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giovedì 24 ottobre 2024

L'anarcosindacalismo

Alcuni compagni hanno scritto che l'emancipazione è impossibile lottando a livello sindacale, cioè nell'ambito delle strutture produttive fondate sulla divisione del lavoro. L'affermazione era convalidata da questa tesi principale: non sapendo gli sfruttati svolgere lavoro direttivo, la lotta per l'apprendimento della produzione è pressoché impossibile; infatti mentre gli sfruttati lottano per imparare una certa funzione, essa perde di importanza e ne sorge una nuova, per cui una lotta di questo tipo, sindacale, è persa in partenza. Logica conseguenza, l'emancipazione si attua fuori del luogo di sfruttamento, quindi si teorizza la comune, come modo di produzione basato sulla rotazione degli incarichi e sull'integrazione del lavoro intellettuale e manuale.Sul fatto che bisogna arrivare alla comune, ovviamente ci troviamo d'accordo, il problema è mostrare le linee generali del processo storico che porta a tale conclusione; se non lo risolviamo, la comune resta una aspirazione e si rischia di fermarsi a dire che "avremo la comune quando la faremo". In realtà si tratta di individuare tale processo storico e partire giustamente dal comportamento degli sfruttati e dalla loro struttura di classe. Ed è vero che la tendenza generale dei lavoratori manuali è uscire di classe, negarsi come merce nel mercato capitalistico e come schiavi nello stato pianificato, ma trattandosi di movimenti individuali e non organizzati, ecco che il problema diventa organizzativo. La questione dell'organizzazione sul terreno di classe è la questione appunto dell'anarco-sindacalismo, che affonda le sue radici, il suo motivo di esistere, nella stessa figura sociale del proletario, figura controversa ed ambigua, che lotta per difendere, migliorare ed eliminare la sua posizione sociale di sfruttato. Le vicissitudini dell'anarcosindacalismo sono strettamente connesse alle contraddizioni internamente vissute dallo sfruttato che si dibatte tra queste opposte soluzioni che gli si presentano; ma è su queste contraddizioni che noi possiamo produrre l'organizzazione di massa, è a partire da queste elementari aspirazioni popolari che noi possiamo innestare un processo storico in cui il proletariato sia artefice della sua liberazione e soggetto della storia: tutto questo è quel che si dice anarcosindacalismo. E quando questo processo sarà giunto al culmine, allora la comune si presenterà come possibilità storica reale e il sindacalismo non ha più ragion d'essere, avendo eseguito il suo compito, quello di sviluppare e organizzare il movimento di classe verso l'emancipazione. Sono cose vecchie tradotte nel linguaggio attuale; infatti citando Nettlau: "risulta che né Bakunin, né Kropotkin e neppure lo stesso Guillaume (il quale se ne persuase solo successivamente) hanno creduto che le sezioni o sindacati fossero degli agglomerati dai quali sarebbe automaticamente scaturita la soluzione pratica dei problemi del momento e che perciò stesso esse avrebbero costituito la base legittima della libertà sociale dell'avvenire". Evidentemente si distingueva fra sindacalismo e comunismo anarchico, ma comunque si riconosceva il valore del sindacalismo. Kropotkin scrisse nel 1914: "il sindacato è assolutamente necessario. È l'unica forma di associazione operaia che permetta di mantenere la lotta diretta contro il capitale, senza cadere nel parlamentarismo...".

Certo il sindacato, da strumento degli sfruttati può diventare strumento per ingabbiare le loro lotte: ma Errico Malatesta scriveva in Volontà del 7 febbraio 1914: "... Bakunin sperava molto nell'Internazionale ma fondò tuttavia l'Alleanza... che fu la vera anima dell'Internazionale". Anarcosindacalismo, appunto.


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