La teoria delle catastrofi ci insegna che i grandi cambiamenti avvengono a salti, in modo discontinuo e imprevedibile; nel Diciannovesimo secolo la scoperta della geometria sferica da parte di Bernhard Riemann ci ha aperto porte prima inimmaginabili nel percorso della conoscenza. Un evento che rivoluzionò la matematica e la topologia e che sarebbe diventato la chiave per la formalizzazione della struttura stessa dell’Universo. Ancora più indietro nel tempo, secoli prima la scoperta della geometria sferica, l’uomo si accorse della curvatura della Terra; due eventi correlati che ci hanno permesso di avere nuovi strumenti, e protesi concettuali per scoprire le nostre nuove Indie; dalla concezione della cosmografia mesopotamica, dove il mondo era descritto come un disco piatto galleggiante nell’oceano, fino alle nostre mappe, il salto non ha riguardato tanto il dettaglio sempre più fine della rappresentazione, quanto piuttosto il passaggio dal bidimensionale al tridimensionale. Un modello a tre dimensioni contiene un numero maggiore di informazioni rispetto ad un modello a due dimensioni. Mappe del reale estremamente dettagliate ma che non avrebbero mai oltrepassato quel tenue ma resistente confine fra realtà fisica e realtà della mente. Un surplus di informazioni che poco aveva a che fare con i vasti paesaggi mentali che fin dalle origini dell’uomo hanno dato vita a quel motore interno capace di generare mondi.
I salti avvengono spesso casualmente: il 16 novembre del 1938, il chimico svizzero Albert Hofmann sintetizza per la prima volta l'LSD-25. L’esperimento di sintesi viene archiviato nei laboratori della Sandoz, quasi dimenticato. Cinque anni dopo Hofmann decide di studiare a fondo questa strana molecola e, durante la sintesi, per errore ne entra in contatto, un incidente che lo costrinse a interrompere il lavoro di laboratorio a causa di insolite sensazioni. Ne scriverà poi un rapporto interno: “Venerdì scorso, 16 aprile 1943, a pomeriggio inoltrato ho dovuto interrompere il lavoro in laboratorio e far ritorno a casa. Ero affetto da una profonda irrequietezza, accompagnata da leggere vertigini. Mi sono sdraiato e sono sprofondato in uno stato di intossicazione niente affatto spiacevole, marcato da un’immaginazione particolarmente vivida. In una condizione simile al sogno, a occhi chiusi (la luce del giorno era abbagliante e fastidiosa), riuscivo a scorgere un flusso ininterrotto di figure fantastiche, di forme straordinarie che rivelavano intensi giochi caleidoscopici di colore”.1 Responsabile dell’inaspettato spettacolo interiore fu una molecola apparentemente anonima (la dietilammide-25), la sua struttura spaziale non è particolarmente complessa eppure se ne assume un modesto quantitativo – ne bastano appena 25 ?g – qualcosa si impossessa della nostra mente per condurci verso un’intensa esperienza psichedelica, collegamenti inattesi che scaturiscono dalla deformazione percettiva dello spazio e del tempo; come la luce, che attraversando la pellicola cinematografica proietta delle immagini in movimento, così la molecola ci rende protagonisti di un film interiore utilizzando l’hardware del nostro cervello. Molteplici universi prendono vita simultaneamente a più livelli, e ad ognuno di essi è data la nitidezza della realtà. I contenuti nascosti della psiche si riversano nel mondo fisico. Il muro è abbattuto e le convinzioni riguardanti la natura della realtà si sfaldano sotto i colpi dell’inaudito e dell’ineffabile.
Il mondo interiore non sembra più così illusorio come si era ritenuto in piena epoca meccanicista e, secondo lo storico e orientalista francese Henry Corbin, le visioni interiori nascendo dal mondo immaginale, possono essere intese come un’interfaccia, una mediazione tra il mondo delle essenze e quello della percezione; l’immagine interiore, diventa pienamente “reale”, nel senso che può essere considerata come trasformatrice del mondo. L’esplorazione del mondo interiore ha bisogno di nuovi mezzi; i recessi della mente rivelano bellezze inimmaginabili che possono essere emulate dall’arte che non può più essere descrittiva né tantomeno impressionistica, d’ora in poi l’arte dovrà essere interattiva a un livello più profondo e interagire con la mente in una sorta di organizzazione auto-poietica, consentendo allo spazio della mente di sovrapporsi allo spazio reale.
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