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giovedì 17 ottobre 2024

Futuristi e anarchici

Può apparire fuori luogo l’accostamento fra futurismo e anarchismo, ma la scelta non è stata casuale e ciò perché i due movimenti condivisero alcuni fattori, come la lotta al “passatismo” (classico, clericale o borbonico), l’impeto eversore, l’amore per la violenza, il disgusto per il parlamentarismo, che indussero soprattutto i futuristi a cercare convergenze con l’anarchismo, di cui, però, dovettero ignorare o sottovalutare le insuperabili pregiudiziali antipatriottiche e antimilitariste. Il futurismo, dal canto suo, fu un movimento composto da diverse individualità aderenti a differenti posizioni politiche, anche se l’impronta del suo fondatore fu pregnante e, proprio per questo, fondamento di molti equivoci in chi, all’epoca, espose giudizi e critiche nei confronti di quel turbolento movimento artistico. L’errore risedette nell’interpretare il futurismo come un omogeneo blocco, senza operare una distinzione al suo interno delle diverse e importanti energie che lo composero. Un’odierna lettura della storiografia futurista dovrebbe invece condurre il lettore curioso a considerare tale movimento un insieme eterogeneo di idee, di personalità e di tendenze, impedendosi così di arrivare a un’affrettata sentenza sull’unilateralità politica del futurismo. Proprio per questo seguiamo l’esperienza futurista dei pittori Carrà e Boccioni, le cui opere hanno offerto un buon trait d’union fra futurismo e anarchismo. Scopriremo quindi un Carrà a contatto con i circoli anarchici londinesi e milanesi, un Carrà che presterà inoltre la propria opera artistica alla pubblicistica anarchica (ad esempio alla rivista parmense “La Barricata” redatta dall’anarco-futurista Renzo Provinciali). Scopriremo un Boccioni che tentò una sperimentazione socio-artistica veramente rivoluzionaria. L’artista, sul finire del 1910, propose all’animatrice delle attività della Casa del lavoro di Milano, Alessandrina Ravizza, l’organizzazione di un’Esposizione d’Arte libera a Milano. Quella richiesta si tramutò in realtà, nel maggio del 1911, nei padiglioni abbandonati dello stabilimento Ricordi, in viale Vittoria: un luogo di lavoro fu quindi riscattato e abilitato al contatto tra il popolo e la cultura, visto come occasione e possibilità di emancipazione sociale, di rottura con schemi classisti. Venne così aperto uno spazio culturale al di fuori dei circuiti istituzionali dell’arte ufficiale della borghesia e, all’interno di quello spazio, il ruolo innovativo dei futuristi avrebbe dovuto rappresentare la conseguenza più naturale, ponendosi, di fatto, come forza trainante e fermento rivoluzionario. Per Boccioni quel progetto non significò solo elargizione di cultura e d’arte al popolo, ma significò convocare il popolo stesso alla creazione artistica che, a ben vedere, rappresenta la strada più autentica per un’effettiva emancipazione umana e sociale o, almeno, la sola concepibile per un’avanguardia coerente con il dettame anarchico dei suoi ideali rivoluzionari.


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