Franco Serantini è uno di quei “figli di nessuno“, cantati dagli anarchici di inizio secolo e nella lotta partigiana, che sono divenuti dopo la loro morte figli di tutte le donne che lo hanno pianto, ricordato e a cui hanno voluto bene. La sua vita è segnata come tutte dal caso, dal “fato“, ma su di lui il fato si accanisce con la forza brutale di tutti quegli apparati dello Stato che dovrebbero essere volti alla sicurezza del cittadino e che, invece, molto spesso divengono avamposto di repressione. È un giovane libero Serantini, è un giovane che conserva in se stesso un codice genetico libertario anche nel proprio nome: quando lo devono registrare allo Stato civile di Cagliari (dove nasce il 16 Luglio del 1951) è un maresciallo dei carabinieri a chiamarlo pressappoco come uno scrittore di cui stava leggendo una novella, tale romagnolo Francesco Serantini. Prende vita così il cammino di vita di Franco Serantini: abbandonato al brefotrofio, vi resta per due anni: viene infatti dato in affidamento a due coniugi siciliani: Poi viene dato in affidamento a due coniugi siciliani. Lui è una guardia di pubblica sicurezza, la moglie possiede qualche tumulo di terra a Campobello di Licata, in provincia di Agrigento, in collina, nella fascia sudorientale della Sicilia, a una ventina di chilometri dal mare, un paese bruciato, di vita grama. La coppia vive felicemente a Cagliari per due anni con il bambino, poi la moglie si ammala in modo grave e tutti e tre partono per la Sicilia. La donna muore nel 1955. Franco viene affidato allora alla famiglia della moglie della guardia, diventato brigadiere di PS. Il suo passare di casa in casa non è ancora finito: non ha ancora dieci anni quando è trasferito all’istituto “Buon Pastore“, nella periferia di Cagliari. Termina le scuole elementari assistito dalle suore che lo mandano poi alla scuola media “Giuseppe Manno“. Tutti dicono che sia un ragazzo chiuso in se stesso, taciturno, infelice. Ma nessuno valuta l’ambiente che circonda Serantini: un ambiente clericale, ostile alla sua mente già vivida di libertà, di spazi aperti, di forti sensazioni di amore per il prossimo, per quel popolo che ha già cominciato a conoscere nella miseria comune. Comincia infatti ora a dare segni di insofferenza: non vuole studiare, marina la scuola e si mostra ribelle con le suore. Si scontra anche con i coetanei e non dà alcun credito alle prediche dei presidi che gli ridondano nella testa, con voce da“pater familias“, cosa debbano rappresentare le suore per un trovatello come lui… Non ci sta Franco, sembra ribellarsi persino alla sua stessa sorte e, alla fine, lo farà fino all’estremo punto di non ritorno. La sua ribellione continua al punto che le suore del “Buon Pastore” si rivolgono al Tribunale per i minorenni: «Non possiamo più tenerlo» dicono al giudice. Il Tribunale decide allora in questo modo, un capolavoro di umanità e di razionalità: «Siccome la personalità del giovane appare gravemente disturbata per assoluta carenza affettiva e lunga istituzionalizzazione, la personalità del soggetto deve essere bene aiutata con un trattamento affettuosamente comprensivo e sostenitore». Il dispositivo della sentenza conclude che Serantini «per rimediare alla lunga istituzionalizzazione» deve essere rinchiuso in un riformatorio. Lo permette una legge fascista, un regio decreto del 1939 allora in vigore. Davvero il rimedio più appropriato per aiutare un giovane incensurato che ha avuto una difficile vita. Il sistema più adatto a trasformare onesti ragazzi in criminali. L'Istituto di osservazione per i minori di Firenze destina Franco Serantini all'Istituto di rieducazione maschile Pietro Thouar di Pisa in regime di semilibertà. L'équipe formata da uno psichiatra, da uno psicologo, da un assistente sociale, dopo un lungo esame, ritiene intelligente il ragazzo sardo. Il suo quoziente intellettuale è di 1,02, il quoziente medio è in genere di 0,70. Pisa, per Franco Serantini, rappresenta la scoperta della vita. In questa sua vita tormentata, dislocata in famiglie improvvisate, istituti in cui è lui a doversi totalmente adattare al tutto, sempre, Franco sviluppa una grande solidarietà umana: i ragazzi di Pisa lo stimano perché è sempre disponibile verso tutti e verso tutto, ma è anche pieno d’orgoglio, fiero e questo non gli attira le simpatie dei superiori. Pisa è un contesto di effervescenza sociale: è una città anzitutto di tradizione mazziniana, anticlericale e tendenzialmente vicina all’anarchismo. Nel 1968 Rossana Rossanda scrive: «Pisa parte da una rielaborazione della tematica classica del movimento operaio, che infatti collocherà il movimento pisano all’interno o a cavallo di formazioni politiche esterne, dal PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) a una certa dissidenza comunista, alcuni gruppi marxisti-leninisti, i “Quaderni rossi“, ed i comunisti stessi».
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