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giovedì 26 maggio 2022

Franco Serantini – Cinquant’anni fa (4)

Il conflitto esplode subito violento. Sembra che gli agenti di polizia abbiano perso i lumi, loro e chi li comanda. Sparano centinaia di lacrimogeni in ogni direzione, si sentono anche colpi di pistola. I giovani di Lotta Continua hanno costruito barricate, lanciano pietre e bottiglie molotov. Tre ore di aspra guerriglia. Franco Serantini è immobile, solo - un segno del destino - all'angolo tra il Lungarno Gambacorti e via Mazzini. Avrebbe potuto facilmente fuggire, salvarsi. Gli saltano addosso almeno in dieci poliziotti, lo tempestano di colpi, coi calci dei fucili, i manganelli, i piedi, i pugni, con ferocia, con crudeltà. Manifestano su quel povero ragazzo inerme tutta la loro rabbia, la loro furia, la loro frustrazione. Il suo corpo viene massacrato, al capo, al torace, sulle braccia, sulle spalle. In carcere Franco avrebbe bisogno di cure mediche serie: non ha un osso sano, dalla testa ai piedi. Pare quasi in coma. Ma nessuno, nessuno fa nulla… Lo interroga un sostituto procuratore di nome Giovanni Sellaroli. Difensore d’ufficio è l’avvocato Antonio Cariello. Gli domandano se ha lanciato contro la polizia delle pietre o altro materiale. Franco risponde che non ricorda bene quanto è avvenuto. Gli chiedono perché abbia partecipato alla manifestazione contro Niccolai. Risponde: «Ci andai perché ci si crede». Gli chiedono in che cosa creda: «Sono anarchico», replica sarcasticamente. Prosegue il verbale nel riportare le parole di Franco: «Fui arrestato nel corso di una carica, mentre scappavo. Mi giunsero addosso una decina di poliziotti e mi colpirono alla testa. Accuso infatti dolori al capo ancora attualmente. Non credo di aver insultato la polizia. Uno dei poliziotti che mi fermò sostiene che io l’abbia chiamato porco, ma non credo di averlo fatto, perché non è la mia frase abituale. Non credo di aver avuto tra le mani pietre o bottiglie incendiarie ieri sera; anche perché persi gli occhiali e non sarei stato in grado di lanciarli». Sta sempre più male Franco, non riesce neanche a tenere la testa su. Al magistrato risponde col capo chino sul tavolo. Lo ricacciano in cella di isolamento, la cella numero 7. Non riesce a mangiare e non se la sente di uscire nelle ore d’aria. Gli unici che capiscono che il ragazzo sta davvero male sono gli scopini. Ma nessuno li ascolta… Franco viene completamente abbandonato al suo destino: la morte di lì a poche ore. Alle 8.30 del 7 Maggio, il giorno delle votazioni, Franco Serantini peggiora sempre più: lo trasportano al pronto soccorso del carcere. In sala operatoria gli somministrano ossigeno e gli viene fatta la respirazione artificiale. Ma tutto ormai è inutile, il giovane sta morendo. Alle 9.45 Franco muore. Il certificato medico del dottor Alberto Mammoli parla di “emorragia cerebrale“. La notizia della sua morte si diffonde presto: anche il PCI, dopo un primo sbandamento, manda a Pisa Pajetta e Cossutta per gestire la difficile situazione creatasi. I carcerieri tentato anche di dargli sepoltura “saltando” qualche norma, per evitare che si scopra che quella morte non è “naturale“, ma provocata da polizia e carcere. Per nascondere, insomma, un omicidio: è un trovatello, in fondo, chi può venirne a reclamare la salma? Ma non tutte le ciambelle riescono col buco… Alle 16.30 del 7 Maggio un funzionario della direzione del carcere si presenta al Comune di Pisa: consegna una denuncia di morte e richiede l’autorizzazione a trasportare il cadavere. Ma sul certificato di morte manca il necessario nulla osta della Procura della Repubblica e non sono passate quelle 24 ore che la Legge prevede per l’inumazione. L’impiegato comunale si rifiuta di accettare quel documento e tutto il meccanismo di occultamento della verità salta come un castello. Un castello di carta…



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