Dal 2006 al 2013 ci sono state in tutto il mondo 843 rivolte popolari, esplose in 84 paesi, ma in nessun caso si erano trasformate in rivoluzioni per cambiare radicalmente il sistema, il suo ordine statuale e l’assetto di potere contro il quale si erano scagliate. Non solo, a guidare le rivolte non era stato il mondo del lavoro ma nuovi soggetti «più eterogenei, più inclassificabili», il cui vero obiettivo sarebbe stato la sfida all’ordine costituito senza però che vi fosse qualche forma di rivendicazione traducibile nel linguaggio conosciuto della politica. Una folla senza volto né leader, resiliente e mutante, aveva occupato le strade delle metropoli attraverso un faccia a faccia con il potere senza passare per la politica. Ma già le rivolte urbane esplose nei decenni precedenti avevano reso evidente questo passaggio e avevano rivelato le sue conseguenze più immediate: e cioè che la società, quella che fino ad allora era stata creata, disegnata e governata dalla politica e dalle sue istituzioni (partiti e sindacati), si frantumava in minoranze sociali e culturali autonome e separate le une dalle altre; che le stesse minoranze non producevano spazi comunitari e non si assemblavano in moltitudine se non nel momento dello scontro; che l’anima dura e profonda della metropoli non era né produttiva, né ecologica ma si fondava sulla cultura del consumo e sulla richiesta di libertà di movimento sul territorio. Nessuna rivolta metropolitana dagli anni Ottanta del Novecento in poi avrà il lavoro o la disoccupazione o l’uguaglianza tra gli obiettivi della sua lotta che investì all’inizio e con violenza ben trenta città inglesi e poi Amsterdam, Berlino, Zurigo, Francoforte, Dusseldorf, Monaco, Amburgo, Friburgo, Gottinga, Hannover, Brema, Parigi. Negli anni Novanta insorsero la periferia di Los Angeles e quella di Tolosa in Francia. Nel 2001 furono di nuovo Oldham, Manchester, Leeds e Birmingham al centro degli scontri. Nel 2005 le banlieue parigine scatenarono una rivolta così estesa e violenta che il governo francese impiegò diversi giorni per ristabilire l’ordine. E nel dicembre del 2008 fu la volta di Atene e del suo quartiere Exarchia a scendere nelle strade. Nel 2011 toccò a Roma e poi a Tottenham, area nord di Londra, a essere teatro di violenze tra la comunità nera e la polizia così come avverrà nel 2020 a Minneapolis nel Missouri, dove il movimento Black Lives Matter si metterà alla testa di riot notturni contro le forze di polizia. Nel 2018, infine, il movimento dei gilet gialli in Francia provocò scontri che sconvolsero a lungo il panorama politico francese. E questi sono solo alcuni episodi esplosi negli ultimi decenni. Il conflitto, dunque, si trasforma in rivolta che, a differenza della rivoluzione, non mira ad abbattere il sistema, non costituisce soggetti né istanze politiche che riescano a dare un futuro, una forma e un’organizzazione alla contingenza della lotta che invece ha nel mirino l’eliminazione delle regole insieme a quello delle frontiere interne e delle zone rosse che il mercato cerca di dispiegare sul territorio per controllare e governare le metropoli del mondo. E allora decostruire quest’ordine sarà il loro bersaglio. Le rivolte partono sempre da qui.
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