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giovedì 7 marzo 2024

L’Anarchia nel XX secolo – Parte X

1913 

3 febbraio - Si apre a  Parigi il processo alla  banda Bonnot. I «banditi tragici» (come sono stati battezzati dalla stampa) avevano praticato in gioventù ideali anarchici; anche un intellettuale come Victor Kibalcic (il futuro Victor Serge) che si era da tempo dissociato dagli amici di Bonnot, viene processato e condannato come complice. L'ultima belle époque della classe dominante era stata attraversata dal grido di battaglia «morte alla borghesia!» lanciato da questi piccoli banditi, incoscienti ma a loro modo generosi e rappresentativi, le cui imprese hanno perduto via via ogni connotazione politica; ma  Bonnot continua a essere definito «l'anarchiste » dai giornali borghesi. Jules Bonnot era nato nel 1876, di famiglia operaia; operaio lui stesso, a quindici anni viene cacciato dal lavoro per insubordinazione. Due anni dopo, nel 1893, a Besangon, una rissa per una ragazza gli sporca la fedina penale: è allora che l'ingiustizia sociale fa di questo ragazzo un ribelle. È l'anno in cui, al corteo del primo maggio, l'esercito spara sui lavoratori provocando dodici morti e trentotto feriti. Jules conosce gli anarchici, legge i primi opuscoli sovversivi. Cacciato dal padre, si reca a Nancy ove fa la fame e viene salvato da una prostituta di buon cuore, ma deve partire per il servizio militare che lo ricaccia in un mondo di ottusa bestialità. Impara l'uso delle armi, diventa il campione della compagnia al tiro al fucile Lebel. Smobilitato, si sposa e trova lavoro come ferroviere. Sembra felice: ma per aver  protestato con i superiori troppo arroganti, viene licenziato e messo sulla lista nera. Non trova più lavoro in Francia e deve emigrare in Svizzera. Espulso con la moglie, trova un  posto a Lione come meccanico di automobili: abbandona il sindacalismo, stanco di lottare. Ma quando scoppia uno sciopero non se la sente di fare il crumiro. E licenziato. Comincia l'odissea di Bonnot da un paese all'altro, da un lavoro all'altro, perseguitato come ogni lavoratore che osi scioperare, disoccupato come centinaia di migliaia di persone in un'epoca che la convenzione ha chiamato belle époque. Bonnot si ammala ai polmoni e viene abbandonato dalla moglie che si mette con un sindacalista. Guarito, decide di vendicarsi con mezzi  moderni. Prende la patente, comincia a rubare motociclette e automobili, si associa con l'anarchico italiano Platano, detto anche Mandino, Mandolino o Sorrentino, coinvolge nei furti altri anarchici inconsapevoli o incoscienti, mescola nella sua vendetta a una società profondamente ingiusta la sua ansia di rifarsi un'immagine «temuta», da buttare sul muso a quanti l'hanno disprezzato, come il padre e la moglie. Scongiura la moglie, cui racconta di essere diventato un onesto operaio, di lasciargli  almeno vedere suo figlio. Lei lo butta fuori. Bonnot è disperato e isolato: non gli piacciono i malviventi senza ideali, gli ubriaconi da osteria. Si riprende, va a Londra, diventa l'autista di Conan Doyle, l'inventore di Sherlock Holmes, studia l'inglese e il tedesco. Tornato  a Lione, scassina con l'aiuto di Platano la

casa di un notaio; l'auto serve per la fuga. Ripara a Parigi, rimasto solo dopo aver ucciso in una lite Platano; cerca la complicità di altri ex anarchici: non è una vera banda ma un gruppetto di balordi che coinvolge nelle sue imprese, furti, rapine, seguiti da rivoltellate quando si vede scoperto: due ispettori di polizia cadono sotto i suoi colpi. Anche la «banda » Bonnot conosce il piombo. Il 28 aprile 1912 Bonnot stesso, ancora vivo, è finito con un colpo di pistola dalla polizia. Gli scampati vengono processati, assieme a presunti complici: in tutto 22 accusati, tra cui Victor Kibalcic e la sua amica Rirette Maitrejean, responsabili del giornale "L'Anarchie". Victor (un intellettuale che per campare ha lavorato come operaio) è un abile ragionatore; condanna la violenza individuale ma ne spiega in aula le radici sociali: il presidente lo teme, gli toglie la parola, non lo lascerà più parlare. Anzi, Victor viene accusato di essere il capo della  banda, «l'ideologo». Tesi ridicola, infondata, e  ben presto abbandonata dall'accusa. Quattro condanne a morte, due all'ergastolo, altre a 32, 26 anni, altre pene minori, quattro assoluzioni (tra cui Rirette). Victor, riconosciuto colpevole di nulla, ma per tenere in piedi la teoria che esisteva una banda e quindi un capobanda: condanna a cinque anni. Victor non rivedrà  più l'affascinante Rirette: passerà dalla Francia, nel 1917, in  Spagna, raggiungerà Barcellona, vi troverà lavoro come tipografo, parteciperà all'insurrezione anarchica del luglio 1917. 

29 luglio - Malatesta parte dall'Inghilterra per l'Italia. Si fermerà in agosto ad Ancona, dove da alcuni mesi si pubblica la rivista "Volontà". 

Dicembre - Luigi Fabbri pubblica a Firenze Lettere a un socialista.  



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