La crescente impotenza dell’individuo a decidere da solo incide sulla stessa struttura delle sue aspettative. Mentre una volta gli uomini si disputavano risorse realmente scarse, oggi reclamano un meccanismo distributore per colmare una carenza che è solo illusoria. Gli individui, che hanno disimparato a riconoscere i propri bisogni, come a reclamare i propri diritti, divengono preda del sistema che definisce in vece loro le loro esigenze e rivendicazioni. La persona non può più contribuire di suo al continuo rinnovamento della vita sociale. L’uomo arriva a diffidare della parola, pende da un sapere presunto. Il voto rimpiazza la discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffè. Il cittadino si siede dinanzi allo schermo e tace. Le regole del senso comune che permettevano alla gente di unire e scambiarsi le proprie esperienze sono distrutte. Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone. Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore, anziché perseguire l’uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso peso di quella del suo padrone. La dipendenza, che tutti accettano come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza, dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie certezze. Riponendo la propria fede nell’esperto, l’uomo si spoglia prima della sua competenza giuridica e poi di quella politica. La fiducia nell’onnipotere della scienza induce i governi e i loro amministrati a cullarsi nell’illusione di poter eliminare i conflitti suscitati da un’evidente rarefazione dell’acqua, dell’aria o dell’energia, a credere ciecamente agli oracoli degli esperti che promettono miracolose moltiplicazioni. Nutrita del mito della scienza, la società abbandona agli esperti persino la cura di fissare i limiti dello sviluppo. Una simile delega di potere distrugge l’intero funzionamento politico; alla parola come misura di tutte le cose sostituisce l’obbedienza a un mito, e alla fine legittima in un certo senso anche la conduzione di esperimenti sull’uomo. L’esperto non rappresenta il cittadino, fa parte di una élite la cui autorità si fonda sul possesso esclusivo di un sapere non comunicabile; ma questo sapere, in realtà, non gli conferisce alcuna particolare attitudine a definire i confini dell’equilibrio della vita. L’esperto non potrà mai dire dove si colloca la soglia della tolleranza umana: è la persona che la determina, nella comunità; e questo suo diritto è inalienabile.
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