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giovedì 27 luglio 2023

El Colores) e Maganza banderilleros anarchici

La brutale persecuzione franchista contro tutto ciò che rappresentava l’“altra” Spagna fu uno dei presupposti fondamentali del golpe militare del luglio 1936. Migliaia di militanti libertari e di tutta la sinistra, anarco-sindacalisti della CNT o socialisti dell’UGT, insegnanti, intellettuali, operai e semplici contadini, furono imprigionati e trucidati. Non si trattò di una conseguenza dello scontro in atto, ma di un piano ben preciso. Gonzalo de Aguilera Munro, capo ufficio stampa di Franco, dichiarò al giornalista statunitense John T. Whitaker:  “il nostro programma consiste nello sterminare un terzo della popolazione maschile della Spagna. In questo modo si ripulirebbe il paese e ci disfaremmo del proletariato”. Come è noto, tra le vittime della ferocia franchista vi fu anche il poeta Federico García Lorca. Fino a pochi anni fa le circostanze della sua morte, compresa l’ubicazione del luogo della sua uccisione, erano ancora sconosciute. Ma la vicenda si è venuta via via dipanando fino a essere ripetutamente ripresa nei titoli dei giornali spagnoli ed europei. Da alcuni anni infatti da più parti viene fortemente messo in discussione quel pacto del olvido che fu sancito alla morte di Franco: transizione indolore alla democrazia in cambio del silenzio sui crimini franchisti. È in questo clima che è maturata l’approvazione della cosiddetta Ley de la Memoria Histórica così come la decisione del giudice Baltasar Garzón di permettere, appunto, la riapertura delle fosse comuni in cui giacciono ancora migliaia di sconosciute vittime antifasciste. E proprio la riesumazione dei resti del famoso poeta andaluso è stata al centro di una contesa legale, che ha visto protagonisti i familiari di Lorca e quelli delle altre persone che con lui furono fucilati. Quella notte del 17 agosto 1936 infatti, nella fattoria “Las Colonias”, García Lorca non aspettò la morte da solo. L’indomani fu condotto fino al bordo del burrone della località andalusa di Víznar legato ad altre tre persone. È lì che furono tutti e quattro fucilati ed è lì che ancora giacciono. Ma chi erano gli altri tre? Le loro biografie sono narrate in un libro pubblicato nel 2007 in Spagna, opera del giornalista Francisco Vigueras Roldán, Los paseados con Lorca: el maestro cojo y los dos banderilleros (Comunicación Social Ediciones y Publicaciones, Pedro Crespo Editor, 2007). Si chiamavano Dióscoro Galindo Gonzáles, Francisco Galadí Melgar (detto El Colores) e Joaquín Arcollas Cabezas (detto Maganza). Il primo era un maestro elementare repubblicano di sessant’anni originario della provincia di Valladolid ma che viveva e lavorava a Pulianas nella provincia di Granada; Galadí e Arcollas invece, entrambi di Granada, erano due banderilleros anarchici, sindacalisti della centrale libertaria CNT (nella tauromachia iberica il banderillero è il torero che conficca la lancia nella cervice del toro). Galadí per vivere lavorava anche come idraulico. Sia lui sia Arcollas erano molto conosciuti a Granada, specialmente nell’ambiente taurino, dove arrivarono a godere di una grande fama, tanto che ancora oggi sono ricordati in riviste spagnole dedicate alla tauromachia. Entrambi erano due “uomini d’azione” della CNT, impegnati anima e corpo nella difesa dei diritti dei lavoratori in un’epocain cui un padronato dispotico e violento rispondeva, nel migliore dei casi,col licenziamento di fronte a qualunque rivendicazione sindacale. Entrambi parteciparono alla resistenza antigolpista nello storico barrio granadino dell’Albaicín. Alla caduta del quartiere, prima di intraprendere la sortita che avevano organizzato per raggiungere le milizie antifranchiste, Galadí volle salutare il proprio bambino di dieci anni, con un incontro segreto. Ma una spiata permise ai franchisti di catturarlo assieme ad Arcollas, suo compagno inseparabile. Furono portati nel centro di Granada e lì picchiati selvaggiamente in pubblico, come ammonimento al resto della popolazione. Il principale responsabile della repressione, il comandante Valdés, li odiava in modo particolare, per lo spirito ribelle e di non sottomissione che avevano sempre mostrato. Dopo averli assassinati i falangisti perquisirono le loro abitazioni e diedero fuoco a quasi tutti i loro documenti e ricordi di famiglia. Rimasero solo alcune foto in abito da torero. Al di là delle vicende giudiziarie legate alla riapertura delle fosse comuni, c’è da augurarsi che le fino ad ora anonime vittime del franchismo non siano più utilizzate strumentalmente da una pesante gestione tutta istituzionale dei “martiri della democrazia” che non si domanda se per quei militanti antifranchisti era davvero questa democrazia il tipo di mondo nuovo a cui pensavano e per il quale si erano battuti fino a pagarne le conseguenze estreme. Una riparazione autentica sarebbe quella che più che agli ossari pensasse a ciò che di vivo c’era in quel passato soffocato nel sangue. Non solo la poesia di García Lorca. Perché Lorca non “es todos los muertos” come ha stupidamente titolato “El País”. Come se una volta riesumato e sepolto degnamente il poeta granadino si fosse resa giustizia a tutti i perseguitati. Ma, appunto, riparare significa anche ripensare alle idee e alle esperienze libertarie e anarcosindacaliste di autogestione e solidarietà. Quelle per cui uomini come Galadí e Arcollas hanno dato la vita. Ma il potere non ha certo interesse ad adoperarsi per qualcosa che, nel trarre ispirazione dalle idee e dalla vita dei nonni, portasse i nipoti a una pericolosa voglia di agire nel presente.


I FRATELLI - Atahualpa Yupanqui

Ho tanti fratelli che non li posso contare.

Nelle valli, in montagna e nella pampa e nel mare.

Ognuno con le sue fatiche, con i suoi sogni ognuno,

con la speranza davanti, coi ricordi dietro.

Ho tanti fratelli che non li posso contare.


Uomini dalla mano calda per colpa dell’amicizia.

Con pianti per piangere, con parole per pregare

con un orizzonte aperto che sta sempre un po’ più in là

e la forza di cercarlo con ragione e volontà

che quando sembra vicino si allontana ancora.

Ho tanti fratelli che non li posso contare.


E così continuiamo ad andare, frequentati dalla solitudine

ci perdiamo per il mondo, ci continuiamo a incontrare

così ci riconosciamo, per lo sguardo lontano

per i versi che mordiamo, semenza di eternità.


Così continuiamo ad andare, frequentati dalla solitudine

dentro di noi i nostri morti, perché niente può essere abbandonato.

Ho tanti fratelli che non li posso contare

e una donna meravigliosa che si chiama libertà.


Cosa significa essere umani

Il mondo è a un bivio. I sistemi sociali e politici che hanno sollevato milioni di persone dalla povertà e hanno plasmato il nostro mondo in un mondo globale, stanno fallendo. I vantaggi economici di ingegno stanno diventando sempre più concentrati, la disuguaglianza è in aumento, l'economia globale sta danneggiando l'ambiente naturale. La fiducia del pubblico negli affari, nel governo, nei media e persino nella società civile è caduto al punto in cui più della metà del mondo sente che il sistema attuale sta fallendo. Il crescente divario di fiducia tra quelli nella fascia di reddito più alto del loro paese e il resto della popolazione indica che la coesione sociale è nella migliore delle ipotesi fragile e molto vicino alla rottura nel peggiore dei casi. È in questo precario contesto politico e sociale che la classe dominante, il capitale aprono a nuove e potenti sfide attraverso una serie di emergenti tecnologie: dall'intelligenza artificiale, alle biotecnologie,all'informatica quantistica, che guideranno cambiamenti radicali nel modo in cui viviamo, e che ci porteranno ad una nuova Rivoluzione industriale. Queste tecnologie emergenti non sono semplicemente progressi incrementali su tecnologie digitali di oggi, ma sono veramente dirompenti: capovolgono i modi esistenti di percepire, calcolare, organizzare, agire e consegnare. Rappresentano modi completamente nuovi di creare valore per organizzazioni e cittadini. Trasformeranno nel tempo tutti i sistemi che oggi diamo per scontati, dal modo in cui noi produciamo e trasportiamo beni e servizi, al modo in cui comunichiamo, il modo in cui collaboriamo e il modo in cui sperimentiamo il mondo intorno noi. Già, i progressi nelle neurotecnologie e nelle biotecnologie ci costringeremo a chiederci cosa significhi essere umani?


giovedì 20 luglio 2023

Il debito e il lavoro

Il debito è promessa di lavoro futuro, è sottoporsi alla certezza che domani dovrai lavorare di più per produrre di più. Insieme all’ideologia del lavoro è il principale meccanismo di asservimento a disposizione del sistema. Il neoliberismo ancorché sconfitto dai fatti che sconfessano fede nei mercati e deregulation, continua a replicarsi, perché è principalmente un’ideologia politica che s’ammanta della retorica dell’efficienza economica. Il neoliberismo vuole escludere ogni alternativa al capitalismo, per dimostrare che è l’unico sistema possibile. La crisi è la dimostrazione della sua insostenibilità economica. Si esce da questa crisi con un controllo democratico sull’emissione di moneta. Oggi le banche centrali sono isolate ad arte dalla democrazia. Sono la roccaforte dell’1%, di quei banchieri internazionali che non hanno rispettato le regole e giocato d’azzardo precipitando tutti. Risultato: ai banchieri vanno triliardi, al 99% tagli e austerità. Paghiamo per chi si è già enormemente arricchito sulle nostre spalle negli ultimi trent’anni, da quando la moneta è diventata circolazione del debito. Vogliono farci credere che l’unica alternativa al fallimento del  neoliberismo sia la catastrofe. Vogliono impedirci di immaginare un’altro sistema oltre il capitalismo. Ma il nostra compito è proprio questo: immaginare e sperimentare reti di promesse e impegni economici che si reggano su principi di solidarietà, gratuità e reciprocità, invece che di disuguaglianza e dominazione. Oggi ci vuole un grande giubileo del debito, l’esatto opposto di chi vorrebbe moralizzare la crisi, addossando ai popoli la responsabilità di decenni di politiche economiche redistributive verso l’alto.


LA PENSIONE - Allain Leprest

To’, ora la bottiglia arriva al fondo, siamo vecchi, vecchia mia.

Veri vecchi col semolino, vecchi con la testa che trema

Eccoci al fondo della via, a voce bassa, chi l’avrebbe detto

Al tempo della vita che correva, al tempo che non si rimproverava

Alle stelle di sparire

In pensione

A che ci serve questo cuore se si è svuotato del meglio?

Che ci hanno preso legno e forza e non ci resta che la corteccia…

O forse non è proprio una cazzata che il vuoto venga reso

Che dopo la festa restino ancora le lische della vecchiaia

Per finire la sigaretta

In pensione

Tutto qui sembra vecchio, il caffè puzza di orzo

Il «tiamo» mette le pantofole, l’amore getta via le marionette

E la testa si volta di colpo a rileggere la tappezzeria

Su cui mille volte i cacciatori uccidono un cervo che cercava la fuga

Fra la porta e la finestra

In pensione

Forse ad una certa età più o meno lo spirito evapora

E la ragione traballa, e senti i peli bianchi sulla lingua

Noi saremo i centenari che sognano viaggi lontani

Aver voglia del Perù, anche quando senti caderti addosso

Le palate di terra che arrivano

In pensione

Scende la sera, andiamo via, non ci deve trovare seduti

Se molliamo i ninnoli, l’indispensabile sta in uno zaino

Guarda, alzo il pollice e Hop!… si chiama Autostop!

Tanto peggio se non abbiamo i jeans, se questa scema si crede

Che se ci sei dentro il cuore si fermi

In pensione

Addio il letto… Buongiorno Madrid, non facciamo riposare le rughe

Se ci sbrighiamo a correre, domani saremo a Toledo

A vedere le ombre lente, sentire le case che bruciano

Ciao arancio sul cortile, ciao pigrizia dei giorni…

Avevo fretta di arrivare

In pensione

To’, ora la bottiglia arriva al fondo, siamo vecchi, vecchia mia.


Vittorio Baldi

Nacque a Seravezza (Lucca) il 12 ottobre1888. Di professione marmista, si avvicinò fin da giovane alle idee anarco-sindacaliste ed influenzato dall’attività instancabile degli anarchici della vicina Carrara, in particolare di Alberto Meschi, fu uno dei promotori, nel 1913, della Lega marmisti della Versilia che operava in stretto contatto con la Camera del Lavoro di Carrara. Fu anche corrispondente in quegli anni del giornale “ Il Cavatore” di Carrara. Nel 1916 fu eletto segretario del Circolo Studi Sociali di Ripa (Seravezza) e per questa sua attività fu spesso oggetto di persecuzioni, insieme ad altri suoi compagni. Fu richiamato alle armi nel marzo 1916 e nel 1918, con la smobilitazione, rientrò al suo paese dove trovò una situazione peggiore di quella che aveva lasciato. I moti per il carovita del 1920 scoppiarono anche in Versilia e gli anarchici furono sempre in prima fila. Ma i moti fallirono e furono spiccati mandati di cattura nei confronti di molti anarchici versiliesi, fra cui Baldi, che per sottrarsi all’arresto si diede alla latitanza. Venne rintracciato, catturato e dopo tre mesi amnistiato. Nel 1920 partecipò alla costituzione del Gruppo Comunista-Anarchico della Versilia aderente all’Unione Anarchica Italiana. Intanto il fascismo aumentava progressivamente le sue azioni intimidatorie ed i primi ad essere presi di mira furono ovviamente gli anarchici. Baldi subì persecuzioni, fu bastonato e minacciato cosicché nell’ottobre 1922 insieme ad un altro anarchico decise di espatriare. I due non riuscirono nel loro intento, ma furono arrestati alla frontiera di Ventimiglia e dopo 15 giorni di carcere ricondotti a Seravezza. Baldi ripeté il tentativo l’anno successivo, questa volta con successo grazie all’aiuto di alcuni contrabbandieri. Fra il 1926 e il 1934 lavorò come scultore a Nizza e a Monaco frequentando sempre gli ambienti antifascisti italiani della Costa Azzurra. Il primo gennaio 1931 partecipò alla dimostrazione di fronte al Consolato Italiano di Nizza e successivamente in diverse riunioni di emigrati avrebbe, secondo un rapporto della polizia politica, prospettato la necessità di creare un comitato di assistenza in favore dei renitenti alla leva e dei disertori italiani. Per questa sua attività fu espulso dalla Francia il 30 mar zo 1934 e costretto a rendersi irreperibile. Solo in seguito, grazie all’intervento della LIDU, il governo francese revocò il provvedimento e concesse a Baldi un permesso di soggiorno rinnovabile di tre mesi in tre mesi. In seguito all’occupazione di Nizza da parte dei fascisti, fu arrestato il 28 novembre 1942 ed il 30 internato nel campo di concentramento di Vernet; quindi il 22 dicembre fu consegnato alle autorità italiane al confine di Menton. Con ordinanza del 9 febbraio 1943 fu assegnato al confino di Tremiti per cinque anni. Liberato il 5 settembre, rientrò al suo paese dove rimase solo due mesi poiché la sua famiglia era rimasta in Francia. L’11 novembre rientrò clandestinamente a Nizza non avendo ottenuto il regolare visto di espatrio. Ritornò dopo qualche anno nella sua Versilia ove contribuì a ricostituire il gruppo anarchico aderente alla Federazione Anarchica Italiana. Morì a Seravezza il 30 ottobre 1973.


giovedì 13 luglio 2023

IL CITTADINISMO

Per recuperare e disattivare la ribellione sociale, in primo luogo quella dei giovani, contraria alle nuove condizioni del dominio, quelle che obbediscono al meccanismo costruzione/distruzione/ricostruzione tipico dello sviluppo, si mette in movimento una visione degradata della lotta di classe, i cosiddetti movimenti sociali, tra cui quelli delle piattaforme. Per quelli che non desiderano un altro ordine sociale, il mito del cittadino può vantaggiosamente sostituire quello del proletariato nei nuovi schemi ideologici. Il cittadinismo è il figlio più legittimo dell’operaismo e del progressismo entrambi antiquati. Non nasce per seppellirli, ma per rivitalizzare il cadavere. In un momento in cui non c’è dialogo più autentico di quello che può esistere tra i nuclei ribelli, esso pretende di dialogare solo con i poteri, aprire breccia da cui provare a negoziare. Ma la comunità degli oppressi non deve cercare di coesistere pacificamente con la società che opprime, poiché la sua esistenza non trova giustificazione che nella lotta contro questa. Un modo diverso di vivere non deve basarsi sul dialogo e sul negoziato con le istituzioni portati avanti nel modo servile di prima. Il suo rafforzamento non verrà dunque né da una transazione, né da una qualsivoglia crisi economica, ma da una secessione di massa, da una dissidenza generalizzata, da una rottura drastica con la politica e il mercato. In altri termini, da una rivoluzione di nuovo tipo, una rivoluzione da inventare strada facendo. Poiché la strada opposta alla rivoluzione conduce non solo all’infelicità e alla sottomissione ma anche all’estinzione biologica dell’umanità.


RING OF FIRE - Johnny Cash

l'amore è una cosa che brucia

e crea un anello impetuoso

legato da un desiderio selvaggio

sono caduto in un anello di fuoco


cado bruciando in un anello di fuoco

Sono andato giù, giù, giù, e le fiamme salivano più alte

e brucia, brucia, brucia

l'anello di fuoco, l'anello di fuoco


cado bruciando in un anello di fuoco

Sono andato giù, giù, giù, e le fiamme salivano più alte

e brucia, brucia, brucia

l'anello di fuoco, l'anello di fuoco


Il sapore dell'amore è dolce

Quando cuori come i nostri si incontrano

Mi innamoro di te come un ragazzino

Oh, ma il fuoco si è fatto selvaggio


cado bruciando in un anello di fuoco

Sono andato giù, giù, giù, e le fiamme salivano più alte

e brucia, brucia, brucia

l'anello di fuoco, l'anello di fuoco


io cado bruciando in un anello di fuoco

Sono andato giù, giù, giù, e le fiamme salivano più alte

e brucia, brucia, brucia

l'anello di fuoco, l'anello di fuoco


e brucia, brucia, brucia

l'anello di fuoco, l'anello di fuoco

l'anello di fuoco, l'anello di fuoco




 

La Rivoluzione Sociale di Pier Carlo Masini


"VIVA LA RIVOLUZIONE SOCIALE ", con questo grido erano finiti i lavori della Conferenza di Rimini. E il Cafiero, presidente di quella conferenza, aveva poco dopo concluso il suo articolo sul congresso dell'Aia con parole altrettanto impegnative e solenni: "A provare le nostre forze attendiamo la Rivoluzione: che essa giudichi autoritari ed anarchici". Ma che cosa intendevano gli internazionalisti italiani per rivoluzione sociale? Essi anzitutto, mettendo piuttosto l'accento sull'aggettivo che sul sostantivo, intendevano il contrario della rivoluzione politica, di cui il Risorgimento con il suo epilogo unitario-monarchico, rappresentava l'esempio negativo e deludente. In secondo luogo, per la stessa impostazione anarchica del problema, non potevano concepire la rivoluzione nei termini delle esperienze quarantottesche: come conquista del potere politico a mezzo di colpi di mano sui centri di questo potere. Infatti gli internazionalisti non volevano in alcun modo – né violento, né pacifico, né legale, né illegale – la conquista del potere politico, ma si proponevano piuttosto di distruggerlo. Le due questioni erano legate perché la conquista del potere politico ricadeva ancora negli schemi della rivoluzione politica che appunto gli internazionalisti rifiutavano in nome della rivoluzione sociale. D'altra parte la rivoluzione politica richiedeva anche per il suo successo una organizzazione fortemente centralizzata, un efficiente apparato militare, una rigida disciplina ideologica e tattica che gli internazionalisti, per ragioni di principio, rifiutavano. Detto ciò che gli internazionalisti non volevano, resta più facile capire che cosa in effetti volessero. Di positivo volevano, come dicono i loro programmi, "l'emancipazione del proletario" e "l'organamento del lavoro": due obiettivi che a loro giudizio stavano completamente fuori della politica corrente, in una nuova dimensione storica. Per "emancipazione del proletario" essi intendevano la liberazione dei lavoratori dalla condizione del salariato e dalla soggezione al capitale; per "organamento del lavoro" una organizzazione economica collettivistica a base federativa fra i comuni e le associazioni produttive: questa era la parte socialista del loro programma. Quanto alla rivoluzione sociale – o come si diceva talvolta più  fantasiosamente liquidazione sociale – essa si presentava agli occhi degli internazionalisti come una prospettiva catastrofica e palingenetica, una specie di sisma politico più o meno imminente. Si trattava di un mito di potente effetto nell'agitazione e nella propaganda, mancante peraltro di quella concretezza e praticabilità che invece si ritrovava nei piani rivoluzionari di tipo tradizionale, giacobino o blanquista, mazziniano o garibaldino. Un nuovo millenarismo animava questa idea di rivoluzione sociale non più concentrata in un punto dato e prevista per un momento convenuto, ma concepita come un moto diffuso e ininterrotto, una guerra senza quartiere, senza rigidi fronti di combattimento, senza possibilità di armistizi e di soluzioni provvisorie: cospirazioni, dimostrazioni barricate guerriglia per bande, sortite, moti di piazza, proteste, agitazioni, scioperi, attentati, rivolte in campagne e in città, atti individuali e movimentI collettivi, fino alla totale distruzione del nemico: tutto questo era la rivoluzione sociale.





giovedì 6 luglio 2023

Stiamo diventando dei disabili

Oggi siamo tutti progressivamente privati delle nostre capacità di genere e messi di continuo alla mercé di una macchina o delle decisioni di uno specialista. In questo modo stiamo man mano perdendo l’utilizzo di funzioni vitali. Forse non ce ne rendiamo conto, ma nel mondo incivilito abbiamo perso l’uso dei piedi. Se ci togliamo le scarpe non siamo più in grado di muoverci. Forse non ce ne rendiamo conto, ma nel mondo incivilito non siamo più in grado di provvedere autonomamente alla nostra sussistenza: non riusciamo più a riconoscere una pozza d’acqua potabile da una inquinata; non riusciamo più a distinguere un fungo velenoso da uno commestibile; non siamo più in grado di proteggerci dal freddo, di difenderci da soli, di riconoscere bacche, radici e altri vegetali indispensabili al nostro nutrimento. Siamo insomma diventati dei disabili. Nel mondo incivilito siamo come dei polli in batteria: se si interrompe il flusso di mangime lo scenario è il collasso. E tanto più diventeremo dipendenti dal flusso di mangime, quanto più saremo costretti ad accettare le decisioni, le regole, gli abusi e le restrizioni di chi controlla e gestisce questo flusso. In altre parole tanto più diventeremo dipendenti dai ritrovati della tecnologia, dai diktat dell’economia, dalle astrazioni simboliche della cultura, dai processi controllati dalla Paura politica e dai principi strangolanti del Dominio, quanto più ci allontaneremo dalla capacità anche solo di immaginarlo un mondo diverso. A forza di artificializzarci, di mutare silenziosamente, di separarci con leggerezza dalla vita vissuta, di recitare la parte dei polli in batteria subordinando la realtà reale a quella virtuale, arriveremo a perdere anche solo la capacità di immaginarlo un mondo naturale nel quale tornare a vivere. Quello che dobbiamo sempre ricordare che un’esistenza senza catene è la sola condizione compatibile con la vita umana e della Terra; la sola condizione in cui poter godere di un’esistenza libera e gratificante insieme e non contro gli altri.    


π - Il teorema del delirio di Darren Aronofsky

Difficile non solo riassumere, ma anche parlare della trama del film: "Pi" è la storia di un viaggio. Un viaggio profondo negli abissi della mente di Maximillian Cohen, geniale matematico affetto da potentissime crisi di emicrania (per aver fissato intensamente, da bambino, la luce del sole) perennemente rinchiuso nel suo appartamento di Chinatown. Disordinato, caotico, invaso da cavi e chip che formano il suo personale computer, quello con cui svolge le ricerche di tutta una vita. Max è un solitario, una persona schiva, disadattatosi in fretta alla società che lo circonda, alle mere esistenze di quell’agglomerato d’umanità che corre attraverso il labirinto chiamato “Grande Mela”. La sua vita sta tutta nella matematica, nei numeri. E non solo la sua. Max è convinto che ogni cosa esistente, la Natura, la Vita, gli indici di borsa, siano riconducibili e spiegabili attraverso schemi, numeri. Da questa considerazione forgia le sue massime sull’esistenza: La matematica è il linguaggio della natura, Ogni cosa può essere spiegata attraverso i numeri, Ottenendo numeri semplici, scomponendo ogni sistema, si possono ottenere dei modelli, Ovunque in natura esistono questi modelli. Fortemente convinto che l'intera natura, e persino la realtà umana, possano essere interpretate in termini di leggi matematiche e geometriche, Max è alla disperata ricerca di una regola universale che permetta di anticipare l'andamento delle quotazioni di borsa. Grazie  all'aiuto di potenti calcolatori elettronici, farà la conoscenza con una serie numerica di circa 200 cifre, attorno alla quale gravitano gli interessi di un gruppo di speculatori di Wall street e di una congregazione ebraica.
Maximillian verrà quindi trascinato in un vortice di eventi incontrollabili, a contatto con l' avidità e la sete di conoscenza dell'uomo moderno, fino a mettere a repentaglio la sua stessa salute mentale. È impossibile non rimanere rapiti da Pi Greco, l’opera prima dall’apparente struttura fantascientifica che Darren Aronofsky ha arricchito di suggestioni letterarie colte (Edgar Allan Poe e Franz Kafka) e di strizzate d’occhio a certo cinema di David Lynch. Girato in un bianco e nero contrastato affascinantissimo, il film è tra i pochi nella storia recente del cinema americano dotato di una sorprendente abilità di cogliere perfettamente il caos allucinatorio di un mondo soffocato dal rigore di una razionalità che tende all’infinito e alla verità divina. Pur mettendo al centro della narrazione una scienza particolarmente spigolosa come la matematica, Pi Greco espone teoremi e corollari in modo affascinante e sempre comprensibile anche a chi ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la materia. La complessità del film è
data solo dalla sintesi metodica dei vari elementi estetici e concettuali che vanno a collegarsi tra loro con il progredire delle vicende, senza lasciare nulla al caso.Ingegnoso e dotato di una tensione ben calibrata e graffiata da improvvise scariche di adrenalina, Pi Greco conduce per circa un’ora e mezza negli anfratti di una mente paranoica che si spinge verso i sentieri della metafisica per uscirne cambiata radicalmente. Il ritmo tachicardico e strutturato da un tempo psicologico di stampo postmoderno, tiene uniti tutti questi codici cinematografici che danno vita a una visione paranoica che si indirizza perfettamente nel tunnel della follia. Lo spettatore viene immediatamente contagiato da questa anarchico squilibrio, da Max e dalla sua tormentata visione del mondo. Una visione che abbraccia due estremi come l’ordine e il caos, il cui contrasto si può globalmente riassumere in una scena: Max è al mare, sulla spiaggia, mentre ammira i riflessi della luce sull’acqua; Max si avvicina al bagnasciuga e trova una conchiglia; la raccoglie e, portandosela vicino, ne riconosce la perfezione delle forme geometriche. La matematica non è altro che filosofia, la più concettuale e astratta a cui l’uomo ha affidato il proprio destino. Come la conchiglia, questa creatura della natura rigettata sulla spiaggia da quella stessa acqua che le ha permesso la vita. Un’esistenza che ha inconsciamente fiducia nel caos, libera da costruzioni logiche in cui l’uomo invece, spesso si imprigiona per rifiutare la verità dell’ineffabile.



La libertà illimitata d’espressione

L’esercizio di tale libertà è oggi snaturato n modo particolare dai progressi tecnici della manipolazione di massa, della pubblicità, della propaganda, della comunicazione, dell’informazione, della spettacolarizzazione del vissuto, che mirano ad assettare al potere del denaro e al denaro del potere una coscienza svilita dalla paura e un pensiero votato all’indigenza e all’autocensura. Può essere restaurato soltanto dalla lotta per una società più umana. Nato dal libero scambio e dalla libera circolazione dei beni e delle persone, la libertà d’espressione è oggi minacciata dallo stesso spirito mercantile che aveva presieduto alla sua nascita. Ciò che ieri l’apriva, oggi, a mano a mano che il cerchio del profitto asserraglia il mondo la chiude. La lotta contro la tirannia, punto di forza della libertà di parola e di pensiero,è uin’illusione se il cittadino nopn impara a individuare e a distinguere, nelle informazioni che ogni giorno gli bombardano occhi e orecchie, a quali intrighi d’interessi obbediscono o, quantomeno, come sono ordinate, governate, deformate. Non possiamo ignorare che, seppure riversate alla rinfusa, esse ci vengono ammannite in un imballaggio mediatico. Occorre toglierle dall’involucro, vagliarle così come si scartano e si esaminano quei prodotti di consumo che a volte sono stati, che sono spesso e diventeranno rapidamente spazzatura. Infatti, una  una volta effettuata la scelta, non c’è cosa sia che susciti attrazione, disgusto o indifferenza che non possa essere convertita, riciclata, trasformata per servire al benessere individuale e collettivo. La libertà illimitata d’espressione non è un dato di fatto ma una continua conquista, che l’obbligo dell’obbedienza non ha molto favorito fino a oggi. Non esiste un uso buono o cattivo della libertà d’espressione, esiste soltanto un uso insufficiente di essa.