Strumento primario di iniziazione, del passaggio dell'esperienza da parte dell' "anziano" amorevole. Pensateci bene, nessuno che ci vuole male potrà mai insegnarci a pedalare. Come in ogni iniziazione che si rispetti c'è la perdita di sangue e la ferita che segna il distacco (le ginocchia sbucciate e le mani scartavetrate). E la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica, il superare la goffaggine iniziale delle nuove movenze, zac! la coscienza improvvisa che il vero equilibrio è nel movimento piuttosto che nella staticità. La rinnovata confidenza col nostro sistema neuromuscolare aiutata dalla preghiera cigolante delle ruote sulla strada. Una meditazione tubolare completa, in contemplazione attiva, tra il paesaggio fermo e il fiume del traffico che mentre pedali si scambiano le parti: in movimento il primo e congelato il secondo. Come nuotare e fare l'amore, l'andare in bicicletta è programmato da qualche parte dei nostri geni, una volta appreso è impossibile dimenticarlo. Il modello insuperato dello spostamento socialmente responsabile, senza spreco di risorse, non stressante e per di più divertente. La civiltà di un paese è direttamente proporzionale al rispetto per i propri ciclisti. Andare in bicicletta non implica nessuna stupida esibizione di potenza, richiede solo ottimismo e coraggio (dare le spalle alle auto è un vero atto di fede, compito del nostro guerriero interiore). I Provos con le loro biciclette bianche a disposizione di chiunque. Alfred Jarry e la sua patafisica scintillante bicicletta da corsa. Albert Hofman e la fatata pedalata del 43. Le spettacolari bici fabbricate a Christiania. Veicolo egualitario, foriero di intimità (portato mai nessuno in canna?) la bici è il muesli dei mezzi di trasporto. Se i popoli precolombiani ignoravano la ruota per gli spostamenti e la utilizzavano solo per i giocattoli, se i tibetani la concepivano esclusivamente per i loro strumenti di preghiera, la bicicletta è la splendida sintesi degli usi possibili della ruota: gioco, trasporto e preghiera.
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