Ha fatto grande impressione, in Colombia, il discorso pronunciato da Gustavo Petro all’Assemblea generale delle Nazioni unite. Un tale atto di accusa verso il potere mondiale, duro e al tempo stesso poetico, si era del resto ascoltato raramente all’Onu e di certo mai da parte di un presidente colombiano. Petro ha esordito con un inno alla bellezza del suo paese, terra di farfalle gialle e di magia in cui la vita risplende in tutta la sua lussureggiante forza, dalla foresta amazzonica alla giungla del Chocó, fino alla cordigliera delle Ande e agli oceani. Ma dalle montagne e dalle valli di ogni sfumatura di verde, ha proseguito, non scendono solo acque abbondanti, ma anche torrenti di sangue: la Colombia è un paese dalla bellezza insanguinata, dove la biodiversità erompe tra le danze dell’orrore e della morte. Chi è allora il colpevole di rompere l’incanto con il terrore? Il Presidente ha puntato l‘indice contro la guerra alla droga denunciato l’accanimento sulla coltivazione della coca come fattore di distruzione della selva, alibi per non intervenire sule cause del consumo degli stupefacenti. La foresta amazzonica emana l’ossigeno planetario e assorbe l’anidride carbonica grazie alla pianta della cocaina, una delle più perseguitate della terra, ha detto Petro insistendo sul paradosso per cui la selva che si cerca di salvare distruggere è al tempo stesso distrutta. Distruggere la foresta è divenuto l’obiettivo perseguito da Stati e negozianti, ha detto il presidente denunciando l’uso massiccio dei pesticidi, glisolfato che corre nelle acque e per i campi. La foresta amazzonica è vista come un nemico da sconfiggere. Lo spazio della cocaina e quello dei contadini che la coltivano, visto che non hanno nient’altro da coltivare, è demonizzato. A voi, ha detto Petro, il mio paese non interessa se non per rovesciare veleno, arrestare gli uomini ed escludere le loro donne. E mentre viene demonizzato lo spazio della coca e dei contadini che la coltivano perché non hanno altro da coltivare, mentre un milione di latinoamericani vengono assassinati in questa guerra e due milioni di afroamericani vengono arrestati, mentre ipocriti distruggono le piante per occultare i disastri di una società talmente competitiva da condannare alla solitudine del cuore, ma invece ci viene chiesto carbone e ancora più carbone, petrolio e ancora più petrolio, per calmare l’altra dipendenza: quella dal consumo, dal potere, dal denaro in modo che il loro uso può estinguere tutta l’umanità. Queste sono le cose del potere mondiale, le cose dell’ingiustizia, le cose dell’irrazionalità, perché il potere mondiale è diventato irrazionale. La verità è sotto gli occhi di tutti, La guerra contro le droghe è fallita. La lotta contro la crisi climatica è fallita. La scienza ha suonato l’allarme ma non è stata ascoltata. La guerra ci è servita come scusa per non prendere le misure necessarie. Quando le azioni erano più necessarie, quando i discorsi non servivano più, quando era indispensabile depositare soldi nei fondi per salvare l’umanità, quando dovevamo allontanarci dal carbone appena possibile e dal petrolio hanno inventato una guerra e un’altra e un’altra ancora. Hanno invaso l’Ucraina, ma anche l’Iraq, la Libia e la Siria. Hanno invaso in nome del petrolio e del gas. Hanno scoperto nel 21° secolo la peggiore delle dipendenze: la dipendenze dal denaro e dal petrolio. La guerra è solo una trappola che avvicina la fine dei tempi alla grande orgia dell’irrazionalità, affermando che non ci sarà pace se non ci sarà giustizia sociale, economica e ambientale. solo in pace potremo salvare la vita sulla terra e a salvare la foresta amazzonica con risorse stanziate a livello mondiale. E se i paesi del Nord non troveranno i fondi necessari, troppo impegnati a spendere soldi per le armi, che almeno, condonino il debito estero in cambio di vita, in cambio di natura.
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