produzione come mezzo di profitto anziché di prodotti di utilità. Attingendo alla tradizione anarcosindacalista europea, Walker C. Smith adatta l’idea di sabotaggio alla situazione statunitense del primo Novecento, rendendolo applicabile da una classe lavoratrice in balìa delle leggi della speculazione, sfruttata, vilipesa e molto spesso massacrata dalle milizie padronali.