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giovedì 31 ottobre 2024

L’Anarchia nel XX secolo – Parte XL

1936 

Mentre le masse premono per la collettivizzazione, i capi dell'anarchia cominciano a vacillare, non credono più realizzabile il programma della vigilia. La spontaneità rivoluzionaria delle masse non trova sbocco organizzativo coerente. Durruti se ne rende conto. Gli dà fastidio il carattere burocratico del Comitato Centrale delle milizie. Capisce che li dentro la rivoluzione non si farà mai. Preferisce tornare a combattere. Forma la sua colonna, la colonna Durruti, e parte per il fronte d'Aragona, deciso a fermare l'offensiva fascista. "È il 24 luglio 1936. Una colonna di 3000 volontari, che man mano s'ingrossa. Sono nella maggioranza operai, armati solo di fucili. Emilienne insegue il marito su un camion. Durruti pensa soltanto al combattimento, è ossessionato dall'idea di liberare Saragozza, capitale dell'Aragona, caduta nelle mani dei fascisti. Un punto strategico, e una città carica di tradizioni libertarie. Per tenerla i franchisti impiegano i volontari più reazionari, i fanatici Réquetés di Navarra. Durruti vuole giungere in tempo per salvare la popolazione, ma la città è già un cimitero. Si accampa a venti chilometri, a Bujaraloz, sulla riva dell'Ebro. Avesse potuto occupare subito Saragozza, avrebbe raggiunto Bilbao sulla costa atlantica e la guerra sarebbe finita forse con la vittoria degli anarchici. Ma nessuno, da Madrid, lo aiuta. Come comandante Durruti si rivela cauto, attento ai consigli; non è un generale, ma un coraggioso combattente del popolo. Non è un sanguinario, non fa ammazzare alla cieca fascisti e preti. Cresciuto nella guerriglia urbana, deve adattarsi alle regole dell'organizzazione militare che controlla una vasta zona e ha di fronte a sé un fronte tenuto da militari di carriera. Durruti si batte contro l'improvvisazione e la demagogia, salva i parroci che la popolazione giudica innocenti, rimanda i volontari più esaltati:


e Qui non basta la forza fisica. Ci vuole un'organizzazione». 
La colonna Durruti è l'unica che avanza in direzione di Saragozza, ma ben presto resta isolata perché il governo non l'appoggia e non compie alcuna azione militare per alleggerire il sacrificio in vite umane, che è ingentissimo. Nel contempo si scatena sulla «colonna di ferro» di Durruti, leggendaria tra gli anarchici, tutto l'odio e la diffamazione dei fascisti e dei moderati. Più cauti, i comunisti esaltano la comune azione antifascista. Solo i sovietici si concedono qualche sfottitura: Durruti è dipinto nelle corrispondenze piene di menzogne del russo ll'ja Erenburg come un ingenuo a oltranza. Ma nell'autunno del 1936 la CNT conta nelle proprie file i tre quarti dei lavoratori catalani, è una forza che non si può ignorare. I capi della CNT  e della FAI sono operai onesti e preparati; la diffamazione nei loro confronti risulterebbe controproducente. Meglio cercare di legarli a un impegno puramente antifascista, meglio dire che Durruti vuole l'unità con i comunisti e i repubblicani. E quello che il Fronte popolare riesce a far credere. Intanto il nome della colonna Durruti è diventato comodo paravento per scaricare sugli anarchici la responsabilità di tutto quanto di spiacevole una guerra comporta. Violenze, requisizioni, prepotenze commesse da qualsiasi formazione antifranchista vengono addebitate alla colonna Durruti, che è invece l'unica il cui comandante abbia fatto drasticamente cessare ogni forma di abuso nei confronti della popolazione civile. Durruti tiene fino a venti comizi al giorno per spiegare alle milizie i motivi della lotta antifranchista  e galvanizzare gli animi. La colonna, attrezzata di sanità e cucine, dispone di una tipografia da campo portatile e un settimanale proprio, "Frente" e di una potente stazione radio che diffonde notizie e commenti ed è conosciuta in tutta Europa; da tutto il mondo giungono i volontari attratti dalla fama di questi anarchici; si arruola nella colonna  Durruti anche la scrittrice francese Simone Weil. Quando  i fascisti si avvicinano a Madrid, Durruti decide di accorrere in sua difesa. Se Madrid cade il prestigio dei franchisti sale alle stelle. Durruti si batte per scongiurare il pericolo. Ma sa benissimo che la vittoria sul fascismo non chiuderà   la partita; afferma: «Forse, un giorno, il nostro governo tornerà ad aver bisogno dei militari ribelli, per schiacciare il movimento operaio. Per la pace e la tranquillità dell'Unione Sovietica Stalin ha abbandonato i lavoratori tedeschi e cinesi alla barbarie fascista. A Hitler e Mussolini rompiamo più le scatole oggi noi, con la nostra rivoluzione, di tutta l'armata rossa. Mostriamo col nostro esempio alla classe operaia tedesca e italiana come ci si deve comportare col fascismo. Non mi aspetto nessun sostegno, da parte di nessun governo del mondo, per una rivoluzione del comunismo libertario». 



L'oppio – Jean Cocteau

Il polmone è una sacca di globuli. Ogni globulo si divide in alveoli, in diretta corrispondenza con i bronchi. Un globulo imita l’intero polmone di una rana. La superficie interna, liscia, è tappezzata da una rete di capillari sanguigni. Di modo che il polmone disteso, stirato, ricoprirebbe duecento metri quadrati. Avete letto bene.

Il fumo impregna dunque in un colpo solo centocinquanta metri quadrati di superficie polmonare.

La massa sanguigna polmonare, che ha uno spessore di soli sette millesimi di millimetro, rappresenta un litro di sangue.

Data la velocità della circolazione polmonare si può immaginare la massa di sangue che attraversa l’apparato respiratorio.

Da qui gli effetti istantanei dell’oppio sul fumatore.

Il fumatore sale lentamente come una mongolfiera, lentamente si rigira e lentamente ricade su una morta luna che con la sua debole attrazione gli impedisce di ripartire.

Che si alzi, che parli, che si muova, che sia socievole, che in apparenza viva, gesti, andatura, pelle, sguardi, parola, tutto rifletterà una vita sottomessa e leggi diverse per pallore e peso.

Il viaggio inverso avrà luogo a suo rischio e pericolo. Il fumatore paga in anticipo il riscatto. L’oppio lo lascerà si andare, ma il ritorno è senza incanto.

Una volta tornato sul suo pianeta, ne conserva la nostalgia.


La nostra vita è unica

La nostra vita è unica, singolare, irripetibile. Essa può diventare l'unica e sola opera d'arte che valga davvero la pena di realizzare. Dobbiamo imparare a stimarla come cosa rara. Dobbiamo imparare ad assegnare, ad ogni suo momento, il valore che merita. Non possiamo svenderla ad un padrone, buttarla via nella noia della sopravvivenza, mortificarla con il lavoro forzato e con la vuotezza in cui cercano di imprigionarla. 

Sottrarre la nostra vita al dominio ed allo sfruttamento, al lavoro forzato ed al bisogno, alla mercificazione ed alla sopravvivenza significa non solo combattere contro questa forma della realtà, ma anche mettere in atto una realtà altra, mettere in atto forme e modi di vita differenti. Significa immaginare una vita degna di essere vissuta e praticare questa immaginazione trasformando, subito, la forma, i modi, i tempi della nostra esistenza.


giovedì 24 ottobre 2024

L’Anarchia nel XX secolo – Parte XXXIX

1936 

Garcia Oliver, Francisco Ascaso, Antonio Ortiz e foyer guidano le operarazioni contro i militari filo-franchisti ritiratisi al Paralelo; bersagliato da cannonieri improvvisati, l'orgoglioso Goded deve arrendersi. I fascisti resistono soltanto in plaza de Cataluna, al palazzo dei telefoni. Li snida Durruti, che entra per primo nell'atrio della Telefonica; l'edificio viene rastrellato piano per piano. Il 20 luglio Durruti attacca la fortezza delle Atarazanas. E ferito alla testa e al petto, di striscio, da una fucilata. Viene portato dietro una barricata e medicato. Francisco Ascaso, fiancheggiato dai fratelli Domingo e Joaquin, si batte anche per lui. Vuol eliminare un nido di mitragliatrici che da una finestra del baluardo franchista delle Atarazanas fanno strage di anarchici. Francisco è convinto di poter centrare con un colpo di pistola il franchista appostato. Si lancia, cade in ginocchio, mira e spara. Ma mentre sta per rialzarsi una palla lo  colpisce alla fronte. Altri anarchici fanno tacere la mitraglia nemica. Ricardo Sana e Antonio Ortiz recuperano la salma di Francisco Ascaso. La sua morte segna anche la fine del vecchio gruppo, i cui membri saranno divisi dalle vicende della guerra civile. Bambini, donne, operai d'ogni età hanno partecipato, a Barcellona come a Madrid, agli scontri al fianco degli anarchici. Terminati i combattimenti, il 20 luglio, Durruti si reca al palazzo vescovile e salva la vita al vescovo di Barcellona che la folla voleva linciare; i tesori del palazzo li consegna interamente alla Generalidad. Cosi Durruti paga il suo debito con l'arcivescovo, che aveva sottoscritto una domanda di grazia per lui e Pérez Farvas, condannati a morte dopo la fallita rivolta di Saragozza (ottobre 1934). Da Barcellona sono sparite le divise, nessuno osa più parlare con arroganza ai sottoposti; anche i borghesi indossano per mimetizzarsi la tuta blu dell'operaio. Durruti ha gli occhi pieni di lacrime: la gioia della vittoria si vela del dolore per la morte di Ascaso, il compagno di tante battaglie, la lucida mente di tante imprese temerarie. Ma c'è ancora da fare. La folla incendia le chiese; Durruti riesce a salvare la cattedrale.

Null'altro viene distrutto, salvo la sede della compagnia marittima italiana Cosulich, dove s'erano asserragliati tiratori scelti italiani: gli operai l'hanno assalita e data alle fiamme. Si  scatena l'odio a lungo represso della gente per i preti e la ricca borghesia catalana. Molti sacerdoti sono uccisi, e cosi proprietari, capireparto e direttori noti per il loro atteggiamento anti-operaio. Gli stranieri sono risparmiati, ma la stampa europea si scatena contro gli anarchici e i militanti del POUM, definiti «gangster». Il presidente della Generalidad, Companys, che è stato in galera con Durruti, è ora rappresentante della borghesia, e cerca di intervenire, ma le truppe e i poliziotti passano alla FAI. Nella mattinata del 20 anche a Madrid la congiura fascista è stata spezzata. In tutta la Catalogna il potere è nelle mani della CNT-FAI. Si esercita però, di fatto, il doppio potere, perché gli anarco-sindacalisti non distruggono l'apparato statale della Generalidad. Ciò impedisce uno sviluppo effettivo della rivoluzione libertaria. Ma è soprattutto la congiura stalino-socialdemocratica che provoca la tragedia della Catalogna. Di fronte alla rivoluzione, il partito comunista e quello socialdemocratico si fondono e danno vita al PSUC (Partito socialista unitario di Catalogna); rafforzano il sindacato socialista, l'UGT, che usano come rivale della CNT, ricostituiscono l'esercito regolare, isolano e diffamano anarchici e trotzkisti, rimettono in piedi l'economia privata. Durruti esige via libera alla rivoluzione proletaria, e  Companys non osa contrastarlo, ma prende tempo e si accorda segretamente con le sinistre moderate. Tratta col comitato regionale della CNT: Durruti, Garcia Oliver, Joaquin Ascaso, Ricardo  Sanz, Aurelio FernAndez, Gregorio Jover, Antonio Ortiz e Valencia». Riconosce loro il merito di avere sconfitto i fascisti, li lusinga, li induce a collaborare con gli altri partiti, fonda con essi il Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste. I franchisti resistono a Saragozza: bisogna intervenire. Cosi, per inesperienza di politica dei comitati, gli anarchici lasciano ad altri il potere governativo. Durruti, ancora lacero per la battaglia, si trova a trattare con borghesi in giacca e cravatta, abili comunisti, melliflui liberali, demagoghi socialdemocratici. Il problema del «comunismo libertario» viene rimandato a dopo la vittoria sui fascisti. Durruti è d'accordo con Garcia Oliver: una dittatura anarchica scatenerebbe contro Barcellona il governo di Madrid e le potenze straniere. Federica Montseny, Diego Abad de Santillan e altri sono contrari alla collaborazione col governo. Escorza propone la collettivizzazione della terra e la consegna delle fabbriche ai sindacati. Due mesi passano in discussioni, mentre il potere si rafforza in istituzioni statali in cui gli anarchici vengono a trovarsi in minoranza. Essi si rinchiudono nei sindacati, come se l'epoca consentisse una prassi normale. Non promuovono la costituzione dei Soviet, di consigli in cui sarebbero entrati tutti i lavoratori delle città e delle campagne, anche i più poveri che non avevano mai fatto parte di alcun sindacato, e che nei Soviet si sarebbero trovati sotto la guida dei lavoratori rivoluzionari più evoluti. In tal modo l'apparato statale si sarebbe rivelato inefficiente, e sarebbe scomparso. Invece prevale l'esigenza moralistica di non sporcarsi le mani con la politica, di rifugiarsi nei sindacati; si lasciano rimorchiare dai più esperti politicanti di professione, e finiscono per diventare un inutile alleato. Contrari a ogni dittatura, lasciano che il potere torni nelle mani dello Stato.   



 

I pericoli dello sviluppo tecnologico

La fiducia nella crescita economica illimitata come soluzione ai mali della società è insita nel sistema capitalista, ma è solo dopo gli anni ’50 del secolo scorso che è diventata, con il nome di sviluppo, una politica di Stato. Da allora la Ragione di Stato è diventata principalmente Ragione di Mercato. Per la prima volta la sopravvivenza delle strutture del potere statale non dipendeva più dalle guerre, fossero anche fredde, ma dalle economie, preferibilmente calde. La libertà, da sempre associata ai diritti civili, veniva espressa sempre più come diritto commerciale. Da quel momento essere liberi significava esclusivamente poter lavorare, comprare e vendere in tutta libertà, senza regole né ostacoli. Di conseguenza il grado di libertà delle società capitaliste tendeva a essere determinato dalla percentuale dei disoccupati e dai livelli di consumo, ovvero dal livello di integrazione dei lavoratori nell’economia. E, come corollario, la contestazione sociale più autentica si è venuta definendo come rifiuto del lavoro e del consumismo, ovvero come negazione dell’economia resasi indipendente dalla collettività, come critica anti-industriale. Lo sviluppo si è trasformato rapidamente in una minaccia, non solo per l’ambiente e il territorio, ma anche per la vita delle persone ormai ridotta agli imperativi del lavoro e del consumo. L’alterazione dei cicli geochimici, l’avvelenamento dell’ambiente, la disgregazione degli ecosistemi e l’esaurimento delle risorse mettono letteralmente in pericolo la sopravvivenza della specie umana. Il rapporto tra la società urbana e l’ambiente circostante suburbanizzato è diventato sempre più critico, poiché l’urbanizzazione generalizzata del mondo lo porta a una banalizzazione distruttrice non meno generalizzata: l’uniformizzazione del territorio attraverso l’accesso facilitato; la distruzione della terra con l’inquinamento e il cemento; la rovina dei suoi abitanti immersi in un nuovo ambiente reso artificiale, sporco e ostile. Lo sviluppo, valorizzando economicamente il territorio e la vita, non poteva che provocare il degrado dell’ambiente naturale e la decomposizione sociale, ma dal momento che ogni forma di crescita è diventata una forma di distruzione, la distruzione è diventata essa stessa un nuovo fattore economico, condizione sine qua non della crescita.


L'anarcosindacalismo

Alcuni compagni hanno scritto che l'emancipazione è impossibile lottando a livello sindacale, cioè nell'ambito delle strutture produttive fondate sulla divisione del lavoro. L'affermazione era convalidata da questa tesi principale: non sapendo gli sfruttati svolgere lavoro direttivo, la lotta per l'apprendimento della produzione è pressoché impossibile; infatti mentre gli sfruttati lottano per imparare una certa funzione, essa perde di importanza e ne sorge una nuova, per cui una lotta di questo tipo, sindacale, è persa in partenza. Logica conseguenza, l'emancipazione si attua fuori del luogo di sfruttamento, quindi si teorizza la comune, come modo di produzione basato sulla rotazione degli incarichi e sull'integrazione del lavoro intellettuale e manuale.Sul fatto che bisogna arrivare alla comune, ovviamente ci troviamo d'accordo, il problema è mostrare le linee generali del processo storico che porta a tale conclusione; se non lo risolviamo, la comune resta una aspirazione e si rischia di fermarsi a dire che "avremo la comune quando la faremo". In realtà si tratta di individuare tale processo storico e partire giustamente dal comportamento degli sfruttati e dalla loro struttura di classe. Ed è vero che la tendenza generale dei lavoratori manuali è uscire di classe, negarsi come merce nel mercato capitalistico e come schiavi nello stato pianificato, ma trattandosi di movimenti individuali e non organizzati, ecco che il problema diventa organizzativo. La questione dell'organizzazione sul terreno di classe è la questione appunto dell'anarco-sindacalismo, che affonda le sue radici, il suo motivo di esistere, nella stessa figura sociale del proletario, figura controversa ed ambigua, che lotta per difendere, migliorare ed eliminare la sua posizione sociale di sfruttato. Le vicissitudini dell'anarcosindacalismo sono strettamente connesse alle contraddizioni internamente vissute dallo sfruttato che si dibatte tra queste opposte soluzioni che gli si presentano; ma è su queste contraddizioni che noi possiamo produrre l'organizzazione di massa, è a partire da queste elementari aspirazioni popolari che noi possiamo innestare un processo storico in cui il proletariato sia artefice della sua liberazione e soggetto della storia: tutto questo è quel che si dice anarcosindacalismo. E quando questo processo sarà giunto al culmine, allora la comune si presenterà come possibilità storica reale e il sindacalismo non ha più ragion d'essere, avendo eseguito il suo compito, quello di sviluppare e organizzare il movimento di classe verso l'emancipazione. Sono cose vecchie tradotte nel linguaggio attuale; infatti citando Nettlau: "risulta che né Bakunin, né Kropotkin e neppure lo stesso Guillaume (il quale se ne persuase solo successivamente) hanno creduto che le sezioni o sindacati fossero degli agglomerati dai quali sarebbe automaticamente scaturita la soluzione pratica dei problemi del momento e che perciò stesso esse avrebbero costituito la base legittima della libertà sociale dell'avvenire". Evidentemente si distingueva fra sindacalismo e comunismo anarchico, ma comunque si riconosceva il valore del sindacalismo. Kropotkin scrisse nel 1914: "il sindacato è assolutamente necessario. È l'unica forma di associazione operaia che permetta di mantenere la lotta diretta contro il capitale, senza cadere nel parlamentarismo...".

Certo il sindacato, da strumento degli sfruttati può diventare strumento per ingabbiare le loro lotte: ma Errico Malatesta scriveva in Volontà del 7 febbraio 1914: "... Bakunin sperava molto nell'Internazionale ma fondò tuttavia l'Alleanza... che fu la vera anima dell'Internazionale". Anarcosindacalismo, appunto.


giovedì 17 ottobre 2024

L’Anarchia nel XX secolo – Parte XXXVIII

1936 

Nell'ottobre 1934 a Saragozza e nei villaggi del nord la CNT proclama il comunismo libertario. Dopo alcune settimane la rivolta è spenta e Durruti viene arrestato con altri e condannato a morte per alto tradimento. Nel '36 la maggioranza è alle sinistre, grazie alla parola d'ordine della CNT: ognuno voti, o non voti, secondo la sua volontà. Quasi nessuno boicotta le elezioni: anche Durruti (che nelle elezioni del  novembre '33 era come tutti gli anarchici decisamente astensionista) stavolta è d'accordo con la CNT. Nel  '33 aveva vinto Gil Robles, un reazionario poco meno che fascista; nel '36 la vittoria delle sinistre significa anche la liberazione di 30 000 detenuti politici, in maggioranza anarchici, che sarebbero stati massacrati in caso di vittoria della destra. Durruti vive la vittoria elettorale del fronte popolare nella prigione di Puerto de Santa Maria; amnistiato, denuncia alle masse che nuovi  padroni sono giunti al potere, le ibridi componenti del fronte popolare, mentre il fascismo si prepara all'insurrezione. Si batte quindi per la costituzione di gruppi armati da opporre alla cospirazione fascista e allo statalismo socialdemocratico-stalinista. Ancor prima di luglio comincia l'istruzione alle armi, prevedendo con esattezza l'insurrezione di Franco. Intanto ha subito un'operazione d'ernia, è convalescente. Nel 1931 ha avuto una figlia, Colette. Durruti non trova lavoro ed Emilienne si arrangia come donna delle pulizie, poi trova un posto come mascherina in un cinema. Quando la moglie va a lavorare, Durruti si mette un grembiule, lava i piatti e prepara la cena per Colette ed Emilienne. Ripulisce la casa, fa i letti, fa il bagno alla piccola e la veste. Rimbecca un compagno: «Se credi che un vero anarchico deve starsene all'osteria mentre sua moglie lavora, vuol dire che ancora non hai capito niente». Il 4 marzo 1936 Durruti aveva  detto in un comizio al teatro Grande di Barcellona: «Gli anarchici hanno fatto vincere le sinistre per impedire un colpo di stato di destra. Il popolo non ha votato per i politici, ma per liberare i prigionieri. Ora, sulla questione degli scioperi diciamo alle autorità di Madrid e di Barcellona: lasciateci stare: comporremo noi stessi i conflitti con le fabbriche tessili e con la società tranviaria. Il governo non se ne immischi! Anzi, di fronte alle serrate, alla fuga dei capitali all'estero, avvertiamo il governo di non ostacolarci nella lotta contro l'offensiva dei capitalisti. Alla borghesia

diciamo: chiudete pure tutte le fabbriche: le occuperemo, le conquisteremo, perché è a noi che le fabbriche appartengono». Nello stesso comizio Francisco Ascaso ribadisce il concetto che anche con la vittoria elettorale delle sinistre il potere è rimasto nelle mani della borghesia: se la si lascia fare, anche i partiti di sinistra  dovranno svolgere una politica di destra: «Cosa farà il governo? Cercherà di far pagare il conto ai lavoratori. Il capitale fugge all'estero, le fabbriche chiudono. Ma il governo non espropria gli industriali. Noi allora elegge-remo, con tutti coloro che lavorano nelle fabbriche, comitati di produzione, esproprieremo le fabbriche che gli industriali chiudono e le manderemo avanti». La vittoria politica i inganno e illusione, se non è seguita dalla vittoria economica, dalla vittoria nelle fabbriche. Come risposta all'insurrezione fascista, gli  anarchici, armi alla mano, realizzano questo programma. La CNT fa circondare le caserme passate a Franco e si accorda con l'aviazione rimasta fedele alla repubblica: al primo cenno d'insurrezione fascista gli aerei le bombarderanno; i comitati di difesa e di quartiere subito dopo occuperanno le caserme. Il 19 luglio, all'alba, scatta il piano della congiura franchista: le truppe occupano i punti strategici della città al comando del generale Goded. Scoppia anche lo sciopero generale proclamato a Madrid dalla CNT. Il capo della polizia minaccia di far sparare sui lavoratori, che si sono riversati in armi nelle strade spezzando il piano fascista. Interviene Durruti e i poliziotti fraternizzano con gli operai. Sulle barricate erette in pieno Paralelo, al centro come alla periferia, ci sono non soltanto anarchici, ma socialisti, comunisti del POUM e perfino del partito controllato da Magra catalanisti; assieme alle forze di pubblica sicurezza e ai militari rimasti fedeli alla repubblica ma che accettano ora la guida popolare, si sorvegliano le vie di comunicazione. Disoccupati, sottoproletari, manovali si uniscono agli operai più evoluti, ai metallurgici, ai portuali, ai ferrovieri. Invano i franchisti cercano di aprirsi la strada facendosi scudo di donne e bambini. Spaventati, anche i borghesi gridano al passaggio degli anarchici: “e Viva la CNT! Morte al fascismo! Abbasso la Chiesa!”   



THEN AND NOW (Allora e ora) - Oodgeroo Noonuccal

Nei miei sogni sento la mia tribù 

Ridere mentre caccia e nuota, 

Ma i sogni sono distrutti da auto in corsa, 

Tram sferraglianti e treni fischianti, 

E non vedo più la mia vecchia tribù 

Mentre cammino sola nel tumulto della città. 

Ho visto corroboree 

Dove quella fabbrica erutta fumo; 

Dove hanno eretto un parco alla memoria 

Un tempo lubra scavavano in cerca di igname; 

Un tempo i nostri bambini scuri giocavano 

Là dove ora ci sono i binari, 

E dove io ricordo il didgeridoo 

Chiamarci a danzare e giocare, 

Uffici ora, luci al neon ora, 

Ora banca e negozio e cartellone, 

Traffici e commerci della frenetica città. 

Non più woomera, non più boomerang, 

Non più celebrazioni, non più la vita di un tempo, 

Eravamo figli della natura allora, 

Niente sveglie per gente che corre al lavoro. 

Ora sono civilizzata e lavoro come i bianchi, 

Ora ho il vestito, ora ho le scarpe: 

“Com’è fortunata ad avere un buon posto!” 

Meglio quando avevo solo una dillybag. 

Meglio quando non avevo altro che la felicità 


Futuristi e anarchici

Può apparire fuori luogo l’accostamento fra futurismo e anarchismo, ma la scelta non è stata casuale e ciò perché i due movimenti condivisero alcuni fattori, come la lotta al “passatismo” (classico, clericale o borbonico), l’impeto eversore, l’amore per la violenza, il disgusto per il parlamentarismo, che indussero soprattutto i futuristi a cercare convergenze con l’anarchismo, di cui, però, dovettero ignorare o sottovalutare le insuperabili pregiudiziali antipatriottiche e antimilitariste. Il futurismo, dal canto suo, fu un movimento composto da diverse individualità aderenti a differenti posizioni politiche, anche se l’impronta del suo fondatore fu pregnante e, proprio per questo, fondamento di molti equivoci in chi, all’epoca, espose giudizi e critiche nei confronti di quel turbolento movimento artistico. L’errore risedette nell’interpretare il futurismo come un omogeneo blocco, senza operare una distinzione al suo interno delle diverse e importanti energie che lo composero. Un’odierna lettura della storiografia futurista dovrebbe invece condurre il lettore curioso a considerare tale movimento un insieme eterogeneo di idee, di personalità e di tendenze, impedendosi così di arrivare a un’affrettata sentenza sull’unilateralità politica del futurismo. Proprio per questo seguiamo l’esperienza futurista dei pittori Carrà e Boccioni, le cui opere hanno offerto un buon trait d’union fra futurismo e anarchismo. Scopriremo quindi un Carrà a contatto con i circoli anarchici londinesi e milanesi, un Carrà che presterà inoltre la propria opera artistica alla pubblicistica anarchica (ad esempio alla rivista parmense “La Barricata” redatta dall’anarco-futurista Renzo Provinciali). Scopriremo un Boccioni che tentò una sperimentazione socio-artistica veramente rivoluzionaria. L’artista, sul finire del 1910, propose all’animatrice delle attività della Casa del lavoro di Milano, Alessandrina Ravizza, l’organizzazione di un’Esposizione d’Arte libera a Milano. Quella richiesta si tramutò in realtà, nel maggio del 1911, nei padiglioni abbandonati dello stabilimento Ricordi, in viale Vittoria: un luogo di lavoro fu quindi riscattato e abilitato al contatto tra il popolo e la cultura, visto come occasione e possibilità di emancipazione sociale, di rottura con schemi classisti. Venne così aperto uno spazio culturale al di fuori dei circuiti istituzionali dell’arte ufficiale della borghesia e, all’interno di quello spazio, il ruolo innovativo dei futuristi avrebbe dovuto rappresentare la conseguenza più naturale, ponendosi, di fatto, come forza trainante e fermento rivoluzionario. Per Boccioni quel progetto non significò solo elargizione di cultura e d’arte al popolo, ma significò convocare il popolo stesso alla creazione artistica che, a ben vedere, rappresenta la strada più autentica per un’effettiva emancipazione umana e sociale o, almeno, la sola concepibile per un’avanguardia coerente con il dettame anarchico dei suoi ideali rivoluzionari.


giovedì 10 ottobre 2024

L’Anarchia nel XX secolo – Parte XXXVII

1936 

Il 2 luglio 1926 le autorità francesi annunciano di avere scoperto un complotto per assassinare il re di Spagna Alfonso XIII che il 14 luglio deve venire in Francia. Traditi da un compagno che doveva guidare il taxi nell'attentato progettato per vendicare il pedagogista libertario Francisco Ferrer, vengono arrestati Durruti, Ascaso e Jover. Condannati e richiesti da Spagna e Argentina, pende su di loro la minaccia dell'estradizione che il tribunale penale concede per l'Argentina. Non il garrote ma l'ergastolo nella Terra del Fuoco. Ma un'imponente mobilitazione popolare guidata da Louis Lecoin del comitato per la salvezza di Sacco e Vanzetti ottiene che i tre anarchici vengano accompagnati alla frontiera belga. Ma Belgio e Lussemburgo rifiutano di accoglierli. Anche l'URSS pone condizioni inaccettabili. I 3 anarchici tornano clandestinamente a Parigi.Nel 1927, appena uscito di prigione, Durruti  conosce a Parigi Emilienne Morin, una giovane anarchica che aveva seguito la campagna per la liberazione dei «tre moschettieri» (come la stampa chiamava Durruti, Ascaso e Jover). Emilienne e Buenaventura s'innamorano, e resteranno sempre assieme, senza sposarsi mai, come vuole la morale anarchica. Durruti trova lavoro a Lione, ma scoperto dalla polizia, è condannato a 6 mesi di carcere per avere contravvenuto all'ordine di espulsione. Avviato in Belgio, deve fuggire perché gli viene negato il permesso di soggiorno. Nel 1928 raggiunge con Ascaso, clandestinamente, Berlino. Qui conosce Rudolf Rocker, Fritz Kater e Erich Muhsam. Durruti insiste nella necessità della rivoluzione dal basso. È decisamente contrario al socialismo per decreto legge, e nel suo limitatissimo tedesco frammisto a parole spagnole e francesi cerca di spiegare gli errori compiuti dalla rivoluzione russa. Durruti è ormai un vero militante rivoluzionario, cosciente dei problemi sul piano generale, intellettuale, e pieno di energia fisica. E grande, forte come un atleta, con una testa bellissima. Ha una voce robusta, da tribuno, che sa anche argomentare con intelligenza e rigore e che conosce tane le sfumature della bontà e della tenerezza. Ha un solo vestito, rattoppato: dei milioni delle rapine alle banche non ha tenuto un soldo per sé. Nel 1930 può finalmente stabilirsi a Bruxelles con Ascaso ed Emilienne, avendo ricevuto il permesso di soggiorno. Di fronte alla forza di Durruti, alto e maschio, con folti capelli, Ascaso, stempiato e malinconico,

sembra ancora più piccolo e fragile. La sua dolcezza, la sua ironia, nascondono in realtà una grande energia. Lavora come meccanico in un'officina di pezzi di ricambio per automobili. E lui che progetta le azioni, calcolando ogni dettaglio, in modo che al coraggio e alla rapidità di Durruti vengano risparmiati, più possibile, rischi e incognite. Insieme, sono una coppia perfetta, invincibile, in cui la violenza è messa al servizio di un'idea libertaria, generosa, priva della minima traccia di egoismo. Qualche giorno dopo la proclamazione della repubblica, nell'aprile del 1931 Durruti piomba con Ascaso e Garcia Oliver a casa di una famosa anarchica spagnola, Federica Montseny (futuro ministro della repubblica durante la guerra antifranchista), in Barcellona. La Montseny, più cauta e possibilista, vuole lasciare alla neonata repubblica la possibilità di consolidarsi; i tre reduci dall'esilio affermano invece che se la repubblica borghese si consolida svaniranno le possibilità rivoluzionarie per i lavoratori. La Montseny riconoscerà in seguito, di fronte all'evoluzione degli eventi, che la posizione di Durruti era più giusta e lungimirante. La repubblica, infatti, legata a un timido riformismo, non riesce neppure a portare a termine la riforma agraria, problema fondamentale per la Spagna dell'epoca. Durruti è ora un uomo molto più tranquillo, gentile, dotato di una immensa energia ma consapevole dei grandi problemi che sovrastano il paese e in particolare il movimento operaio. Il 10 maggio il corteo degli anarchici raccoglie a Barcellona 100 000 persone; quello dei comunisti, che pure avevano inondato la città di manifesti, solo 6000. Davanti al palazzo della Generalidad il corteo anarchico è assalito dalla polizia. Gli operai rispondono al fuoco. Interviene l'esercito, ma Durruti convince i soldati a puntare le armi contro la polizia. Viene cosi evitato un massacro. Impegnati nella lotta contro l'apparato statale, gli anarchici tendono a sottovalutare il pericolo di un partito comunista controllato dagli stalinisti e fedele esecutore della politica estera di Mosca. Il quotidiano comunista “La Batalla” scrive in prima pagina: «FAI-ismo = fascismo»  e il dirigente socialdemocratico Fabra Rivas afferma: «Come mi piacerebbe fucilarli sul posto, Ascaso e Durruti!». Dopo un comizio a Gerona che entusiasma la folla per la forza e la semplicità dei sentimenti espressi, Durruti viene arrestato per «avere preparato a Parigi un attentato contro Alfonso XIII». La procura della repubblica finge d'ignorare che esiste un'amnistia generale e che la monarchia era stata rovesciata. La popolazione di Gerona insorge e assalta la prigione per liberare Durruti; sciopero generale, stato d'emergenza. Dopo 3 giorni di sciopero  Durruti viene rilasciato, ma con Ascaso viene  deportato in Africa. Fugge e torna alla lotta in Spagna; la repressione sociale con veste repubblicana continua ad abbattersi sul movimento operaio.



LUCKY MAN – Emerson Lake & Palmer

Tu hai cavalli e donne a dozzine

Vestite di seta, vogliono starti vicine


Oh ma che Lucky Man che sei

Oh ma che Lucky Man che sei


Piume d'oca e merletto e velluto dorato

Vestono il letto su cui sei adagiato


Oh ma che Lucky Man che sei

Oh ma che Lucky Man che sei


Vestito di gloria ti ha chiamato la guerra

Per il Re. Il Suo Onore, la Patria e la Terra


Oh ma che Lucky Man che sei

Oh ma che Lucky Man che sei


Ma tutti i tuoi soldi, le donne e l'onore

non han fermato la palla che ti ha spaccato il cuore


Oh ma che Lucky Man che sei

Oh ma che Lucky Man che sei


Anarchia e potere tra utopia e realtà

La storia da sempre si identifica col potere. L’anarchismo che propone la negazione di qualsiasi autoritarismo attraverso un rifiuto profondo della forza sia a livello sincronico che diacronico, presuppone la libertà come valore, come disposizione mentale, prima ancora che come  possibilità comportamentale; in tal senso esso si colloca automaticamente fuori dalla storia per sfumare spesso nella dimensione utopica. Nonostante ciò una simile dinamica non relega il pensiero anarchico nella sfera dell’impossibile, in un altrove sociale che sfugga il tempo e lo spazio reali (come invece accade nei racconti fantastici dei viaggi immaginari tipici del diciottesimo secolo e caratterizzati per questo motivo da una narrazione-finzione), ma anzi lo rende desiderabile a tutti coloro che vorrebbero sperimentare una storia alternativa credendo intensamente alla possibilità concreta della trasposizione del sogno della Libertà nella pratica della Libertà. 

L’Uomo crea la Storia a sua misura ed elabora lentamente e a fatica la sua stessa felicità, il suo adattamento ad una dimensione sociale più vivibile che esula dall’attuale eccessivo ricorso alla simbologia. Quest’ultima, unita al superamento o meglio al cambiamento di prospettiva relativo alle contraddizioni che il progresso tecnologico ha prodotto, segna secondo Crespi la crisi definitiva dell’utopia. A queste tematiche unirei anche una modificata concezione del potere stesso. Con ciò non intendo dire che l’essenza del potere sia cambiata; sono cambiate le relazioni, i rapporti autoritari molto meno diretti e più difficilmente individuabili, perché spesso invisibili. Oggi è più difficile colpire o contrastare o anche semplicemente criticare il potere perché esso sfugge al nostro controllo in quanto è divenuto funzione dell’ampiezza della zona d’incertezza che l’imprevedibilità del comportamento permette di regolare di fronte agli altri partner della relazione di forza. Non si tratta tuttavia di qualsiasi zona d’incertezza ma di quella pertinente rispetto al problema che si affronta e agli interessi in causa. Il potere oggi dipende essenzialmente dal gioco strategico degli attori, dalla loro capacità di manipolazione della prevedibilità del proprio e dell’altrui comportamento. Potere significa conoscenza anticipata delle azioni dell’avversario e mantenimento di un’ampia zona d’indecifrabilità relativa alla propria condotta. Viene a mancare l’identificazione immediata del centro di potere e dunque il processo di critica dello stesso diviene più lungo, difficile e dispendioso. 



e.


giovedì 3 ottobre 2024

L’Anarchia nel XX secolo – Parte XXXVI

1936 

In Barcellona in modo particolare la polizia agisce con metodi provocatori: si calcola ch e delle duemila bombe esplose nel 1908-9 davanti alle fabbriche e alle case dei padroni della città, la maggior parte sia d'origine poliziesca: le direttive del governo centrale di Madrid sono di screditare il movimento dell'autonomia catalana. Nel 1923 il gruppo Los Solidarios è composto a Barcellona da Durruti, Juan Garcia Oliver, Francisco Ascaso, Gregorio Jover, Miguel Garcia Vivancos, Antonio Ortiz, Ramona Berni, Eusebio Brau, Manuel Campos, Aurelio Fernandez, Julia Lopez Mainar, Alfonso Miguel, Pepita Not, Gregorio Suberviela, Maria Luisa Tejedor, Manuel Torres Escartin, Antonio "El Toto", Ricardo Sanz. Il padronato organizza gruppi di pistoleros e di picchiatori, che assassinano più di 300 sindacalisti anarchici. I Solidarios provvedono come possono all'autodifesa. Gruppi armati si vanno costituendo ovunque. Cade crivellato di colpi l'imprenditore Graupera, il ricchissimo presidente dell'Unione industriali; poliziotti che avevano massacrato lavoratori in sciopero, torturatori con la divisa della Guardia civil, ingegneri, direttori di ferrovie, capireparto noti come spie vengono abbattuti a revolverate. Cade anche l'ex governatore di Barcellona, Maestre Laborde; e cosi pure il presidente del consiglio dei ministri, Eduardo Dato, il responsabile della repressione a Barcellona; e infine Ascaso e altri - mentre Durruti è agli arresti perché sospettato di «intenzione di rapinare una banca» (estate 1923) - fanno fuori a colpi di pistola il cardinale Soldevila, residente a Saragozza; proprietario di diversi alberghi e case da gioco, l'alto prelato finanziava i Sindicatos Libres che a Barcellona costituivano la milizia privata dei padroni più retrivi. Durruti viene rilasciato l'indomani. L'offensiva poliziesca continua. Nessuno può girare disarmato; accanto alla lima, sul banco di lavoro, c'è sempre la pistola, per difendersi in caso di assalto dei pistoleros o della polizia. Ma l'eliminazione di Dato impressiona il governo. A Barcellona c'è praticamente un clima di guerra civile: a ogni prepotenza dei datori di lavoro i Solidarios replicano con la violenza; il circolo della caccia, ove si riuniscono i magnati di Barcellona, viene attaccato a colpi di bombe a mano. Per ogni operaio ucciso viene abbattuto un poliziotto o un borghese, finché il governo cede e la smette con la maniera  forte. Decide di usare metodi più moderni basati sulla cattura del consenso, e riconosce diritti d'esistenza legale ai sindacati. La prima manifestazione pubblica a Barcellona dopo tre anni di feroce repressione è un trionfo per gli anarco-sindacalisti. La manifestazione, che si

svolge all'immenso Teatro Victoria pieno in ogni settore, si apre con la lettura dei nomi dei militanti caduti, esattamente 107. Gli anarchici fondano quindi centri culturali e scuole operaie, mentre il loro quotidiano, "Solidaridad Obrera", supera con le sue 50 000 copie di tiratura, tutti gli altri fogli più ricchi e potenti. Con la dittatura di Primo De Rivera i Solidarios sono costretti all'espatrio. Il gruppo si ricostituisce a Parigi, ove per prima  cosa fonda le Edizioni Anarchiche Internazionali e apre la Librairie Internationale, al numero 14 di rue Petit. Durruti, i due fratelli Ascaso, Garcia Oliver e Jover hanno ricevuto in consegna tutti i soldi del gruppo, ed essi ne versano una parte (300 000 pesetas) per la libreria; comincia subito dopo la pubblicazione dell'Enciclopedia Anarchica e di libri, opuscoli e riviste in varie lingue. Durruti trova lavoro come meccanico alla Renault. Jover potrebbe diventare capo operaio ma si rifiuta di sorvegliare gli altri lavoratori, e viene licenziato. Anche la polizia ostacola l'attività della libreria. Durruti conosce l'anarchico russo Nestor Makhno, che lavora in una piccola falegnameria parigina. Rientra clandestinamente a Bilbao per discutere con Largo Caballero (dirigente del partito socialista e futuro presidente del consiglio dei ministri della Repubblica) ed esponenti di altre organizzazioni le forme di lotta contro la dittatura. Dopo la rovina della casa editrice perseguitata dalle autorità e un fallito tentativo insurrezionale collegato con un'azione alla frontiera franco-spagnola, verso la fine del 1924 Durruti, Francisco Ascaso e Jover s'imbarcano per Cuba. Durruti esordisce come tribuno popolare spiegando le ragioni della lotta del movimento rivoluzionario spagnolo. Braccati ben presto dalla polizia devono spostarsi in Messico, Perù, Cile e successivamente raggiungono Buenos Aires, dove tra il 1925 e il 1926 rapinano banche per finanziare il movimento ed entrano in contatto con gli «anarchici espropriatori» Gino Gatti, Emilio Uriondo, Antonio e Vicente Moretti, lo spagnolo Andrés Vàzquez Parédes e Miguel Arcàngel Roscigna. Poi da Montevideo tornano in Europa. 


GOCCE D’ACQUA SU PIETRE ROVENTI - François Ozon

Come ha detto spesso Fassbinder: “non esiste l'amore, ma solo la possibilità di un amore”.

Tratto da una pièce teatrale di Rainer Werner Fassbinder, Gocce d'acqua su pietre roventi, diretto da François Ozon, è ambientato nella triste Germania degli anni Settanta. L'affascinante cinquantenne Leopold, rappresentante di commercio, una sera abborda per strada Franz, un ragazzo di diciannove anni (ossia proprio l'età che aveva Fassbinder quando scrisse il testo). In breve, Leopold riesce a portarselo a letto e a convincerlo a trasferirsi a casa sua. Se il sesso funziona perfettamente fra i due, la convivenza si rivela invece presto penosa, soprattutto per colpa di Leopold, il quale - lontano per lavoro durante la settimana – tratta malissimo il ragazzo, da parte sua disponibile e, soprattutto, innamorato cotto. Tra litigi e riappacificazioni, la relazione continua, dominata dalla figura di Leopold, padrone assoluto della situazione. Un giorno bussa però alla porta Anna, l'ex fidanzata di Franz, la quale, nonostante l'amore di questi per l'altro, lo convince a andare via, strappandogli la promessa di sposarla. Il ritorno improvviso di Leopold rompe però la fuga. L'uomo induce Anna a andare a letto con lui: ai due si aggiunge poi la transessuale Vera, vecchia fiamma di Leopold, operatasi proprio nella vana speranza di piacergli di nuovo. Nel frattempo, nella stanza a fianco si consuma la tragedia di Franz. La storia - il cui bel titolo rimanda all'acqua che evapora velocemente, proprio come le passioni umane - rientra pienamente nella visione cupa e senza speranza del regista tedesco, in particolare sull'impossibilità d'amare. Qui, però, più che le dinamiche dell'eros vengono  studiate quelle del dominio, che si esprime in una sorta di balletto sadico, condotto da Leopold, in ragione del «diritto del più forte»; questi, cinico e sprezzante, accalappia con la sua preponderante personalità le prede, per poi buttarle via senza pietà. Il testo appare un po' datato, soprattutto nell'attribuire le colpe specificatamente alla cultura borghese. Ozon è stato

però bravo: non negando l'origine teatrale, che anzi ricrea l'atmosfera della grigia Germania fassibinderiana, ha puntato sull'esasperazione claustrofobica dell'appartamento, la prigione dove  si muovono in una sorta di vuoto pneumatico, come belve in gabbia, i quattro personaggi. Con raffinatezza e nitore geometrico - che a volte debordano però in pose estetizzanti quanto improbabili - mostra perfettamente come la forza del sesso, che soggioga soprattutto i più deboli, sia quotidianamente e irreversibilmente corrosa dalla routine. Gocce d'acqua su pietre roventi inizia con levità, cresce impercettibilmente e irrefrenabilmente a ogni inquadratura, affila il rasoio di una crudeltà esacerbata e struggente su corpi e pensieri stritolati da incubi rivelatori e occulta (ir)realtà, tronca (con bruciante, segreta, etimologica compassione) l'illusione costituita dal fantasma di una libertà in grado di condurre fuori dello schermo, oltre la nitida, stritolante griglia del testo filmico.



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Un anarchico in prigione - Aleksandr Berkman

Le sue memorie, Un anarchico in prigione {1912), sono un classico minore della letteratura detentiva e costituiscono una testimonianza eloquente e dolorosa del suo idealismo giovanile, dei lunghi insopportabili periodi di isolamento, delle proteste contro le condizioni inumane del carcere, della sua disperazione e solitudine e degli inutili piani di evasione. Rilasciato nel 1906 e riunitosi alla Goldman, Berkman tornava all’agitazione anarchica fino al 1936, anno in cui sceglieva di suicidarsi piuttosto che continuare a soffrire per le proprie condizioni di salute e di dipendenza dal supporto finanziario degli amici. Fosse vissuto appena un po’ di più, avrebbe avuto almeno il sollievo di ascoltare le notizie dei tumultuosi avvenimenti che stavano incendiando la Spagna. Nei suoi quattordici anni di prigionia, Berkman approfondiva la propria comprensione del mondo: «La maturità mi ha chiarito la via», confidava in una lettera alla Goldman dopo dieci anni di cella, e l’esperienza fatta gli insegnava la necessità di una «visione pura di cuori che restano caldi». Una simile notazione può apparire aridamente intellettuale, ma le memorie di Berkman sono radicate nella privazione sensoriale provocata dalla detenzione, mentre la sua capacità di comprensione col passare degli anni è andata aumentando, cosicché l’uomo che cammina libero alla fine del libro abbraccia coraggiosamente, pur se con timore, la ritrovata libertà. Berkman e la Goldman saranno successivamente espulsi dagli Stati Uniti, a causa della loro attività pacifista durante la prima guerra mondiale, e si trasferiranno in Russia attratti dai fuochi rivoluzionari che bruciavano laggiù.