Come ha detto spesso Fassbinder: “non esiste l'amore, ma solo la possibilità di un amore”.
Tratto da una pièce teatrale di Rainer Werner Fassbinder, Gocce d'acqua su pietre roventi, diretto da François Ozon, è ambientato nella triste Germania degli anni Settanta. L'affascinante cinquantenne Leopold, rappresentante di commercio, una sera abborda per strada Franz, un ragazzo di diciannove anni (ossia proprio l'età che aveva Fassbinder quando scrisse il testo). In breve, Leopold riesce a portarselo a letto e a convincerlo a trasferirsi a casa sua. Se il sesso funziona perfettamente fra i due, la convivenza si rivela invece presto penosa, soprattutto per colpa di Leopold, il quale - lontano per lavoro durante la settimana – tratta malissimo il ragazzo, da parte sua disponibile e, soprattutto, innamorato cotto. Tra litigi e riappacificazioni, la relazione continua, dominata dalla figura di Leopold, padrone assoluto della situazione. Un giorno bussa però alla porta Anna, l'ex fidanzata di Franz, la quale, nonostante l'amore di questi per l'altro, lo convince a andare via, strappandogli la promessa di sposarla. Il ritorno improvviso di Leopold rompe però la fuga. L'uomo induce Anna a andare a letto con lui: ai due si aggiunge poi la transessuale Vera, vecchia fiamma di Leopold, operatasi proprio nella vana speranza di piacergli di nuovo. Nel frattempo, nella stanza a fianco si consuma la tragedia di Franz. La storia - il cui bel titolo rimanda all'acqua che evapora velocemente, proprio come le passioni umane - rientra pienamente nella visione cupa e senza speranza del regista tedesco, in particolare sull'impossibilità d'amare. Qui, però, più che le dinamiche dell'eros vengono studiate quelle del dominio, che si esprime in una sorta di balletto sadico, condotto da Leopold, in ragione del «diritto del più forte»; questi, cinico e sprezzante, accalappia con la sua preponderante personalità le prede, per poi buttarle via senza pietà. Il testo appare un po' datato, soprattutto nell'attribuire le colpe specificatamente alla cultura borghese. Ozon è stato
però bravo: non negando l'origine teatrale, che anzi ricrea l'atmosfera della grigia Germania fassibinderiana, ha puntato sull'esasperazione claustrofobica dell'appartamento, la prigione dove si muovono in una sorta di vuoto pneumatico, come belve in gabbia, i quattro personaggi. Con raffinatezza e nitore geometrico - che a volte debordano però in pose estetizzanti quanto improbabili - mostra perfettamente come la forza del sesso, che soggioga soprattutto i più deboli, sia quotidianamente e irreversibilmente corrosa dalla routine. Gocce d'acqua su pietre roventi inizia con levità, cresce impercettibilmente e irrefrenabilmente a ogni inquadratura, affila il rasoio di una crudeltà esacerbata e struggente su corpi e pensieri stritolati da incubi rivelatori e occulta (ir)realtà, tronca (con bruciante, segreta, etimologica compassione) l'illusione costituita dal fantasma di una libertà in grado di condurre fuori dello schermo, oltre la nitida, stritolante griglia del testo filmico..
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