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giovedì 15 settembre 2022

Parliamo ancora del no copyright

La cultura del software libero non ha niente a che fare con le pratiche del sabotaggio, e solo parzialmente con le rivendicazioni sindacali nell’ambito del lavoro. Era stata coltivata e stava iniziando a fiorire, dapprima negli Usa, e di li a poco in Italia, negli ambienti di un certo marxismo radicale, ma aveva attecchito tra i ragazzini, tra gli impiegati, tra gli hippie e gli amanti del fai da te. Nel suo dna vi era la voglia di liberarsi da una cultura della produzione legata alla proprietà privata, ma non esprimeva il conflitto attraverso l’antagonismo e lo scontro frontale con il modello da cui si voleva differenziare, bensì allontanandosene, separandosene, per dare forma a un nuovo modello basato sul dono e la cooperazione. E parte di un processo di sviluppo delle culture cosiddette dell’underground, ma in particolar modo delle culture del DIY, delle autoproduzioni e della controinformazione che negli anni Sessanta e Settanta hanno avuto una particolare esplosione. Tale cultura, figlia dunque del Sessantotto, ma, in generale, di un percorso comunitario millenario, stava, in senso proprio, facendosi movimento e andava per questo stroncata sul nascere. La narrazione che ha voluto tratteggiare gli hacker come criminali, se non luddisti, ha voluto annullare le pretese di un movimento, in parte, spontaneo, che rischiava di mettere in discussione il paradigma della proprietà privata nella produzione dei saperi. Purtroppo la potenza di fuoco immaginativa dell’apparato mediale statunitense, e dei suoi addentellati nostrani, e in grado di rendere colpa il sentimento di gioia che ti rende prossimo all’altro. Una colpa che richiede regole ferree. Ogni qual volta si doveva invocare una nuova legge che riportasse le nuove tecnologie nei binari della proprietà privata, come per magia, nell’agenda dei media apparivano giovani criminali del computer che avrebbero potuto far crollare la società, la civiltà, se non fosse stato imbrigliato il loro agire all’interno di regole precise che, guarda caso, riguardavano sempre, e in primo luogo, la difesa del copyright, in seconda battuta la privacy. Un diritto privato. Un diritto, privato. Dove privato e un verbo che indica ciò che giornalmente ci viene negato: un diritto; il diritto di essere prossimi l’uno con l’altro, di amarsi e rispettarsi. Questa e la regola del diritto privato nella società moderna. La regola e una legge che priva le persone del loro diritto fondamentale. Purtroppo le questioni retoriche poco interessano a chi perde il lavoro e a chi perde la possibilità di sentirsi rispettato nella società. Nella prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,54-58) si legge “il pungiglione della morte e il peccato e la forza del peccato e la Legge”. Laddove san Paolo voleva criticare i Farisei che, attraverso le loro leggi avevano dato al peccato la possibilità di esprimersi, la critica che si vuole muovere al capitalismo e quella di avere creato delle leggi, come quella sul copyright, che rendono l’uomo peccatore nel momento in cui cerca di essere umano.


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