I fatti di Sarzana rappresentarono uno dei pochi episodi di resistenza armata all'ascesa del fascismo in Italia.
Il capo riconosciuto delle squadracce fasciste nello spezzino era Renato Ricci, ex-legionario e futuro onorevole: fra le altre imprese, fu lui a guidare personalmente una spedizione punitiva contro i centri di Pontremoli e di Sarzana (12 giugno 1921). La reazione popolare antifascista fu allora così decisa che gli squadristi furono costretti a ripiegare, e le autorità non poterono fare a meno di arrestare il Ricci e di rinchiuderlo nelle carceri di Sarzana.
Privati momentaneamente del loro capetto locale, i fascisti decisero di liberarlo, e soprattutto di dare una storica lezione alla popolazione di Sarzana, scelta come simbolo della lotta dei “sovversivi” contro la reazione padronale e fascista. Il mattino del 21 giugno 1921, gli squadristi guidati da Amerigo Dumini (uno dei più noti criminali fascisti, futuro correo nell'assassinio del deputato socialista Matteotti), calarono da molte province della Toscana nelle zone circostanti Sarzana, preparandosi ad attaccarla in forze. Prima di entrare in Sarzana, furono informati che nel paese di Arcola (La Spezia) un loro camerata, tal Procuranti, era stato ucciso, subito iniziarono la spedizione punitiva, compiendo violenze ed uccidendo un contadino a Santo Stefano Magra (La Spezia). Giunti a Sarzana, i fascisti si concentrarono alla stazione ferroviaria per inquadrarsi bene e per sferrare l'attacco; fu allora che accolsero sparando 7 carabinieri e 4 soldati, che, comandati dal capitano Jurgens si erano schierati per fermare la spedizione fascista.
Dopo il breve scontro a fuoco con le forze dell'ordine, i fascisti si trovarono a dover affrontare l'assalto armato da parte degli Arditi del Popolo che, organizzati dall'anarchico Ugo Boccardi detto “Ramella”, dettero per primi il benvenuto ai fascisti. Ma non furono i soli, poiché sopraggiunsero presto gli arsenalotti, cioè quei lavoratori che ogni mattina prendevano il treno da Sarzana a La Spezia per recarsi a lavorare all'arsenale spezzino. Quel treno quotidiano, infatti, quella mattina non era partito, nell'attesa del previsto attacco squadrista; l'intera popolazione partecipò alla sollevazione contro le camicie nere, che ebbero dei morti e furono costrette a cercar scampo nelle campagne circostanti. Ma anche qui non trovarono sorte migliore, anzi i contadini (anch'essi perlopiù anarchici, e comunque decisamente antifascisti), collaborarono con gli Arditi del Popolo alla cattura degli aggressori, molti dei quali furono uccisi. Si parlò allora di circa venti fascisti uccisi, e così afferma anche la storiografia ufficiale, ma da testimonianze pervenute da compagni che erano presenti ai fatti risulta che furono molti
di più. Ad ogni modo resta la realtà della grande vittoria popolare di Sarzana, che, con la collaborazione degli Arditi del Popolo prontamente giunti dai centri circostanti, segnò un duro colpo alla violenta protervia fascista.
Pochi giorni dopo, però, firmando il Patto di Conciliazione con i fascisti su scala nazionale, i socialisti contribuiranno a disarmare il popolo, lasciandolo inerme vittima dello squadrismo fascista. La stessa responsabilità toccherà ai comunisti, da pochi mesi costituitisi in partito, che preferiranno ritirare i propri militanti dagli Arditi del Popolo pur di non collaborare con gli anarchici.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 24 aprile 2014
VOGHERA - Franti
Uno dei più famigerati ed infame lager di stato. Un tempo ed uno spazio che si misurano sulla detenzione e la cella. L’annientamento psico-fisico di migliaia di prigionieri, in Italia, Europa e nel mondo, ci sta di fianco.
“Due pietre cadono sulla porta d’acciaio invisibile
due ore nate per caso, morte ogni giorno
vetri che fanno il respiro affannoso
l’armadio rotondo tocca il cielo/soffitto
il giorno e la notte aperti dai muri e la pelle coi loro rumori
L’amore i fini capelli dei bimbi
rosso ferro nelle unghie
e rompi la matita
testarda lei capisce il tempo
tu ne sei fuori e dentro
e la voce si stanca più in fretta di quando non sai, di quando non sai
Ieri qui qui fuori c’eri anche tu
oggi qui dentro sei tutto e tu = Due ore nate per caso, morte ogni giorno
Adesso corri corri corri
il letto non parla, lascia fare lascia sognare
ADESSO CORRIIIIIII!”
“Due pietre cadono sulla porta d’acciaio invisibile
due ore nate per caso, morte ogni giorno
vetri che fanno il respiro affannoso
l’armadio rotondo tocca il cielo/soffitto
il giorno e la notte aperti dai muri e la pelle coi loro rumori
L’amore i fini capelli dei bimbi
rosso ferro nelle unghie
e rompi la matita
testarda lei capisce il tempo
tu ne sei fuori e dentro
e la voce si stanca più in fretta di quando non sai, di quando non sai
Ieri qui qui fuori c’eri anche tu
oggi qui dentro sei tutto e tu = Due ore nate per caso, morte ogni giorno
Adesso corri corri corri
il letto non parla, lascia fare lascia sognare
ADESSO CORRIIIIIII!”
La notizia e l'effetto scomparsa
Non
esiste una definizione di cosa sia la storia - forse per il fatto che
la storia non è poi così vecchia da poterne possedere una - e bisogna
rendersi conto che le sue basi teoriche contano solo pochi secoli di
vita. Forse questi postulati - per quanto recenti - hanno smesso di
esistere, e da questo momento in poi è stato messo in atto qualcosa d'
altro, vale a dire una perdita di polarità del tempo, una forma di
accelerazione. Esistono troppi eventi, ma la storia non è definita dagli
eventi e ora, con la comunicazione e i media, l'evento stesso è
ulteriormente moltiplicato, è centrifugato e progettato in diffusione
mondiale, è ripercosso e volatilizzato immediatamente. L' evento perde
così il suo proprio senso tramite la sua stessa diffusione: è l' effetto
mediatico, questo, un effetto di scomparsa. La notizia, contrariamente a
ciò che si crede, è una sorta di buco nero, una forma di assorbimento
dell' evento, di diffusione e di trasmissione: è l' evento ad alta
diluizione che perde la sua concentrazione e dunque il suo stesso senso.
Tutti siamo infatti informati sugli eventi che accadono, tutti abbiamo
saputo e sappiamo, siamo anzi super-informati, ma in effetti non ne
abbiamo saputo né ne sappiamo oggettivamente niente, perché la vera
esperienza di un evento, o il vero senso che se ne può trarre, sfugge a
chiunque, in definitiva, perché si diluisce in una sorta di notizia
generalizzata. è una delle forme caotiche del nostro universo: c' è un
certo tipo di accelerazione e la storia muore per questa stessa
accelerazione, per la centrifugazione degli eventi. Muore anche per
rallentamento, ma in questo caso è più complicato perché in base a
quanto e a come questa notizia cade nella massa, diventa massa anch'
essa: tutti i messaggi che riceviamo fanno massa, nel senso che
diventano una sorta di scarti inerti che non arriviamo più a trattare o a
riciclare. Abbiamo cioè l' impressione che la notizia sia fluida, che
passi in rete, che circoli, perché questa è la sua definizione, ma in
realtà la notizia precipita, e là dove essa cade essa resta perché non è
più trasfigurata, metabolizzata: si parla sempre di scarti industriali o
materiali, ma c' è pure e soprattutto un enorme scarto informativo e
comunicativo che costituisce una massa inerte, una forza inerziale che
pesa sull' evento stesso. Che sia per accelerazione o per inerzia,
quindi, la storia fa molta fatica a raggiungere il senso della propria
esistenza: essa può esistere solo se ci sono al contempo un' energia e
una volontà storica, una possibilità di rappresentazione della storia,
ed è questo che ci sfugge oggi. Gli elementi che formano la storia - ivi
compreso il racconto che se ne può fare, perché non c' è storia senza
racconto, senza possibilità di narrarla - ci sfuggono perché la notizia
si impossessa troppo rapidamente di ciò che accade e passa sempre di più
per il tramite dell' immagine, nemmeno più per quello del testo o delle
memorie scritte: è troppo fugace, troppo volatile, e ciò la diluisce in
uno spazio che non è più il nostro. Ci sono sicuramente sempre più
eventi, oggi, ma non bastano gli eventi per fare la storia; c' è sempre
più violenza, ma non è più la violenza storica che analizzava Marx. E'
da qui che proviene l' impulso collettivo di volgersi all' indietro per
ritrovare il momento della storia vera e identificabile, se così posso
dire, il momento in cui c' erano dei veri eventi, in cui c'erano
rivoluzioni, contraddizioni, vale a dire delle cose -in definitiva- che
costituivano una posta in gioco reale, mentre adesso accadono tantissime
cose ma la posta in gioco è come scomparsa dall' orizzonte della
storia.
(Jean Baudrillard)
(Jean Baudrillard)
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Jean Baudrillard
giovedì 17 aprile 2014
La dittatura tecnocratico-populista
I governi dei banchieri, alla fine venuti direttamente alla ribalta, sono mascherati da un'ideologia che descrive questi come governi condotti da tecnocrati esperti, apolitici e scevri da interessi privati. Dietro alla retorica tecnocratica, la realtà è che i funzionari designati hanno una carriera di operatori per- e- con i grandi interessi finanziari privati e internazionali.
Queste nomine da parte delle banche si basano sulla lealtà totale di questi signori e sul loro impegno senza riserve di imporre politiche regressive, le più inique sulle popolazioni di lavoratori europei. I cosiddetti tecnocrati non sono soggetti a fazioni di partito, nemmeno lontanamente sono sensibili a qualsiasi protesta sociale. Essi sono liberi da qualsiasi impegno politico ... tranne uno, quello di assicurare il pagamento del debito ai detentori dei titoli di Stato - in particolare di restituire i prestiti alle più importanti istituzioni finanziarie europee e nord americane.
I tecnocrati sono totalmente dipendenti dalle banche per le loro nomine e permanenze in carica. Non hanno alcuna infarinatura di base organizzativa politica nei paesi che governano. Costoro governano perché i banchieri minacciavano di bancarotta i paesi, se non venivano accettate queste nomine. Hanno indipendenza zero, nel senso che i "tecnocrati" sono soltanto strumenti e rappresentanti diretti dei banchieri euro-americani.
I "tecnocrati", per natura del loro mandato, sono funzionari coloniali esplicitamente designati su comando dei banchieri imperiali e godono del loro sostegno.
In secondo luogo, né loro né i loro mentori colonialisti sono stati eletti dal popolo su cui governano. Sono stati imposti dalla coercizione economica e dal ricatto politico.
In terzo luogo, le misure da loro adottate sono destinate ad infliggere la sofferenza massima per alterare completamente i rapporti di forza tra lavoro e capitale, massimizzando il potere di quest'ultimo di assumere, licenziare, fissare salari e condizioni di lavoro.
In altre parole, l'agenda tecnocratica impone una dittatura politica ed economica. Le istituzioni sociali e i processi politici associati con il sistema di sicurezza sociale democratico-capitalista, corrotto da democrazie decadenti, eroso dalle democrazie oligarchiche, sono minacciati di demolizione totale dalle prevaricanti dittature coloniali tecnocratiche.
Il linguaggio di "sociale / regressione" è pieno di eufemismi, ma la sostanza è chiara. I programmi sociali in materia di sanità pubblica, istruzione, pensioni, e tutela dei disabili sono tagliati o eliminati e i "risparmi" trasferiti ai pagamenti tributari per i detentori di titoli (banche).
I pubblici dipendenti vengono licenziati, allungata la loro età pensionabile, e i salari ridotti e il diritto di permanenza in ruolo eliminato. Le imprese pubbliche sono vendute a oligarchi capitalisti stranieri e domestici, con decurtamento dei servizi ed eliminazione brutale dei dipendenti. I datori di lavoro stracciano i contratti collettivi di lavoro. I lavoratori sono licenziati e assunti a capriccio dei padroni. Ferie, trattamento di fine rapporto, salari di ingresso e pagamento degli straordinari sono drasticamente ridotti. Queste politiche sono camuffate da "riforme strutturali".
Dopo la la dittatura della politica tecnocratica del macete, naturalmente niente di meglio che la dittatura di una politica tecnocratico-populista del bastone e del manganello...
Dai tempi dei regimi fascisti non si vedevano assalti così determinati contro le organizzazioni popolari e contro i diritti democratici.
Queste nomine da parte delle banche si basano sulla lealtà totale di questi signori e sul loro impegno senza riserve di imporre politiche regressive, le più inique sulle popolazioni di lavoratori europei. I cosiddetti tecnocrati non sono soggetti a fazioni di partito, nemmeno lontanamente sono sensibili a qualsiasi protesta sociale. Essi sono liberi da qualsiasi impegno politico ... tranne uno, quello di assicurare il pagamento del debito ai detentori dei titoli di Stato - in particolare di restituire i prestiti alle più importanti istituzioni finanziarie europee e nord americane.
I tecnocrati sono totalmente dipendenti dalle banche per le loro nomine e permanenze in carica. Non hanno alcuna infarinatura di base organizzativa politica nei paesi che governano. Costoro governano perché i banchieri minacciavano di bancarotta i paesi, se non venivano accettate queste nomine. Hanno indipendenza zero, nel senso che i "tecnocrati" sono soltanto strumenti e rappresentanti diretti dei banchieri euro-americani.
I "tecnocrati", per natura del loro mandato, sono funzionari coloniali esplicitamente designati su comando dei banchieri imperiali e godono del loro sostegno.
In secondo luogo, né loro né i loro mentori colonialisti sono stati eletti dal popolo su cui governano. Sono stati imposti dalla coercizione economica e dal ricatto politico.
In terzo luogo, le misure da loro adottate sono destinate ad infliggere la sofferenza massima per alterare completamente i rapporti di forza tra lavoro e capitale, massimizzando il potere di quest'ultimo di assumere, licenziare, fissare salari e condizioni di lavoro.
In altre parole, l'agenda tecnocratica impone una dittatura politica ed economica. Le istituzioni sociali e i processi politici associati con il sistema di sicurezza sociale democratico-capitalista, corrotto da democrazie decadenti, eroso dalle democrazie oligarchiche, sono minacciati di demolizione totale dalle prevaricanti dittature coloniali tecnocratiche.
Il linguaggio di "sociale / regressione" è pieno di eufemismi, ma la sostanza è chiara. I programmi sociali in materia di sanità pubblica, istruzione, pensioni, e tutela dei disabili sono tagliati o eliminati e i "risparmi" trasferiti ai pagamenti tributari per i detentori di titoli (banche).
I pubblici dipendenti vengono licenziati, allungata la loro età pensionabile, e i salari ridotti e il diritto di permanenza in ruolo eliminato. Le imprese pubbliche sono vendute a oligarchi capitalisti stranieri e domestici, con decurtamento dei servizi ed eliminazione brutale dei dipendenti. I datori di lavoro stracciano i contratti collettivi di lavoro. I lavoratori sono licenziati e assunti a capriccio dei padroni. Ferie, trattamento di fine rapporto, salari di ingresso e pagamento degli straordinari sono drasticamente ridotti. Queste politiche sono camuffate da "riforme strutturali".
Dopo la la dittatura della politica tecnocratica del macete, naturalmente niente di meglio che la dittatura di una politica tecnocratico-populista del bastone e del manganello...
Dai tempi dei regimi fascisti non si vedevano assalti così determinati contro le organizzazioni popolari e contro i diritti democratici.
Programma di pratica immediata-detourner l’esistenza
Imparare a vivere in una realtà non più come automi ma autonomi dall’ideologia dominante è la prima regola del gioco della cosa.
Trasformare l’aspetto più miserabile dell’esistenza e tutte le strutture di questa società in campi di battaglia sulle cui barricate si deciderà il futuro dell’umanità è il compito che il proletariato giovanile si pone in questa particolare situazione.
Riconoscere che le sorti del mondo e la possibilità di rendere all’umanità non si decide in un festival pop ma nelle fabbriche delle cose e dell’idee, non vuol dire privilegiare una categoria del proletariato più di un'altra, bensì quello di riconoscere i luoghi dove lo scontro è reale e più incisivo.
Ritrovare uno scopo e una pratica rivoluzionaria direttamente nella realtà immediata che ci circonda non è riproporre il putrefatto militantismo marx-leninista di sessantanovesca memoria, bensì quello di ritrovare la gioia pratica delle azioni che contribuiscono alla fine dello stato di cose presenti.
La domanda da porsi è questa: "Che può fare ciascun individuo per distruggere ciò che lo distrugge, moltiplicare la possibilità di vita autentica”. (Raoul Vaneigem: Terrorismo o Rivoluzione)
La risposta ci viene dalla saggezza popolare: se una cosa è troppo forte per essere vinta, l’unica possibilità di vittoria e di ritorcere la sua forza contro di essa. Questa è anche la beffa più grande che il proletariato possa fare al capitale. (…)
Porsi nella logica di lavorare alla fine del lavoro, questo è il compito attorno al quale ognuno autonomamente si dia da fare “in modo che abituato ad agire da solo nella coscienza di un progetto comune… impari a non tollerare mai che si agisca a suo nome, a non sostituirsi mai agli altri, e a scoprire nel rafforzamento della sua volontà di vivere la verità pratica dell’azione collettiva.” (Raoul Vaneigem: Terrorismo o Rivoluzione)
Questo ed altro hanno capito alcune di quelle bande di “teppisti” che nelle notti estive utilizzano la loro libertà dal lavoro (ferie e vacanze) a giocare a “fare i banditi” (come dice la stampa borghese), che del resto è l’unica possibilità di chi messo al bando dalle condizioni oggettive esistenti non può far altro che voltarsi contro il corso del mondo borghese, prendere per realtà la scintilla dei suoi desideri, impadronirsi della propria vita e … diventare bandito.
(Tratto da Robinud, giornale murale/manifesto 100x70, numero tre, Anno 1973, Sesto S.Giovanni - Milano)
Trasformare l’aspetto più miserabile dell’esistenza e tutte le strutture di questa società in campi di battaglia sulle cui barricate si deciderà il futuro dell’umanità è il compito che il proletariato giovanile si pone in questa particolare situazione.
Riconoscere che le sorti del mondo e la possibilità di rendere all’umanità non si decide in un festival pop ma nelle fabbriche delle cose e dell’idee, non vuol dire privilegiare una categoria del proletariato più di un'altra, bensì quello di riconoscere i luoghi dove lo scontro è reale e più incisivo.
Ritrovare uno scopo e una pratica rivoluzionaria direttamente nella realtà immediata che ci circonda non è riproporre il putrefatto militantismo marx-leninista di sessantanovesca memoria, bensì quello di ritrovare la gioia pratica delle azioni che contribuiscono alla fine dello stato di cose presenti.
La domanda da porsi è questa: "Che può fare ciascun individuo per distruggere ciò che lo distrugge, moltiplicare la possibilità di vita autentica”. (Raoul Vaneigem: Terrorismo o Rivoluzione)
La risposta ci viene dalla saggezza popolare: se una cosa è troppo forte per essere vinta, l’unica possibilità di vittoria e di ritorcere la sua forza contro di essa. Questa è anche la beffa più grande che il proletariato possa fare al capitale. (…)
Porsi nella logica di lavorare alla fine del lavoro, questo è il compito attorno al quale ognuno autonomamente si dia da fare “in modo che abituato ad agire da solo nella coscienza di un progetto comune… impari a non tollerare mai che si agisca a suo nome, a non sostituirsi mai agli altri, e a scoprire nel rafforzamento della sua volontà di vivere la verità pratica dell’azione collettiva.” (Raoul Vaneigem: Terrorismo o Rivoluzione)
Questo ed altro hanno capito alcune di quelle bande di “teppisti” che nelle notti estive utilizzano la loro libertà dal lavoro (ferie e vacanze) a giocare a “fare i banditi” (come dice la stampa borghese), che del resto è l’unica possibilità di chi messo al bando dalle condizioni oggettive esistenti non può far altro che voltarsi contro il corso del mondo borghese, prendere per realtà la scintilla dei suoi desideri, impadronirsi della propria vita e … diventare bandito.
(Tratto da Robinud, giornale murale/manifesto 100x70, numero tre, Anno 1973, Sesto S.Giovanni - Milano)
L’Anarchia di Colin Ward
"L’anarchia è uno spazio politico attuale, da estendere e da utilizzare come testa d’ariete contro la resistenza, coatta, del potere gerarchico. Perché sapere che esistono progetti, in giro per il mondo, che da Linux come comunità basata sul dono, fino ai tentativi come quello dell’'isola delle Rose (in esperanto Insulo de la Rozoj, nome ufficiale Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose fu il nome dato ad una piattaforma artificiale di 400 m², occupata da liberi pensatori, che sorgeva nel mare Adriatico al largo delle coste dell'allora provincia di Forlì a 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane), dimostrano che l’anarchia non solo è possibile, ma è anche attualizzabile in varie forme, serve proprio a rendere il nostro essere anarchici una forma di resistenza al potere costituito. Base morale del pensiero anarchico, è che non siamo responsabili soltanto di ciò che facciamo ma anche di ciò che avremmo potuto fare e abbiamo scelto coscienziosamente di non fare..."
"Dobbiamo smetterla di continuare a chiederci quali siano le reali possibilità dell’anarchia altrimenti, facciamo il gioco degli stessi detrattori dell’anarchia. L’anarchia è qui, intorno a noi, ogni giorno; ogni volta che qualcuno fa del bene senza che gli venga imposto da un principio esterno. Ho definito questo concetto “seme sotto la neve”, perché basta sapersi guardare attorno e questa utopia è in realtà già nascosta tra il peso del quotidiano. Quello che bisogna fare, e smetterla di pensare se l’anarchia è possibile e invece vivere, direttamente, delle possibilità che oggi ci vengono offerte: cooperazione e mutuo appoggio sono la cifra del pensiero anarchico ma si ottengono solo attraverso il ricorso all’azione diretta che va organizzata in modo libero. La mia idea è: se l’anarchia è un seme sotto la neve ciò che bisogna fare è far crescere questo seme e fargli strada. Il resto verrà da sé..."
"Il motivo per cui ho messo il bambino al centro delle mie critiche anarchiche è che è nella sua essenza rendere espliciti certi principi morali a passeggio per le nostre città.
Divulgare anarchia tra costruzioni come le carceri o i macelli, piuttosto che in città che assumono sempre più la struttura di un immenso Panopticon, è davvero complesso, per questo ripensare il nostro modello di vita significa anche ripensare gli spazi che costruiamo e in cui, ovviamente, questo stesso modello dovrebbe svilupparsi.
La mia idea è che la città debba essere uno spazio che estende i principi della natura umana; luogo dove bambini e adulti socializzano e scoprono nuovi modelli di esistenza e sopravvivenza, perché nessuna città è governabile se i cittadini non la sentono propria..."
(Colin Ward (Londra, 14 agosto 1924 - Ipswich, 11 febbraio 2010) è stato uno dei maggiori pensatori anarchici della seconda metà del XX secolo. Ha cominciato a lavorare come architetto prima, come insegnante poi. Per oltre vent'anni è stato scrittore e giornalista free-lance. Gran parte delle sue ricerche si occupano dei modi "non ufficiali" con cui la gente usa l'ambiente urbano e rurale, rimodellandolo secondo i propri bisogni. Ha così scritto una ventina di libri su temi sociologici e urbanistici come il vandalismo e gli orti urbani, l'occupazione di case e l'autocostruzione. Si è inoltre occupato della condizione dei bambini in situazioni urbane e rurali.)
"Dobbiamo smetterla di continuare a chiederci quali siano le reali possibilità dell’anarchia altrimenti, facciamo il gioco degli stessi detrattori dell’anarchia. L’anarchia è qui, intorno a noi, ogni giorno; ogni volta che qualcuno fa del bene senza che gli venga imposto da un principio esterno. Ho definito questo concetto “seme sotto la neve”, perché basta sapersi guardare attorno e questa utopia è in realtà già nascosta tra il peso del quotidiano. Quello che bisogna fare, e smetterla di pensare se l’anarchia è possibile e invece vivere, direttamente, delle possibilità che oggi ci vengono offerte: cooperazione e mutuo appoggio sono la cifra del pensiero anarchico ma si ottengono solo attraverso il ricorso all’azione diretta che va organizzata in modo libero. La mia idea è: se l’anarchia è un seme sotto la neve ciò che bisogna fare è far crescere questo seme e fargli strada. Il resto verrà da sé..."
"Il motivo per cui ho messo il bambino al centro delle mie critiche anarchiche è che è nella sua essenza rendere espliciti certi principi morali a passeggio per le nostre città.
Divulgare anarchia tra costruzioni come le carceri o i macelli, piuttosto che in città che assumono sempre più la struttura di un immenso Panopticon, è davvero complesso, per questo ripensare il nostro modello di vita significa anche ripensare gli spazi che costruiamo e in cui, ovviamente, questo stesso modello dovrebbe svilupparsi.
La mia idea è che la città debba essere uno spazio che estende i principi della natura umana; luogo dove bambini e adulti socializzano e scoprono nuovi modelli di esistenza e sopravvivenza, perché nessuna città è governabile se i cittadini non la sentono propria..."
(Colin Ward (Londra, 14 agosto 1924 - Ipswich, 11 febbraio 2010) è stato uno dei maggiori pensatori anarchici della seconda metà del XX secolo. Ha cominciato a lavorare come architetto prima, come insegnante poi. Per oltre vent'anni è stato scrittore e giornalista free-lance. Gran parte delle sue ricerche si occupano dei modi "non ufficiali" con cui la gente usa l'ambiente urbano e rurale, rimodellandolo secondo i propri bisogni. Ha così scritto una ventina di libri su temi sociologici e urbanistici come il vandalismo e gli orti urbani, l'occupazione di case e l'autocostruzione. Si è inoltre occupato della condizione dei bambini in situazioni urbane e rurali.)
giovedì 10 aprile 2014
Dominio della natura
L’appropriazione della natura da parte degli uomini è precisamente l’avventura nella quale siamo imbarcati. Non la si può discutere; ma non si può discutere che su di essa, a partire da essa. Ciò che è sempre in questione, al centro del pensiero e dell’azione moderni, è l’impiego possibile del settore dominato dalla natura. L’ipotesi d’insieme su questo impiego comanda le scelte nelle alternative presenti in qualsiasi momento del processo; comanda anche il ritmo e la durata di un’espansione produttiva in ogni settore. L’assenza di ipotesi d’insieme, cioè di fatto il monopolio di una sola ipotesi non teorizzata, che è come il prodotto automatico della cieca crescita del potere attuale, crea quel voto che è il destino del pensiero contemporaneo da 40 anni a questa parte.
L’accumulazione della produzione e di capacità tecniche sempre superiori va ancora più in fretta che nelle previsioni del comunismo del XIX secolo.
Ma siamo rimasti allo stadio della preistoria con superequipaggiamento. Un secolo ti tentativi rivoluzionari è fallito nel senso che la vita umana non è stata razionalizzata e appassionata (il progetto di una società senza classi non è stato ancora realizzato).
Siamo entrati in un accrescimento dei mezzi materiali che non avrà fine, ma che rimane al servizio di interessi fondamentalmente statici, e perciò di valori la cui antica morte è di notorietà pubblica.
Lo spirito dei morti incombe pesantemente sulla tecnologia dei vivi. La pianificazione economica che regna ovunque è folle, non tanto per la sua scolastica ossessione dell’arricchimento organizzato dagli anni seguenti, quanto per il sangue marcio del passato che solo circola in essa e che viene continuamente risospinto in avanti, ad ogni pulsazione artificiale di questo “cuore di un mondo senza cuore”.
L’accumulazione della produzione e di capacità tecniche sempre superiori va ancora più in fretta che nelle previsioni del comunismo del XIX secolo.
Ma siamo rimasti allo stadio della preistoria con superequipaggiamento. Un secolo ti tentativi rivoluzionari è fallito nel senso che la vita umana non è stata razionalizzata e appassionata (il progetto di una società senza classi non è stato ancora realizzato).
Siamo entrati in un accrescimento dei mezzi materiali che non avrà fine, ma che rimane al servizio di interessi fondamentalmente statici, e perciò di valori la cui antica morte è di notorietà pubblica.
Lo spirito dei morti incombe pesantemente sulla tecnologia dei vivi. La pianificazione economica che regna ovunque è folle, non tanto per la sua scolastica ossessione dell’arricchimento organizzato dagli anni seguenti, quanto per il sangue marcio del passato che solo circola in essa e che viene continuamente risospinto in avanti, ad ogni pulsazione artificiale di questo “cuore di un mondo senza cuore”.
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SULLE LACRIME di Jack Kerouac
Lacrime è la mia fronte che si rompe,
Il lunato agitato
sedersi
In bui cimiteri di treni
Quando per vedere il volto di mi amadre
Che richiamava dalla sua visione
Piansi alla comprensione
Della trappola mortalità
E del sangue personale della terra
Che mi aspettano-
Padre padre
Perchè mi hai abbandonato?
Mortalità & repulsione
Scorazzano per questa città-
Infelicità è il mio secondo nome
Voglio essere salvato,-
Affondato-non può essere
Non vuole essere
Mai fu fatta per essere-
Così da vomitare!
Il lunato agitato
sedersi
In bui cimiteri di treni
Quando per vedere il volto di mi amadre
Che richiamava dalla sua visione
Piansi alla comprensione
Della trappola mortalità
E del sangue personale della terra
Che mi aspettano-
Padre padre
Perchè mi hai abbandonato?
Mortalità & repulsione
Scorazzano per questa città-
Infelicità è il mio secondo nome
Voglio essere salvato,-
Affondato-non può essere
Non vuole essere
Mai fu fatta per essere-
Così da vomitare!
La cultura durante la Guerra di Spagna
Era commovente vedere come i comitati operai e contadini lavoravano duro per ripulire le case sequestrate e consegnare intatta ogni cosa che potrebbe avere qualche valore culturale. La maggior parte di loro era profondamente colpita dal fatto che tutti questi beni diventassero patrimonio del pueblo.
Arte e cultura ora appartenevano al popolo, musei e librerie vennero aperte a tutti; libri, manoscritti e collezioni vennero protette il più possibile. Le chiese e i conventi erano le fortezze del nemico e quindi vennero trattate come tali: ripulite e bruciate. La corrida venne abolita immediatamente (i toreri erano tutti sostenitori di Franco), tutti i tori da corrida furono uccisi e per molta gente affamata questo significava il primo pezzo di carne.
Ma la rivoluzione sviluppò anche spontaneamente una nuova ondata di arte popolare. Innanzitutto i magnifici manifesti: diretti, attraenti e facilmente comprensibili da tutti. Pittori e disegnatori si unirono ai comitati operai e così diedero origine a lavori collettivi. Vennero attacchinati sui muri manifesti con messaggi, e le carrozze ferroviarie vennero colorate con graffiti rivoluzionari inneggianti il popolo alla battaglia, alla difesa, e ad un lavoro più intenso nelle campagne.
Anche la poesia e la musica popolare rinacquero durante la rivoluzione. Poeti, musicisti e attori si unirono alla CNT in massa. Compagnie teatrali andarono per le campagne e molti contadini videro il teatro per la prima volta nella loro vita.
La lotta antifascista e antifranchista è anche una lotta per la cultura: una cultura contro l’oppressione, contro la limitazione del libero sviluppo e per la propagazione della cultura tra le privazioni, la benevolenza, la civiltà e la pietà del popolo iberico.
Arte e cultura ora appartenevano al popolo, musei e librerie vennero aperte a tutti; libri, manoscritti e collezioni vennero protette il più possibile. Le chiese e i conventi erano le fortezze del nemico e quindi vennero trattate come tali: ripulite e bruciate. La corrida venne abolita immediatamente (i toreri erano tutti sostenitori di Franco), tutti i tori da corrida furono uccisi e per molta gente affamata questo significava il primo pezzo di carne.
Ma la rivoluzione sviluppò anche spontaneamente una nuova ondata di arte popolare. Innanzitutto i magnifici manifesti: diretti, attraenti e facilmente comprensibili da tutti. Pittori e disegnatori si unirono ai comitati operai e così diedero origine a lavori collettivi. Vennero attacchinati sui muri manifesti con messaggi, e le carrozze ferroviarie vennero colorate con graffiti rivoluzionari inneggianti il popolo alla battaglia, alla difesa, e ad un lavoro più intenso nelle campagne.
Anche la poesia e la musica popolare rinacquero durante la rivoluzione. Poeti, musicisti e attori si unirono alla CNT in massa. Compagnie teatrali andarono per le campagne e molti contadini videro il teatro per la prima volta nella loro vita.
La lotta antifascista e antifranchista è anche una lotta per la cultura: una cultura contro l’oppressione, contro la limitazione del libero sviluppo e per la propagazione della cultura tra le privazioni, la benevolenza, la civiltà e la pietà del popolo iberico.
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giovedì 3 aprile 2014
L’antipsichiatria istruzioni per agire
Le istruzioni per usare l’antipsichiatria sono istruzioni per non farsi usare dalla psichiatria, istruzioni che suggeriscono di vedere le persone per quelle che sono e le loro azioni per quello che dicono. Smettere di usare la psichiatria significa ricominciare ad usare i nostri occhi, le nostre mani, la nostra mente, la nostra sensibilità per tentare di metterci in contatto con esperienze e persone che abbiano smesso di sentire, toccare, pensare o capire.
Senza il nostro consenso ed il nostro appoggio il cercatore del Graal non può essere internato. Angela non può essere aiutata. Arturo non può essere fermato. Carmelo non può essere sepolto in manicomio.
L’antipsichiatria non ha specialisti, strutture, tecniche o cure. Non dice che si deve far ragionare il cercatore del Graal o far smettere di urlare Angela. Dice di dar loro credito e rispetto. Dice di agire per aiutarli a cercare il Graal o per bloccare i gas nervini. Il come fare sta a noi, alla nostra creatività, alla nostra passione, alla nostra umanità e intuizione. Non credo che sia facile, dico che è possibile. Del resto non possiamo continuare ad accettare che la psichiatria risolva per noi il conflitto tra chi dorme la notte chi no, tra chi crede all’infallibilità del papa e chi crede che gli ulivi siano le antenne di dio sulla terra, tra chi afferma che la proprietà privata è un furto e chi dice che hanno rubato i suoi pensieri, tra chi compra azioni in borsa e chi pianta chiodi in tutte le icone sacre della città … L’incomprensibilità ed il pericolo della follia sono ben poca cosa rispetto al terrore della normalizzazione psichiatrica. La soluzione psichiatrica è sempre iniqua, assurda e inumana. Se Sara pianta i suoi chiodi sull’icona della Madonna dell’Aiuto, la psichiatria pianta un bisturi nel suo cervello o un ago nelle sue vene.
Non ci sono solo le vittime e i carnefici. Ci siamo noi sul ciglio della strada mentre portano via il cercatore del Graal, siamo gli impauriti vicini di Angela, gli ex compagni del liceo di Carmelo, i parrocchiani interdetti di Sara. Pensiamo di essere solo testimoni incompetenti e casuali ed invece siamo i mandanti di quanto accade, non meno incoscienti, innocenti e paurosi degli infermieri che eseguono l’ordine di afferrare, tener fermi, chiudere a chiave o controllare i loro simili.
Sul nostro silenzio sono costruiti i manicomi. Sulla nostra paura le pratiche psichiatriche. Non è possibile farsi da parte o tirarsene fuori. Siamo tutti arruolati in questa guerra inumana e fratricida. Terrorizzati dall’idea di un nemico invisibile, imprevedibile e crudele.
Non basta disertare. Bisogna prendere posizione. Non ubbidire più agli ordini. Non indossare divise. Non usare più il nostro corpo per impedire ad altri di cercare. Non bloccarne il corpo o la mente. Non confonderne le ragioni. Continuare ad ostinarsi a voler rimanere umani.
Senza il nostro consenso ed il nostro appoggio il cercatore del Graal non può essere internato. Angela non può essere aiutata. Arturo non può essere fermato. Carmelo non può essere sepolto in manicomio.
L’antipsichiatria non ha specialisti, strutture, tecniche o cure. Non dice che si deve far ragionare il cercatore del Graal o far smettere di urlare Angela. Dice di dar loro credito e rispetto. Dice di agire per aiutarli a cercare il Graal o per bloccare i gas nervini. Il come fare sta a noi, alla nostra creatività, alla nostra passione, alla nostra umanità e intuizione. Non credo che sia facile, dico che è possibile. Del resto non possiamo continuare ad accettare che la psichiatria risolva per noi il conflitto tra chi dorme la notte chi no, tra chi crede all’infallibilità del papa e chi crede che gli ulivi siano le antenne di dio sulla terra, tra chi afferma che la proprietà privata è un furto e chi dice che hanno rubato i suoi pensieri, tra chi compra azioni in borsa e chi pianta chiodi in tutte le icone sacre della città … L’incomprensibilità ed il pericolo della follia sono ben poca cosa rispetto al terrore della normalizzazione psichiatrica. La soluzione psichiatrica è sempre iniqua, assurda e inumana. Se Sara pianta i suoi chiodi sull’icona della Madonna dell’Aiuto, la psichiatria pianta un bisturi nel suo cervello o un ago nelle sue vene.
Non ci sono solo le vittime e i carnefici. Ci siamo noi sul ciglio della strada mentre portano via il cercatore del Graal, siamo gli impauriti vicini di Angela, gli ex compagni del liceo di Carmelo, i parrocchiani interdetti di Sara. Pensiamo di essere solo testimoni incompetenti e casuali ed invece siamo i mandanti di quanto accade, non meno incoscienti, innocenti e paurosi degli infermieri che eseguono l’ordine di afferrare, tener fermi, chiudere a chiave o controllare i loro simili.
Sul nostro silenzio sono costruiti i manicomi. Sulla nostra paura le pratiche psichiatriche. Non è possibile farsi da parte o tirarsene fuori. Siamo tutti arruolati in questa guerra inumana e fratricida. Terrorizzati dall’idea di un nemico invisibile, imprevedibile e crudele.
Non basta disertare. Bisogna prendere posizione. Non ubbidire più agli ordini. Non indossare divise. Non usare più il nostro corpo per impedire ad altri di cercare. Non bloccarne il corpo o la mente. Non confonderne le ragioni. Continuare ad ostinarsi a voler rimanere umani.
TETSUO di Shinya Tsukamoto
"Trasformiamo il mondo in una massa d'acciaio. Facciamolo arrugginire, così che si sbricioli nel cosmo".
Un auto-feticista estremo (interpretato dallo stesso regista) è solito innestare componenti metallici vari nel proprio corpo. Quando l'ennesima cruenta applicazione causa una reazione di rigetto, spaventato scappa per la città, finendo investito da un automobilista di passaggio assieme alla fidanzata. Ritenendo morto l'investito, i due decidono di gettarlo nel bosco senza avvertire le forze dell'ordine. Poi però la coppia si rende conto che il ragazzo è ancora vivo e li ha ben visti in faccia, i due temono che il fantasma del mal capitato possa tormentarli dopo la morte; così decidono di fingersi una coppia che amoreggia nel bosco nel tentativo di confondere i ricordi del ragazzo agonizzante. Il film non chiarisce se il feticista sopravviva, se si tratti di un'oscura maledizione o se sia l'investitore ad impazzire, ma da quel momento l'uomo inizierà una graduale trasformazione in uomo-macchina. Tutto ha inizio quando, radendosi scopre di avere un piccolo condensatore al posto di un pelo di barba. In seguito, in una delle scene che hanno reso celebre la pellicola, l'uomo subisce la metamorfosi del pene in una fresa gigante, con cui penetra a morte la fidanzata. L'uomo si scontra infine con il feticista che credeva morto, tra le rovine post-industriali che diventeranno parte di entrambi i corpi durante lo scontro. I due finiscono per fondersi in un'unica enorme creatura biomeccanica, pronta a seminare morte e distruzione nel mondo.
Ogni elemento nel film riflette distinte condizioni sociali: la disumanizzazione è rappresentata dall'inorganicità dei componenti metallici, le esplicite allusioni sessuali, sempre presenti nella produzione giapponese, sono uno sfogo isterico alla grigia e degradata società industriale e al suo tessuto urbano in rapida decomposizione.
Lo scorrimento veloce delle immagini, animato dalla fuoriuscita di tubo-razzi dai piedi del protagonista, è una metafora di come l'individuo cerchi di fuggire dal mondo che si è costruito, sempre più simile ad una severa condanna.
La ricerca della salvezza al di fuori del mondo ordinario viene inconsciamente imposta da un destino più forte di ogni difesa e il suo fallimento si riassume nella delirante conclusione, dove la fusione fra vittima e carnefice in un unico corpo corazzato da inizio alla distruzione del mondo che forse non merita altro.
Cresciuto in un periodo in cui il Giappone sembrava proiettato a tutta velocità verso un futuro quasi fantascientifico, Tsukamoto ha trasfuso nei suoi film l’angoscia ed il senso di soffocamento provato da molti suoi compatrioti costretti a vivere in una sorta di distopia imperniata sul lavoro, sul progresso forzato e sul primeggiare ad ogni costo.
Tetsuo è fantascienza, horror e surrealismo, è un pugno nello stomaco a livello logico e visivo che fonde tecniche da videoclip e fumetto ad un'atmosfera cyberpunk.
La carne diventa campo di battaglia che si gioca fra sessualità (istinto) e tecnologia (scienza): se si riesce a raggiungere una sintesi è solo tramite la creazione di un essere mostruoso che fa trasparire chiaramente la sua sofferenza. Pistoni, olio, trivelle falliche, sangue che in bianco e nero pare petrolio: è la fantasia repressa che erutta dall'inconscio per concretizzarsi in una realtà iper-tecnologica, tale qual è soprattutto quella nipponica.
Tsukamoto, insomma, realizza un vero e proprio assalto alle convenzioni in un periodo storico, gli anni '80, in cui non si aveva la percezione di aver detto tutto, un decennio "repubblicano" dominato da un arrogante ottimismo rispetto al futuro. Il futuro di Tetsuo, invece, è qualcosa che ha a che fare con la corrente cyberpunk, con la tradizione manga, con il videoclip e con un uomo in profonda distonia con la sua medesima natura e anche con le macchine che non sono utilizzate dall'essere umano ma anzi lo utilizzano, lo invadono come un virus.
Tetsuo, però non si limita ad esplorare la fantascienza ed il genere cyberpunk; l'opera infatti può essere vista come un’originale riflessione sull’uso sempre maggiore della tecnologia nell’età moderna e sul suo diffondersi sempre di più e ovunque, con tanto di effetto disumanizzante per coloro che se ne appropriano e ne fanno largo uso.
Dietro le deliranti e velocissime inquadrature di Tsukamoto si cela il male, un male che si fa strada dentro di noi prendendo possesso del nostro corpo, mutandolo, in questo caso trasformandolo in un'entità biomeccanica, e nella realtà uccidendo l'uomo.
Un auto-feticista estremo (interpretato dallo stesso regista) è solito innestare componenti metallici vari nel proprio corpo. Quando l'ennesima cruenta applicazione causa una reazione di rigetto, spaventato scappa per la città, finendo investito da un automobilista di passaggio assieme alla fidanzata. Ritenendo morto l'investito, i due decidono di gettarlo nel bosco senza avvertire le forze dell'ordine. Poi però la coppia si rende conto che il ragazzo è ancora vivo e li ha ben visti in faccia, i due temono che il fantasma del mal capitato possa tormentarli dopo la morte; così decidono di fingersi una coppia che amoreggia nel bosco nel tentativo di confondere i ricordi del ragazzo agonizzante. Il film non chiarisce se il feticista sopravviva, se si tratti di un'oscura maledizione o se sia l'investitore ad impazzire, ma da quel momento l'uomo inizierà una graduale trasformazione in uomo-macchina. Tutto ha inizio quando, radendosi scopre di avere un piccolo condensatore al posto di un pelo di barba. In seguito, in una delle scene che hanno reso celebre la pellicola, l'uomo subisce la metamorfosi del pene in una fresa gigante, con cui penetra a morte la fidanzata. L'uomo si scontra infine con il feticista che credeva morto, tra le rovine post-industriali che diventeranno parte di entrambi i corpi durante lo scontro. I due finiscono per fondersi in un'unica enorme creatura biomeccanica, pronta a seminare morte e distruzione nel mondo.
Ogni elemento nel film riflette distinte condizioni sociali: la disumanizzazione è rappresentata dall'inorganicità dei componenti metallici, le esplicite allusioni sessuali, sempre presenti nella produzione giapponese, sono uno sfogo isterico alla grigia e degradata società industriale e al suo tessuto urbano in rapida decomposizione.
Lo scorrimento veloce delle immagini, animato dalla fuoriuscita di tubo-razzi dai piedi del protagonista, è una metafora di come l'individuo cerchi di fuggire dal mondo che si è costruito, sempre più simile ad una severa condanna.
La ricerca della salvezza al di fuori del mondo ordinario viene inconsciamente imposta da un destino più forte di ogni difesa e il suo fallimento si riassume nella delirante conclusione, dove la fusione fra vittima e carnefice in un unico corpo corazzato da inizio alla distruzione del mondo che forse non merita altro.
Cresciuto in un periodo in cui il Giappone sembrava proiettato a tutta velocità verso un futuro quasi fantascientifico, Tsukamoto ha trasfuso nei suoi film l’angoscia ed il senso di soffocamento provato da molti suoi compatrioti costretti a vivere in una sorta di distopia imperniata sul lavoro, sul progresso forzato e sul primeggiare ad ogni costo.
Tetsuo è fantascienza, horror e surrealismo, è un pugno nello stomaco a livello logico e visivo che fonde tecniche da videoclip e fumetto ad un'atmosfera cyberpunk.
La carne diventa campo di battaglia che si gioca fra sessualità (istinto) e tecnologia (scienza): se si riesce a raggiungere una sintesi è solo tramite la creazione di un essere mostruoso che fa trasparire chiaramente la sua sofferenza. Pistoni, olio, trivelle falliche, sangue che in bianco e nero pare petrolio: è la fantasia repressa che erutta dall'inconscio per concretizzarsi in una realtà iper-tecnologica, tale qual è soprattutto quella nipponica.
Tsukamoto, insomma, realizza un vero e proprio assalto alle convenzioni in un periodo storico, gli anni '80, in cui non si aveva la percezione di aver detto tutto, un decennio "repubblicano" dominato da un arrogante ottimismo rispetto al futuro. Il futuro di Tetsuo, invece, è qualcosa che ha a che fare con la corrente cyberpunk, con la tradizione manga, con il videoclip e con un uomo in profonda distonia con la sua medesima natura e anche con le macchine che non sono utilizzate dall'essere umano ma anzi lo utilizzano, lo invadono come un virus.
Tetsuo, però non si limita ad esplorare la fantascienza ed il genere cyberpunk; l'opera infatti può essere vista come un’originale riflessione sull’uso sempre maggiore della tecnologia nell’età moderna e sul suo diffondersi sempre di più e ovunque, con tanto di effetto disumanizzante per coloro che se ne appropriano e ne fanno largo uso.
Dietro le deliranti e velocissime inquadrature di Tsukamoto si cela il male, un male che si fa strada dentro di noi prendendo possesso del nostro corpo, mutandolo, in questo caso trasformandolo in un'entità biomeccanica, e nella realtà uccidendo l'uomo.
DEMOCRAZIE DECADENTI
Il
decadimento della democrazia è evidente in ogni sfera della politica.
La corruzione ha pervaso ogni settore, i partiti e i leader si
contendono i contributi finanziari dei ricchi e dei potenti; posizioni
all'interno dei poteri legislativo ed esecutivo hanno tutte un prezzo;
ogni parte della legislazione è influenzata da potenti "lobbies"
corporative che spendono milioni per la scrittura di leggi a loro
profitto e per individuare le manovre più opportune alla loro
approvazione. Il voto dei
cittadini non conta per nulla: le promesse elettorali dei politici non
hanno relazione alcuna con il loro comportamento quando sono in carica.
Bugie e inganni sono considerati "normali" nel processo politico. L'esercizio
dei diritti politici è sempre più sottoposto alla sorveglianza della
polizia e i cittadini attivi sono soggetti ad arresti arbitrari. L'élite
politica esaurisce il tesoro pubblico sovvenzionando guerre coloniali, e
le spese per queste avventure militari eliminano i programmi sociali,
gli enti pubblici e i servizi fondamentali.
A fronte di istituzioni legislative ormai screditate, e del palese, volgare mercato di compravendita dei pubblici uffici, i funzionari dirigenti, eletti e nominati, sequestrano i poteri legislativo e giudiziario. La democrazia in decomposizione si trasforma in una "democrazia oligarchica" come governo auto-imposto di funzionari dell'esecutivo; vengono scavalcate le norme democratiche e si ignorano gli interessi della maggioranza dei cittadini. Una giunta esecutiva di funzionari eletti e non eletti risolve questioni come quelle della guerra e della pace, alloca miliardi di dollari o di euro presso una oligarchia finanziaria, e mossa da pregiudizi di classe riduce il tenore di vita di milioni di cittadini tramite "pacchetti di austerità". L'assemblea legislativa abdica alle sue funzioni, legislativa e di controllo, e si inchina davanti ai "fatti compiuti" della giunta esecutiva (il governo di oligarchi) . Alla cittadinanza viene assegnato il ruolo di spettatore passivo anche se si diffondono sempre più in profondità la rabbia, il disgusto e l'ostilità. Le voci isolate dei rappresentanti il dissenso sono soffocate dalla cacofonia dei mass media che si limitano a dare la parola ai prestigiosi "esperti" e accademici, compari pagati dall'oligarchia finanziaria e consiglieri della giunta esecutiva. Per fortificare il loro potere assoluto, le oligarchie castrano le costituzioni, adducendo catastrofi economiche e minacce assolutamente pervasive di "terroristi". Un mastodontico e crescente apparato statale di polizia, con poteri illimitati, impone vincoli all'opposizione civica e politica. Lo scopo è quello di minimizzare l'azione della minoranza critica, che potrebbe mobilitare simpateticamente e divenire la maggioranza. Come la crisi economica peggiora, e i detentori di titoli e gli investitori esigono tassi di interesse sempre più alti, l'oligarchia estende e approfondisce le misure di austerità. Si allargano le diseguaglianze, e viene messa in luce la natura oligarchica della giunta esecutiva. Le basi sociali del regime si restringono. I lavoratori qualificati e ben pagati, gli impiegati della classe media e i professionisti cominciano a sentire l'erosione acuta di stipendi, salari, pensioni, il peggioramento delle condizioni di lavoro e di prospettive di carriera futura. "L'oligarchia democratica" è spinta e tirata nelle varie direzioni: si decretano tagli alla spesa sociale, ma questi possono trovare solo limitati appoggi alla loro applicazione. Si decretano imposte regressive, che non possono venire riscosse. Si scatenano guerre coloniali, che non si possono vincere. La giunta esecutiva si dibatte tra azioni di forza e di compromesso: robuste promesse per i banchieri internazionali e poi, sotto pressioni di massa, si tenta di ritornare sugli errori. A lungo andare, la democrazia oligarchica non è più utile per l'élite finanziaria. Le sue pretese di rappresentanza democratica non possono più ingannare le masse.
A fronte di istituzioni legislative ormai screditate, e del palese, volgare mercato di compravendita dei pubblici uffici, i funzionari dirigenti, eletti e nominati, sequestrano i poteri legislativo e giudiziario. La democrazia in decomposizione si trasforma in una "democrazia oligarchica" come governo auto-imposto di funzionari dell'esecutivo; vengono scavalcate le norme democratiche e si ignorano gli interessi della maggioranza dei cittadini. Una giunta esecutiva di funzionari eletti e non eletti risolve questioni come quelle della guerra e della pace, alloca miliardi di dollari o di euro presso una oligarchia finanziaria, e mossa da pregiudizi di classe riduce il tenore di vita di milioni di cittadini tramite "pacchetti di austerità". L'assemblea legislativa abdica alle sue funzioni, legislativa e di controllo, e si inchina davanti ai "fatti compiuti" della giunta esecutiva (il governo di oligarchi) . Alla cittadinanza viene assegnato il ruolo di spettatore passivo anche se si diffondono sempre più in profondità la rabbia, il disgusto e l'ostilità. Le voci isolate dei rappresentanti il dissenso sono soffocate dalla cacofonia dei mass media che si limitano a dare la parola ai prestigiosi "esperti" e accademici, compari pagati dall'oligarchia finanziaria e consiglieri della giunta esecutiva. Per fortificare il loro potere assoluto, le oligarchie castrano le costituzioni, adducendo catastrofi economiche e minacce assolutamente pervasive di "terroristi". Un mastodontico e crescente apparato statale di polizia, con poteri illimitati, impone vincoli all'opposizione civica e politica. Lo scopo è quello di minimizzare l'azione della minoranza critica, che potrebbe mobilitare simpateticamente e divenire la maggioranza. Come la crisi economica peggiora, e i detentori di titoli e gli investitori esigono tassi di interesse sempre più alti, l'oligarchia estende e approfondisce le misure di austerità. Si allargano le diseguaglianze, e viene messa in luce la natura oligarchica della giunta esecutiva. Le basi sociali del regime si restringono. I lavoratori qualificati e ben pagati, gli impiegati della classe media e i professionisti cominciano a sentire l'erosione acuta di stipendi, salari, pensioni, il peggioramento delle condizioni di lavoro e di prospettive di carriera futura. "L'oligarchia democratica" è spinta e tirata nelle varie direzioni: si decretano tagli alla spesa sociale, ma questi possono trovare solo limitati appoggi alla loro applicazione. Si decretano imposte regressive, che non possono venire riscosse. Si scatenano guerre coloniali, che non si possono vincere. La giunta esecutiva si dibatte tra azioni di forza e di compromesso: robuste promesse per i banchieri internazionali e poi, sotto pressioni di massa, si tenta di ritornare sugli errori. A lungo andare, la democrazia oligarchica non è più utile per l'élite finanziaria. Le sue pretese di rappresentanza democratica non possono più ingannare le masse.
A questo punto, la democrazia oligarchica come formula politica ha fatto il suo corso. L'élite
finanziaria è già pronta e decisa a scartare ogni pretesa di governo da
parte di questi oligarchi democratici. Sono considerati sì volonterosi,
ma troppo deboli; troppo soggetti a pressioni interne da fazioni rivali
e non disposti a procedere a tagli selvaggi nei bilanci sociali, a
ridurre ancora di più i livelli di vita e le condizioni di lavoro. Arriva
in primo piano il vero potere che muoveva le fila dietro le giunte
esecutive. I banchieri internazionali scartano la "giunta indigena" e
impongono al governo banchieri non-eletti - doppiando i loro banchieri
privati da tecnocrati.
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