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giovedì 14 marzo 2024

La Teoria radicale

Sembra essere ormai comunemente accettato tra molti anti-autoritari che la teoria radicale sia un'occupazione da accademici. Da una parte ci sono gli attivisti ideologici che tacciano di accademico o intellettuale da poltrona chiunque cerchi di analizzare la società - o le proprie attività - in una maniera che vada oltre l'ultima moda in fatto di parole d'ordine. Dall'altra parte ci sono quelli che integrano i proventi della propria professione accademica/intellettuale scrivendo saggi che criticano la società, la sinistra o persino la propria stessa professione, ma in termini così astratti ed inconsistenti da perdere qualunque significato in relazione alle loro vite. Questi intellettuali e questi attivisti anti-intellettuali rimangono egualmente assoggettati al discorso della società. La teoria radicale è altrove. La teoria radicale nasce dall'energia del desiderio ribelle in primo luogo come un riconoscimento basilare del fatto che il contesto in cui ci troviamo impoverisce le nostre vite. Poiché siamo stati educati non a pensare ma piuttosto ad avere dei pensieri, è molto facile cadere da questo riconoscimento basilare nell'accettare un'ideologia "radicale" tra le tante, scandendo gli slogan appropriati e partecipando ad un attivismo inconsapevole che salta e balla per  ogni causa e questione, ma che non attacca mai la società alla sua  radice. La teoria radicale è il tentativo di comprendere il complesso sistema di relazioni che forma la società, come essa riproduce sé stessa e l'individuo come parte di sé stessa, e come uno possa cominciare a minare il suo controllo e riprendersi la propria vita per poter diventare un individuo auto-creativo. Essa non si trova né nella torre d'avorio dell'accademia né in quella dell'ottuso (re)attivismo ideologico. E' piuttosto una parte integrante di un'insorgenza attiva contro la società.


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