Commemorando la “settimana di sangue” Costa scriveva allusivamente nel 1882: “Gettate fiori, o Amici, sulle fosse dei caduti nel maggio del 1871. Gettate fiori rossi e fiori neri: fiori d’amore e fiori di morte”. E sotto la bandiera rossa della Comune “La plebe” aveva posto, nella commemorazione del 1883, tutto il movimento socialista fino a Bebel e a Liebknecht. Non sappiamo esattamente attraverso quali maglie dell’apparato repressivo la bandiera rossa o rossa e nera sia riuscita a riemergere e sopravvivere: certo, le associazioni che costituirono la base del Partito dei lavoratori – leghe, società operaie, cooperative, circoli – molte delle quali, com’è noto, ex repubblicane, portarono con sé bandiere rosse o rosse e nere, a seconda della loro propria storia. Le minute cronache della “Lotta di classe” sul movimento operaio e socialista in Italia sono fitte di vicende di esposizioni, di inaugurazioni, di sequestri ditali emblemi: sappiamo così che il Fascio dei lavoratori di Empoli – il più consistente gruppo toscano passato al Partito nel 1893, con i suoi 280 soci – aveva la bandiera rossa con fusciacca nera; che la bandiera rossa e nera del Fascio socialista dei lavoratori di Gravina di Puglia fu sequestrata dalla polizia per essere stata esposta durante una festa locale; che a Camerano le lavoratrici del paese donarono alla sezione Figli del lavoro una bandiera rossa con la scritta – probabilmente nera – “Proletari di tutto il mondo unitevi!”. Benché, dunque, il Partito non avesse imposto un vessillo, per rispetto dell’autonomia delle diverse associazioni aderenti, la bandiera con bordo o con fusciacca nera era ormai l’insegna che lo distingueva dai repubblicani, e lo legava alla grande tradizione internazionalista. “I poeti – notava Giovanni Rossi – gli idealisti dell’umanità in gran numero si sono raccolti sotto la bandiera rossa e nera a costituire il giovane, baldo e gentile partito socialista”. Quei colori simbolici scelse la sezione romana del Partito, nel 1893, per onorare le vittime delPrimo Maggio. Quei colori troviamo in quasi tutte le bandiere socialiste e poi comuniste della presente raccolta, indipendentemente dalle divisioni interne. Certo, il loro significato non resta immutato nel tempo: agli inizi, negli anni della repressione crispina, essi serbano l’antico significato di lotta, di volontà di resistenza. Mentre, infatti, l’articolo 434 del codice penale del 1889, che concedeva all’autorità poteri tanto vasti quanto indefiniti in materia di ordine pubblico, veniva applicato con “una sfrenata smania d’arbitrio”, secondo l’espressione di un giurista contemporaneo, anche contro le bandiere, gli inni, i simboli del movimento operaio, rivelandosi “comodo arnese di persecuzione politica”, in Sicilia le donne dei Fasci rispondevano con stendardi di fiori rossi alla proibizione delle loro bandiere. Se dunque la situazione di fine secolo può essere ben rappresentata letterariamente dalla scena pratoliniana dei funerali di Pallesi, scompigliati dalla carica della polizia a caccia di bandiere anarchiche e socialiste20, nel mutato clima politico dell’età giolittiana, con il rafforzarsi dell’organizzazione e il moltiplicarsi, almeno sul piano locale, delle affermazioni elettorali, la presenza delle bandiere rosse e nere assume il senso di un’orgogliosa, inquietante affermazione. Andò forse perdendosi, con il tempo, almeno presso i più giovani, la consapevolezza della tradizione dei loro colori, ma restò la coscienza che erano il segno antico del Partito: “C’era un distintivo, che portava anche Romita, e che avevo anch’io da ragazzino, parlo del 1919-20, quando andavo al circolo, e non c’era ancora il Partito comunista: era un distintivo così, rosso e nero” ha attestato Pietro Comollo. E anche se nell’esaltazione del dopoguerra si cantò Bandiera rossa, e si fece sui giornali solo la storia della bandiera rossa, i vessilli socialisti e comunisti portano il campo segnato di nero.
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