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giovedì 25 maggio 2023

Gli Anarchici a Roma all’inizio del novecento

Attraverso le carte raccolte dagli “osservatori” del ministero dell’Interno e la corposa produzione pubblicistica dell’ambiente libertario capitolino (in circa un decennio, 1913-1924, furono stampati una decina di periodici di vario spessore, oltre ad alcuni numeri unici e diversi cahiers di propaganda) è stato possibile ricostruire i contorni di un mondo sovversivo particolare, all’interno del quale l’esperienza anarchica si andò formando in termini policromi e innovativi. Il Programma adottato alla nascita della Federazione socialista-anarchica del Lazio nel 1900 introdusse il gradualismo rivoluzionario quale affinamento dell’insurrezionalismo e superamento dell’attitudine giacobina, dando, così, una prima concretizzazione programmatica alle elaborazioni di Malatesta di fine Ottocento. Pur tra alterne fortune, per tutta l’età liberale la Federazione laziale (rinominata Fascio comunista-anarchico nel 1913) rappresentò “l’anima organizzativa dell’anarchismo italiano”, tentando di dare al movimento nazionale una voce e un profilo organizzativo condivisi. Nel timore che si allocassero concentrazioni operaie troppo pericolosamente vicine ai centri del potere, a Roma non si svilupparono grandi fabbriche, mentre la gran massa della manodopera immigrata dalle campagne fu assorbita solo parzialmente dall’edilizia. Prese vita, quindi, un vasto proletariato, lontano dalla rigida disciplina d’industria e poco sensibile alle mediazioni di tipo politico e sindacale, ma attento alla soddisfazione immediata dei propri bisogni e disponibile alle pratiche dell’azione diretta e dell’autorganizzazione sociale. La proposta anarchica, così, poté permeare e radicarsi. Dall’elezione di Aristide Ceccarelli alla segreteria della da poco risorta Camera del lavoro nel 1901, si aprì un’indagine attiva e complessa dell’ipotesi anarco-sindacalista che prendeva le mosse dalle intuizioni di Luigi Fabbri – presente a Roma in quegli anni – e dall’esperienza dell’anarchisme ouvrier d’oltralpe. Fu così che, nell’Urbe, gli anarchici furono promotori del primo sciopero generale nel 1903 e poté sorgere la prima esperienza di sindacalismo libertario in Italia, la Lega generale del lavoro (1907-1910), quale affermazione dell’autonomia di classe intesa come reazione al tentativo di integrazione nello Stato del movimento operaio, orchestrato da Giolitti e tradotto, a Roma, da Ernesto Nathan. L’anarchismo capitolino colse i tratti costitutivi essenziali del movimento operaio locale, traducendone lo spontaneo spirito di ribellione che vi allignava in un intento volto allo sviluppo dell’azione collettiva ed espropriatrice che, nel biennio rosso, sfociò nel movimento delle occupazioni delle fabbriche, in quello parallelo delle occupazioni delle case e in episodi di aperta ribellione, quali la “battaglia del Colosseo” o lo sciopero insurrezionale in solidarietà con la rivolta di Ancona. A ridosso della marcia su Roma, attraverso l’opera del tipografo Eolo Varagnoli, presero vita i Nuclei libertari di categoria (poi riproposti su scala nazionale dal III congresso dell’UAI), che rappresentarono un iniziale tentativo di autodifesa di fronte alla crescente arroganza della tabe mussoliniana e dai quali sorse il Comitato di difesa proletaria, che arrivò a contare 50.000 iscritti in tutta la regione. D’altra parte, la profonda compenetrazione dell’anarchismo con le culture sovversive capitoline permise il venire alla luce di una larga, se pure minoritaria, compagine individualista, che assunse tratti del tutto peculiari, in una difficile sintesi tra la tradizione garibaldina e le letture stirneriane. Osteria e altri furono interpreti eccentrici di ipotesi eversive spurie, nelle quali si coniugarono le istanze di classe con il combattentismo più disponibile all’azione popolare, fino alla nascita della sezione romana degli Arditi del Popolo. Una storia viva quella  dell’anarchismo romano. Con i suoi luoghi di ritrovo come librerie, circoli di quartiere e osterie: famosa quella “Lucifero”, nel rione Borgo, a due passi dal Vaticano. Storia di una generazione di militanti, che restituisce lo spaccato di un laboratorio anarchico attivo e innovativo, quale parte di un più ampio schieramento di classe, in quel quindicennio speciale, compreso tra il deflagrare della settimana rossa e il consolidamento del regime fascista.


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