La volontà rivoluzionaria
La posizione più qualificante che caratterizzò Malatesta rimase comunque quella della volontà rivoluzionaria. Nel pensiero malatestiano la rivoluzione anarchica non poteva che essere un progetto cosciente scaturito da una precisa volontà e posto artificialmente nel processo storico. Ammesse alcune condizioni favorevoli, il fattore determinante e decisivo dello scoppio e della riuscita della liberazione popolare, rimaneva sempre quello della volontà rivoluzionaria. Volontà di preparare la rivoluzione, volontà di fare la rivoluzione, volontà di essere rivoluzionari. Questa volontà rivoluzionaria era per Malatesta, ovviamente, la volontà di fare la rivoluzione libertaria ed egualitaria. Diversamente dagli individualisti e da altri anarchici stirneriani, la volontà malatestiana era guidata da un sentimento fondamentalmente solidaristico e societario: essa non poteva altro che essere un'espressione collettiva per il bene collettivo. A differenza di altri teorici anarchici, Malatesta sosteneva che l'opposizione tra il marxismo e l'anarchismo era dovuta appunto alla diversità tra il "determinismo" e il "volontarismo". Il "determinismo" marxista, secondo Malatesta, finiva col paralizzare le forze rivoluzionarie mettendole in un'aspettativa senza sbocchi operativi; oppure, con la scusa di favorire lo sviluppo del sistema capitalistico-borghese e portarlo più rapidamente alla sua fine, inseriva il movimento socialista nell'area legale e parlamentare. In nome del "determinismo scientificista" il marxismo consumava in realtà il tradimento e il sabotaggio. Malatesta lungi dal porsi contro la scienza, si poneva in realtà contro la sua volgare strumentalizzazione, contro cioè la pseudo scienza del marxismo. Malatesta, in polemica anche contro Kropotkin, sosteneva che la scienza era di per sé "neutrale" nel senso che essa poteva servire alla rivoluzione libertaria come a qualsiasi sistema di dominio e sfruttamento. Solo la volontà di utilizzarla in un modo o in un altro la qualificava diversamente: la scienza era sempre in subordine rispetto alla volontà rivoluzionaria. Comportava una prospettiva teorica completamente nuova, sia per il pensiero anarchico che per il pensiero socialista in genere. Malatesta infatti sviluppò nel suo pensiero soprattutto il punto di vista ideologico dell'anarchismo, nel senso che la realtà "oggettiva" acquista significato solo alla luce dei principi anarchici. In altri termini dal momento che per Malatesta non esisteva una scienza sociale "oggettiva", era evidente che l'unico modo per interpretare la realtà risultava essere quello "soggettivistico" o, nel linguaggio malatestiano, quello della volontà rivoluzionaria. La conseguenza di tale impostazione fu che per sessant'anni Malatesta si trovò ad elaborare sotto ogni punto di vista, sia teorico che pratico, il pensiero anarchico rispetto ad ogni problema di qualsiasi natura: sociale, economico, politico, religioso, filosofico ecc. L'opera teorica malatestiana viene a configurarsi, se ci è permesso usare questa espressione, quasi come un "manuale dell'anarchismo". L'analisi della realtà sociale, nella prospettiva malatestiana, è quindi un'analisi indiretta, alla rovescia: per risalire ad essa ed alla sua comprensione bisogna porsi completamente nella dimensione libertaria. Mentre la realtà storico-sociale muta, il progetto rivoluzionario rimane identico nella sua sostanza e dipende da essa solo per quel tanto che lo riguarda dal punto di vista di un aggiornamento "tecnico". In questo modo dai moti internazionalisti al tradimento del socialismo parlamentare, dalla "settimana rossa" alla occupazione delle fabbriche, dalla politica crispina all'avvento del fascismo, la storia sociale d'Italia è filtrata attraverso il prisma magistrale della comprensione chiara, semplice e materialistica del pensiero malatestiano (e così in parte la storia del movimento socialista europeo). L'attualità di questa prospettiva è stupefacente dal punto di vista metodologico: le pretese "condizioni obbiettive" favorevoli alla rivoluzione sono risultate un'invenzione dei "cattedrattici" di fronte all'esperienza storica. Non solo la costruzione del socialismo e della libertà, attraverso l'esperienza fallimentare del marxismo, è risultata possibile a diversi livelli delle forze produttive. La prospettiva volontaristica malatestiana e il progetto che l'ha sottintesa rimangono ancora un patrimonio teorico tutto da realizzare. In altri termini Malatesta ha dimostrato, con la sua lotta ultracinquantenaria, che la costruzione della libertà e dell'eguaglianza non dipende che dalla volontà rivoluzionaria di chi vuole realizzare tale progetto (soprattutto, la dimostrazione l'ha data la storia). Le masse sfruttate, infatti, sono per la loro stessa posizione obiettiva e materiale sempre potenzialmente rivoluzionarie, ma sono anche, contemporaneamente, in una condizione altrettanto obiettiva di sottomissione e di paralisi. Il compito dei rivoluzionari è dunque nel senso malatestiano trasmettere questa volontà cosciente e generalizzarla, resistendo alle prevedibili sconfitte, abituandosi a respiri lunghi, e non brevi ed affannosi. Il compito dei rivoluzionari è ancora, nel senso malatestiano, mantenere intatta, pura e integrale la prospettiva libertaria ed egualitaria, nel senso che i rivoluzionari devono essere al fianco delle masse oppresse quando queste sono all'attacco, ma non seguirle quando queste si paralizzano dopo le sconfitte. Il compito degli anarchici infine, è quello di restare tali qualsiasi cosa avvenga, qualsiasi cosa possa avvenire, qualsiasi cosa sia avvenuta. La dimensione etica dell'insegnamento malatestiano risiede nell'affermazione che la volontà rivoluzionaria, per essere anarchica, deve essere cosciente e tale deve rimanere in qualsiasi circostanza. Diceva Malatesta, nel 1922 dopo oltre cinquanta anni di lotte perdute "Anarchici noi restiamo anarchici malgrado tutto e malgrado tutti. Noi siamo stati vinti.... Ma non sarà una sconfitta, del resto prevedibile, che ci farà rinunziare alla lotta.... Non vi rinunzieremo nemmeno per cento, per mille sconfitte, poiché sappiamo che nei progressi umani è stato sempre a forza di perdere che s'è finito col vincere".
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