Il potere non è nel Parlamento o in un qualsiasi altro luogo della politica, esso è riassorbito nelle infrastrutture che ci circondano, nelle corporation e nei dispositivi che gestiscono la vita quotidiana, esso è dunque diffuso perché è locale esattamente come locali sono le forme di vita. La manipolazione delle sensibilità che l’Impero managerializza globalmente attraverso l’immenso reticolo di dispositivi comunicativi può essere contrastata ed eventualmente deposta non tanto, banalmente, attraverso l’uso alternativo degli stessi dispositivi, ma facendo consistere localmente un territorio che entra in secessione, inaugurando così una sperimentazione senza fine. Se è vero che la metropoli è di fatto la concentrazione dei dispositivi di controllo e di produzione, ormai indistinguibili tra loro, allora è evidente il perché la tensione insurrezionale si giochi oggi tra rifiuto e secessione, tra distruzione e esodo dalla metropoli, così come d’altra parte l’attività sovversiva del secolo scorso agì nei confronti della fabbrica. La condizione esistenziale che comunemente ci troviamo a vivere non può essere definita attraverso la posizione che si occupa nel mercato, nel consumo o nel lavoro ma può essere approssimata a partire dallo stato di spossessamento che condividiamo a livello della vita stessa, del linguaggio e persino dei sogni: non si può opporre all’economia politica un’altra economia politica, in compenso possiamo opporre all’economia una decisa politica dell’abitare che non è affatto difficile scorgere nelle piazze occupate dell’euro-mediterraneo o in qualche vicino esperimento di condivisione dell’esistenza. Per chi vuole organizzarsi in questo tempo sono quindi almeno due le dimensioni a partire dalle quali questo è possibile: sia localmente, costruendo le condizioni materiali e spirituali della secessione – comuni, basi rosse/nere, buchi neri nella metropoli – sia globalmente, costruendo quelle di una nuova Internazionale nella quale i frammenti dispersi acquisiscano una giusta configurazione strategica. Il comunismo libertario oggi forse non significa altro che l’arte di comporre questi frammenti insurrezionali in un divenire-rivoluzionario.
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