Bookchin parte da una concezione ecologica più ampia, che riveste il sociale come il biologico: vede nella situazione del mondo oggi una crisi del rapporto uomo-natura di vasta portata, crisi dovuta soprattutto all'atteggiamento culturale che la nostra società ha rispetto alla natura che viene vista come puro oggetto, esteriorizzata, considerata un nemico da dominare e sfruttare. Questo atteggiamento non è altro che la trasposizione analogica del concetto di dominio dell'uomo sull'uomo che permea la nostra società. Quindi l'unica ecologia realmente possibile è quella che cambia radicalmente i rapporti sociali, che si pone da un punto di vista sociale in modo rivoluzionario poiché l'unica società ecologica è quella libertaria. La situazione odierna con i suoi disastri planetari (Bookchin ha citato solo alcuni casi particolarmente significativi: il disboscamento della foresta amazzonica e l'inquinamento oceanico che diminuiscono l'ossigeno; l'aumento dell'anidride carbonica, le migliaia di casi di abitazioni costruite su residui tossici che provocano malattie mortali e mutazioni genetiche) non può essere risolto solo dalla tecnologia, dalle macchine o da nuovi prodotti chimici; non si andrebbe certo alla radice del problema, anzi queste tecniche, senza dei principi libertari sono pericolose. Il problema non è creare satelliti artificiali per l'energia solare o nuovi strumenti sempre più complicati per risolvere i problemi dell'inquinamento, il punto è rivoltare la situazione, creare comunità a misura d'uomo dove tutti siano in grado di capire e quindi di decidere sui loro problemi, riprendersi in mano la vita, ricostruire uno spirito umano che non deleghi continuamente, ma partecipi attivamente. Oggi la nostra società sta riportando indietro l'evoluzione di milioni di anni, attraverso il cemento, i metalli. Coprendo il suolo e irradiandolo, stiamo creando un mondo sempre più inorganico; con un'agricoltura sempre più semplificata stiamo sostituendo ad habitat variati ecosistemi semplici, inadatti a forme di vita superiori: stiamo insomma creando un mondo per i microrganismi. Per Bookchin la soluzione non è tecnica, ma sociale: è solo attraverso cambiamenti molecolari della struttura sociale, con l'instaurarsi di una società diversa, che potremo operare un'inversione di tendenza. Questi sono i punti in cui Bookchin è più vicino a Kropotkin, sia per l'idea dell'industria decentralizzata, legata a comunità piccole in stretta relazione con la campagna, dove agricoltura e artigianato convivano, sia per l'idea di interazione tra lavoro manuale e intellettuale. In effetti gli esempi citati da Bookchin (orti sui terrazzi di alcuni ghetti, proposte di ristrutturazioni agricole) sono molto simili alle idee espresse da Kropotkin in Campi, fabbriche e officine. Inoltre Bookchin rivaluta, attraverso le ultime scoperte scientifiche, il mutuo appoggio di Kropotkin: l'importanza della simbiosi della natura oggi è considerata molto più valida rispetto alla lotta per la sopravvivenza cara alla scienza del XIX secolo. Per quanto riguarda il rapporto tra cultura e natura, Bookchin ritiene che l'uomo e la società fanno parte della natura. Noi siamo natura pensante, non possiamo estrarre l'umanità dalla natura: tra natura e cultura ci sarebbe un interscambio continuo che va scoperto, perché anche se il rapporto che l'uomo ha con l'ambiente è un rapporto culturale, questo rapporto poi produce un più alto grado di animalità. La difficoltà principale di questo dibattito è stabilire i significati dei due termini natura e cultura, ambedue così legati ai nostri schemi culturali. Per Bookchin la chiave di questo problema, come quello di una scienza diversa con nuovi fondamenti, sta proprio nell'approccio ecologico. È da qui che può nascere una nuova tecnologia. Se la tecnica è stata storicamente il dominio dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura, questo non vuol dire che non possa esistere una tecnologia profondamente diversa. Anche perché accanto alla tecnica dominante è sempre esistita una tecnica fatta di piccole macchine e di piccoli strumenti, una tecnica con ritmi biologici e immaginazione artistica: una tecnica libertaria che si è sempre contrapposta alla tecnica dominante. Per capire meglio questo concetto, bisogna precisare che la tecnologia è definita in questo contesto nel modo più ampio comprendendo, oltre alle macchine e al loro uso, l'energia e i suoi mezzi di sfruttamento, la comunicazione, le interazioni tra le persone, l'organizzazione del lavoro e il rapporto uomo-natura. L'ecologia deve recuperare le tecniche libertarie, riportarle nella società: una tecnologia che non deve più essere strumento di pochi eletti, quasi fosse un rito misterioso, ma capacità di tutti. A dimostrare che questa è la strada giusta c'è proprio la scoperta e la critica che la borghesia fa oggi alla sua tecnica, non più funzionale. Tentativo di recupero da parte del potere che tende alla semplificazione e alla centralizzazione. Ma giunto alla scala mondiale deve reintrodurre la varietà e la diversificazione se vuole sopravvivere. Uno dei compiti principali dell'ecologia è quindi di non farsi strumentalizzare; bisogna essere coscienti e vigili perché senza una coscienza libertaria l'ecologia decade a puro ambientalismo. La via ecologica è la via degli orti al posto delle monoculture, dell'agricoltura organica, ma è anche la lotta contro l'espropriazione e lo sfruttamento; la lotta per la varietà e diversità in tutti i campi, la lotta per un'educazione diversa, perché gente controllata e mistificata può solo creare omogeneità, può solo autodistruggersi; un problema quindi sociale ed etico
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