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giovedì 8 giugno 2023

L’UNIONE SINDACALE ITALIANA – parte seconda

Durante il biennio rosso (1919-1920) l’USI è presente nelle prime occupazioni delle fabbriche, da Sestri Ponente a Napoli a Torino. Dopo la serrata dell’Alfa Romeo del 31 agosto 1920 a Milano, la repressione statale decapita la dirigenza dell’USI con l’arresto di Borghi, Giovannetti, Meschi e Di Vittorio. Con l’avvento del fascismo l’USI subisce una repressione violenta, la devastazione delle sedi, la carcerazione e l’uccisione di molti militanti. L’USI, che durante il biennio rosso era riuscita a contare quasi 500.000 iscritti, viene soppressa con decreto del Prefetto di Milano il 7 gennaio 1925; la sede nazionale dell’USI è devastata e i suoi ultimi militanti costretti ad abbandonare l’Italia. Nonostante tutto, l’USI riesce a operare dall’esilio tramite una segreteria e un comitato di emigrazione voluto da Armando Borghi. È comunque la situazione spagnola degli anni Trenta a far intravedere all’USI uno sbocco rivoluzionario e, fin dal 1934, attivisti dell’USI partecipano alle sollevazioni popolari. Dopo il golpe militare di Francisco Franco il 17 luglio 1936, l’organizzazione anarcosindacalista CNT, anch’essa federata all’AIT come l’USI, passa al contrattacco e il 19 luglio le sue milizie, guidate da Buenaventura Durruti, liberano Barcelona e danno inizio alla rivoluzione libertaria. L’USI partecipa, insieme alle altre sezioni dell’AIT, a un’attiva mobilitazione e tantissimi sono i suoi militanti, in particolare quelli esiliati in Francia, che raggiungono la Spagna ed entrano nelle storiche colonne della CNT, quali la Ascaso, la Durruti, la Tierra y Libertad, la Ortiz. Con la sconfitta del proletariato rivoluzionario spagnolo anche il progetto anarcosindacalista si ridimensiona, riprendendo vigore solo durante gli anni della resistenza quando i militanti dell’USI si ritrovano a combattere nelle formazioni partigiane dei maquis in Francia e in quelle di matrice anarchica e anarcosindacalista che operano soprattutto in Liguria, Toscana e Lombardia. Nel dopoguerra i vecchi militanti dell’USI sostengono il mito dell’unità sindacale, confluendo nella CGIL, cosicché l’USI non si ricostituisce se non nel 1950 al Congresso di Piombino, quando una nuova leva di militanti, memore della necessità di distinguersi da una fittizia unità dei lavoratori, riattiva la sigla storica del sindacalismo libertario in Italia. Nel corso degli ultimi trent’anni, attraverso numerose vicende organizzative e politiche, l’USI è stata faticosamente riattivata. Oggi l’USI-AIT si presenta come un sindacato autogestionario che si caratterizza per la struttura libertaria e federalista, per l’impegno a favore dell’autorganizzazione dei lavoratori, per la prospettiva in cui si muove, che rimane quella della costruzione di una società socialista e libertaria. Tra i suoi obiettivi principali figurano l’uguaglianza sostanziale di tutte le lavoratrici e i lavoratori, la riduzione dell’orario di lavoro a parità salariale, un reddito minimo garantito per i disoccupati, la difesa della sanità, dell’istruzione e della previdenza pubblica, la smilitarizzazione del Paese, la solidarietà e l’internazionalismo.



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