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giovedì 11 maggio 2023

Alle origini del socialismo libertario messicano

Il primo a dedicarsi alla diffusione del socialismo utopico e dell’anarchismo in Messico fu il greco Plotino C. Rhodakanaty, che qui emigrò nel 1861, venendo dalla Spagna. In quello stesso anno pubblicò, a scopo di propaganda, L’ABC del socialismo di Charles Fourier: Verso il 1865 organizzò a Città del Messico un gruppo di studenti, il Club Socialista de Estudiantes. “In quel gruppo c’erano i futuri leader del socialismo messicano: Francisco Zalacosta, che sarà a capo delle lotte agrarie; Santiago Villanueva, che organizzerà il primo movimento operaio urbano; Hermenegildo Villavivencio, che lavorerà con Villanueva negli anni Sessanta ma morirà prima dei grandi avvenimenti degli anni Settanta e Ottanta”. Il gruppo, successivamente, prese il nome di La Social e diventò un’associazione segreta, aderente alla Prima Internazionale (AIT). Nel 1877, all’inizio del periodo porfirista [la dittatura di Porfirio Diaz], i cittadini di ottantasette comuni degli Stati di Mexico, Guanajuato, Hidalgo, Michoacán e Querétaro inviarono al Congresso nazionale un documento con cui chiedevano che venisse emanata una legge che li proteggesse dalle spoliazioni di terre e dalla distruzione di villaggi ad opera dei latifondisti. Chiedevano anche che fosse posta fine agli assassinii, alle persecuzioni e alle incarcerazioni dei rappresentanti di villaggio. Spiegavano di confidare nella legge per la soluzione dei loro problemi e che si dissociavano dai metodi violenti. Stigmatizzavano addirittura la Comune di Parigi. E tuttavia non ottennero alcuna risposta. Stando così le cose, nel corso di  quello stesso anno Francisco Zalacosta girò in lungo e in largo per i villaggi di Mexico, Puebla, Tlaxcala e Hidalgo, promuovendo la “legge agraria” contro le spoliazioni e gli abusi perpetrati dai latifondisti, nell’indifferenza delle autorità. La sua legge agraria consisteva nell’ “espropriare i latifondisti e i possidenti delle proprietà di cui dispongono grazie all’iniquo privilegio concesso loro da leggi innaturali”. I contatti presi dai rappresentanti di villaggio, in occasione di visite all’Archivio Generale (per avere copia di titoli di possesso comunali) – oltre che tra di loro anche con la stampa operaia, come “El Socialista” e “Hijo del Trabajo”, con il colonnello anti-porfirista Alberto Santa Fe e con membri del gruppo La Social –innescarono altri metodi di lotta, fuori della legalità. Così, poiché il governo porfirista non prestava orecchio alle loro petizioni, alcuni villaggi del Guanajuato e del Querétaro smisero di confidare nella legge e decisero di aderire alla “Rivoluzione Sociale” promossa dal Direttorio Socialista della Confederazione Messicana. Il primo giugno del 1879, a Santa Cruz Barranca (nel Guanajuato) fu proclamato il Piano Socialista dei Rappresentanti dei Villaggi degli Stati di Querétaro e Guanajuato, sottoscritto da 36 villaggi.
Interpellato sul Piano Socialista, il governo del Querétaro negò che nello Stato fosse in atto una sollevazione armata contro le autorità federali o statali, negando l’esistenza di una località chiamata La Barranca. Negò perfino che vi fossero controversie relative al possesso delle terre. Ammise solo l’esistenza di una disputa tra Andrés Fernández, proprietario della tenuta La Muralla, e gli abitanti del villaggio di San Ildefonso, nel distretto di Amealco. Ma la disputa era stata “risolta in modo molto soddisfacente grazie al buon senso del cittadino Prefetto Rafael Velarde e alla generosità dei proprietari fondiari”. Per contro, il giornale anti-porfirista di Città del Messico “El Combate”, oltre a riprodurre il Piano Socialista, faceva salire a milletrecento uomini il numero di rivoltosi della Sierra Gorda. In effetti, una di queste sollevazioni contadine ebbe luogo nel distretto di Cadereyta. Non appena giunse notizia che “una banda di comunisti” scorazzava nella zona, il 5 ottobre 1879 “La Sombra de Arteaga”, organo ufficiale dello Stato, informava che forze federali e milizie di possidenti, un centinaio di uomini ben armati, avevano inseguito e impegnato in combattimento ventisei uomini male armati, che disponevano di quattro fucili, una pistola, quattro baionette, una spada e un machete7. Vennero catturati  nove guerriglieri, di cui quattro feriti. Va segnalato che i rivoltosi erano capeggiati dall’anarcosindacalista Félix Rodriguez, compagno di Plotino Rhodakanaty. Alcuni giorni dopo “La Sombra de Arteaga”scriveva che la pace regnava nello Stato e che “i comunisti erano stati sconfitti” . Le autorità del Querétaro non sapevano nulla delle attività dei ribelli e dei loro rapporti con il Centro Socialista dello Stato del Guanajuato, i cui principali dirigenti erano José Jiménez e Antonio Guevara (rappresentante del villaggio di Buenavista), tutti e due con il grado di autorità e agli interessi delle persone”. Nel corso dell’istruttoria presso il Tribunale distrettuale, l’anziano Antonio Guevara si assunse ogni responsabilità e dichiarò che i suoi coimputati non avevano nulla a che fare con la rivolta; questi, per parte loro, affermarono che non erano “immischiati in faccende rivoluzionarie”. Data l’insufficienza delle prove, il giudice istruttore concesse loro la libertà provvisoria. Alcuni di loro, tuttavia, continuarono a dedicarsi al progetto rivoluzionario perché “stanchi di reclamare il loro diritto indiscutibile alla terra. Ora non possono più neppure seminare un pugno di mais né tagliare un poco di legna, perché i possidenti non glielo permettono e non gli pagano neanche il loro lavoro se non con buoni validi per lo spaccio aziendale”. Un anno dopo un avvenimento venne a rompere la “pace sociale” del Querétaro. La mattina del 19 ottobre 1882 una trentina di rivoltosi, guidati dal colonnello José Jiménez, prese d’assalto la tenuta Tlacote El Bajoe requisendo armi, cavalli, denaro e merci dello spaccio. Negli scontri morì l’amministratore Manuel Guerriero e furono feriti due impiegati, uno dei quali morì giorni dopo. Poi i guerriglieri si diressero a Obrajuelo, dove assaltarono e depredarono l’allevamento El Capote. La repressione fu immediata. Incaricata di dare la caccia agli insorti fu la Gendarmeria rurale che a El Sancillo ne catturò cinque, di cui quattro feriti, recuperando cavalli e beni vari. Vennero inoltre arrestati numerosi braccianti di tenute vicine a Tlacote e altri ancora ad Apasco. Alla fine la maggior parte degli assalitori venne incarcerata. La stampa li trattò da criminali comuni, ma nel contempo incolpò in toto il movimento socialista. Dopo più di un anno e mezzo di ricorsi, respinto anche l’appello alla Suprema Corte di Giustizia, i colonnelli dell’ Esercito del Popolo Antonio Guevara, José Jiménez e Agustín Ramirez vennero condannati a morte per rapina e omicidio. Furono fucilati sull’alameda [viale alberato] della città di Querétaro il 16 giugno 1884 alle 7 della mattina, “con grande concorso di pubblico”. Due anni dopo, però, le autorità si resero conto della rivolta che covava. Nel marzo del 1881 il capo della polizia Rómulo Alonso fece arrestare “per delitto di sedizione” Antonio Guevara, Agustín Rodriguez, José Jiménez e altre otto persone. Li aveva fatti arrestare dopo esser stato informato che nei villaggi di San Antonio de la Punta, San Miguel Carrillo, Santa Maria e San Pablo si stava preparando un piano rivoluzionario.  



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