1936
Garcia Oliver, Francisco Ascaso, Antonio Ortiz e foyer guidano le operarazioni contro i militari filo-franchisti ritiratisi al Paralelo; bersagliato da cannonieri improvvisati, l'orgoglioso Goded deve arrendersi. I fascisti resistono soltanto in plaza de Cataluna, al palazzo dei telefoni. Li snida Durruti, che entra per primo nell'atrio della Telefonica; l'edificio viene rastrellato piano per piano. Il 20 luglio Durruti attacca la fortezza delle Atarazanas. E ferito alla testa e al petto, di striscio, da una fucilata. Viene portato dietro una barricata e medicato. Francisco Ascaso, fiancheggiato dai fratelli Domingo e Joaquin, si batte anche per lui. Vuol eliminare un nido di mitragliatrici che da una finestra del baluardo franchista delle Atarazanas fanno strage di anarchici. Francisco è convinto di poter centrare con un colpo di pistola il franchista appostato. Si lancia, cade in ginocchio, mira e spara. Ma mentre sta per rialzarsi una palla lo colpisce alla fronte. Altri anarchici fanno tacere la mitraglia nemica. Ricardo Sana e Antonio Ortiz recuperano la salma di Francisco Ascaso. La sua morte segna anche la fine del vecchio gruppo, i cui membri saranno divisi dalle vicende della guerra civile. Bambini, donne, operai d'ogni età hanno partecipato, a Barcellona come a Madrid, agli scontri al fianco degli anarchici. Terminati i combattimenti, il 20 luglio, Durruti si reca al palazzo vescovile e salva la vita al vescovo di Barcellona che la folla voleva linciare; i tesori del palazzo li consegna interamente alla Generalidad. Cosi Durruti paga il suo debito con l'arcivescovo, che aveva sottoscritto una domanda di grazia per lui e Pérez Farvas, condannati a morte dopo la fallita rivolta di Saragozza (ottobre 1934). Da Barcellona sono sparite le divise, nessuno osa più parlare con arroganza ai sottoposti; anche i borghesi indossano per mimetizzarsi la tuta blu dell'operaio. Durruti ha gli occhi pieni di lacrime: la gioia della vittoria si vela del dolore per la morte di Ascaso, il compagno di tante battaglie, la lucida mente di tante imprese temerarie. Ma c'è ancora da fare. La folla incendia le chiese; Durruti riesce a salvare la cattedrale.
Null'altro viene distrutto, salvo la sede della compagnia marittima italiana Cosulich, dove s'erano asserragliati tiratori scelti italiani: gli operai l'hanno assalita e data alle fiamme. Si scatena l'odio a lungo represso della gente per i preti e la ricca borghesia catalana. Molti sacerdoti sono uccisi, e cosi proprietari, capireparto e direttori noti per il loro atteggiamento anti-operaio. Gli stranieri sono risparmiati, ma la stampa europea si scatena contro gli anarchici e i militanti del POUM, definiti «gangster». Il presidente della Generalidad, Companys, che è stato in galera con Durruti, è ora rappresentante della borghesia, e cerca di intervenire, ma le truppe e i poliziotti passano alla FAI. Nella mattinata del 20 anche a Madrid la congiura fascista è stata spezzata. In tutta la Catalogna il potere è nelle mani della CNT-FAI. Si esercita però, di fatto, il doppio potere, perché gli anarco-sindacalisti non distruggono l'apparato statale della Generalidad. Ciò impedisce uno sviluppo effettivo della rivoluzione libertaria. Ma è soprattutto la congiura stalino-socialdemocratica che provoca la tragedia della Catalogna. Di fronte alla rivoluzione, il partito comunista e quello socialdemocratico si fondono e danno vita al PSUC (Partito socialista unitario di Catalogna); rafforzano il sindacato socialista, l'UGT, che usano come rivale della CNT, ricostituiscono l'esercito regolare, isolano e diffamano anarchici e trotzkisti, rimettono in piedi l'economia privata. Durruti esige via libera alla rivoluzione proletaria, e Companys non osa contrastarlo, ma prende tempo e si accorda segretamente con le sinistre moderate. Tratta col comitato regionale della CNT: Durruti, Garcia Oliver, Joaquin Ascaso, Ricardo Sanz, Aurelio FernAndez, Gregorio Jover, Antonio Ortiz e Valencia». Riconosce loro il merito di avere sconfitto i fascisti, li lusinga, li induce a collaborare con gli altri partiti, fonda con essi il Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste. I franchisti resistono a Saragozza: bisogna intervenire. Cosi, per inesperienza di politica dei comitati, gli anarchici lasciano ad altri il potere governativo. Durruti, ancora lacero per la battaglia, si trova a trattare con borghesi in giacca e cravatta, abili comunisti, melliflui liberali, demagoghi socialdemocratici. Il problema del «comunismo libertario» viene rimandato a dopo la vittoria sui fascisti. Durruti è d'accordo con Garcia Oliver: una dittatura anarchica scatenerebbe contro Barcellona il governo di Madrid e le potenze straniere. Federica Montseny, Diego Abad de Santillan e altri sono contrari alla collaborazione col governo. Escorza propone la collettivizzazione della terra e la consegna delle fabbriche ai sindacati. Due mesi passano in discussioni, mentre il potere si rafforza in istituzioni statali in cui gli anarchici vengono a trovarsi in minoranza. Essi si rinchiudono nei sindacati, come se l'epoca consentisse una prassi normale. Non promuovono la costituzione dei Soviet, di consigli in cui sarebbero entrati tutti i lavoratori delle città e delle campagne, anche i più poveri che non avevano mai fatto parte di alcun sindacato, e che nei Soviet si sarebbero trovati sotto la guida dei lavoratori rivoluzionari più evoluti. In tal modo l'apparato statale si sarebbe rivelato inefficiente, e sarebbe scomparso. Invece prevale l'esigenza moralistica di non sporcarsi le mani con la politica, di rifugiarsi nei sindacati; si lasciano rimorchiare dai più esperti politicanti di professione, e finiscono per diventare un inutile alleato. Contrari a ogni dittatura, lasciano che il potere torni nelle mani dello Stato.
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