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giovedì 19 maggio 2022

Errico Malatesta - Masse e rivoluzione

È completamente erroneo che per abbattere il capitalismo bisogna aspettare che i milioni di cattolici siano diventati liberi pensatori, e che gli operai siano tutti (o in maggioranza) organizzati per la lotta di classe. Non equivochiamo. È una verità assiomatica, lapalissiana, che la rivoluzione non si può fare se non quando vi sono forze sufficienti per farla. Ma è una verità storica che le forze che determinano l'evoluzione e le rivoluzioni sociali non si calcolano coi bollettini del censimento. I cattolici resteranno numerosi come sono, e magari aumenteranno, fino a quando vi sarà una classe, potente di ricchezza e di scienza, interessata a tenere la massa nella schiavitù intellettuale per potere meglio dominarla. Gli operai non saranno mai tutti organizzati e le loro organizzazioni saranno sempre soggette a disfarsi o a degenerare fino a quando la miseria, la disoccupazione, la paura di perdere il posto, il desiderio di migliorare di condizioni alimenteranno la rivalità tra operai e daranno modo ai padroni di profittare di tutte le circostanze, di tutte le crisi per mettere gli operai in concorrenza gli uni contro gli altri. E gli elettori resteranno sempre montoni per definizione anche se qualche volta accade loro di tirar delle cornate. È cosa provata che date certe condizioni economiche, dato un certo ambiente sociale, le condizioni intellettuali e morali della massa restano sostanzialmente le stesse e, fino a quando un fatto esterno, un fatto idealmente o materialmente violento non viene a modificare quell'ambiente, la propaganda, l'educazione, l'istruzione restano impotenti e non riescono ad agire che sopra quel numero di individui che, in forza di privilegi naturali o sociali, possono vincere l'ambiente in cui sono costretti a vivere. Ma quel piccolo numero, quella minoranza cosciente e ribelle che ogni ordine sociale partorisce in conseguenza delle stesse ingiustizie a cui la massa è soggetta, agisce come fermento storico e basta, è sempre bastato, a far progredire il mondo.Ogni nuova idea, ogni nuova istituzione, ogni progresso ed ogni rivoluzione è stata sempre l'opera di minoranze. È nostra aspirazione, è nostro scopo quello di far assurgere tutti quanti gli uomini a fattori effettivi, a forze coscienti della vita sociale; ma per riuscire a questo scopo occorre dare a tutti i mezzi di vita e di sviluppo, e perciò bisogna abbattere, con la violenza poiché non si può fare altrimenti, la violenza che questi mezzi nega ai lavoratori. Naturalmente il "piccolo numero", la minoranza, deve essere sufficiente, e ci giudica male chi pensa che noi vorremmo fare un'insurrezione al giorno senza tener conto delle forze in contrasto e delle circostanze favorevoli o meno.Noi abbiamo potuto fare, abbiamo fatto realmente, in tempi ormai remoti dei minuscoli moti insurrezionali che non avevano alcuna probabilità di successo. Ma allora eravamo davvero in quattro gatti, volevamo obbligare il pubblico a discuterci ed i nostri tentativi erano semplicemente dei mezzi di propaganda. Ora non si tratta più d'insorgere per far propaganda: ora possiamo vincere, quindi vogliamo vincere, e non facciamo tentativi se non quando ci pare di poter vincere. Naturalmente possiamo ingannarci e, per ragione di temperamento, possiamo credere il frutto maturo quando ancora è acerbo; ma confessiamo la nostra preferenza per coloro che vogliono fare troppo presto contro quegli altri che vogliono sempre aspettare, che lasciano di proposito passare le migliori occasioni e, per paura di cogliere un frutto acerbo lasciano tutto marcire. Insomma noi siamo perfettamente d'accordo con "La Giustizia" quando insiste sulla necessità di fare molta propaganda e di sviluppare il più possibile le organizzazioni proletarie di lotta; ma ci stacchiamo recisamente da essa quando pretende che per agire bisogna aspettare di avere attirato a noi la maggioranza di quella massa inerte che non sarà convertita se non dai fatti, che non accetterà la rivoluzione se non dopo che la rivoluzione sarà iniziata. (E. Malatesta da Umanità Nova, 6 ottobre 1921)



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